Giovanni Mantovani, ingegnere trasportista, ex consulente del Comune di Firenze per il sistema tranviario e responsabile del procedimento di realizzazione della tratta SMN-Scandicci della linea T1, ha gentilmente accettato di rispondere ad alcune nostre domande sul sistema tramviario fiorentino.
Ecolò Entrambe le linee tramviarie attualmente in funzione sono un successo dal punto di vista del numero di utenti. Il rovescio della medaglia è però che i convogli sono sovraffollati nelle ore di punta, soprattutto per quanto riguarda la linea T1 da Scandicci verso la stazione SMN. Quali possono essere secondo lei le soluzioni a questa situazione?
Giovanni Mantovani: Mi consta che il sovraffollamento sia stato determinato, almeno in parte, dal successo del parcheggio di scambio di Villa Costanza e che questa causa verrà attenuata grazie all’utilizzo del parcheggio di scambio alla fermata Guidoni della T2 (che peraltro non ha ancora una grande capacità) in modo di principio analogo a quello di Villa Costanza. È comunque opportuno essere preparati a possibili incrementi di domanda della T1 (anche per effetto dell’ipotizzato prolungamento oltre Villa Costanza o dell’apporto di nuovo carico in arrivo a Porta al Prato con la T4).
Le soluzioni, ovvie, sono due: aumentare la frequenza o la capacità dei tram.
La prima soluzione pone problemi di interferenza tra T1 e T2 nella tratta comune (oggi in via Alamanni e piazza Stazione, con una fermata; in futuro fino a viale Strozzi, con tre fermate in tutto); sono però problemi risolvibili, fino a un certo punto, mediante la regolazione centralizzata. Non so se sia necessaria anche una revisione del rapporto economico tra Comune ed Esercente.
La seconda soluzione, certamente non di immediata attuazione, è fisicamente possibile, poiché le banchine di fermata sono lunghe 45 metri e possono quindi accogliere tram più lunghi di quelli attuali. Ricordo che in varie città europee è stato necessario e possibile, grazie alla struttura modulare, allungare tram già in esercizio mediante moduli aggiuntivi.
Ecolò: L’attuale rete tramviaria ha una struttura radiale, con tutte le linee che convergono verso la stazione, con un sovraccarico del nodo di SMN, rimangono tuttora difficili i collegamenti di trasporto pubblico tra alcune zone senza dover obbligatoriamente passare dal centro. Esistono modifiche possibili che potrebbero migliorare il funzionamento della rete? Come vedrebbe la possibilità che alcuni tram bypassassero il centro percorrendo una direttrice viale Strozzi – viale Belfiore fino a Porta al Prato?
GM: Il nodo di SMN è un forte attrattore, anche perché è al bordo del centro storico, e quindi è necessario servirlo direttamente da più direttrici con linee forti. L’attuale struttura radiale, concentrata nel settore NW, avrà una favorevole evoluzione con la realizzazione delle tratte per Bagno a Ripoli e poi per Rovezzano. Purtroppo, pare che non si potrà realizzare un servizio diametrale e sarà necessario cambiare tram a Piazza Libertà, per evitare un’eccessiva sovrapposizione di linee su alcune tratte, ma ritengo che questo aspetto sia un aspetto da approfondire.
Un by-pass Viale Strozzi – Viale Fratelli Rosselli era presente nei progetti originali e ne resta traccia negli scambi, dismessi, all’angolo tra Viale Fratelli Rosselli e via Jacopo da Diacceto. Fu abbandonato in assenza di un valido modello di esercizio e su comprensibili pressioni di Scandicci, che voleva assicurato il collegamento diretto con gli accessi alla stazione SMN e al bordo del centro di Firenze. Potrebbe essere ripreso in considerazione, se venisse giustificato dalla definizione di un modello di esercizio che tenga conto rigorosamente dell’entità e della distribuzione della domanda, nonché della necessità di servire adeguatamente i principali attrattori.
Un’ipotesi di collegamento tranviario ancora più esterno è quello della linea T5 (utilizzante un nuovo tracciato ad andamento tangenziale tra Piazza Dalmazia e Via Foggini), prevista dal Piano strutturale. Anche il ruolo di questa linea andrebbe a mio parere riesaminato in un quadro generale del sistema tranviario.
Ecolò: Questione tram e centro storico. Gli attuali progetti non prevedono più il passaggio del tram dal tracciato SMN-Cerretani-Martelli-Cavour-San Marco: quali sono le conseguenze di questa scelta secondo lei? Per quali motivi nel corso degli anni erano state accantonate anche le alternative di attraversamento del centro (sotterraneo o di superficie) da ovest a est?
GM: Ritengo che le conseguenze siano senz’altro negative, per due ragioni: si è perso il servizio diretto del centro e si è perso un secondo collegamento transitante per i due poli.
Devo dire ancora una volta che non c’è alcuna ragione trasportistica né urbanistica per la cancellazione voluta dalla nuova Amministrazione nel 2009. Anzi, la preservazione del carattere del centro, proteggendolo da involuzioni dovute al turismo e ad iniziative economicamente elitarie, richiede che sia ben servito dal trasporto pubblico. Il secondo collegamento avrebbe anche permesso, sulla tratta SMN – Libertà, di distribuire vantaggiosamente le linee su due itinerari. La ragione è stata meramente politica e, a mio avviso, non nella migliore accezione di questo termine.
Tra Piazza Stazione e Piazza Beccaria ci sono 2 km in linea d’aria e un tale spazio non può essere certamente coperto solo a piedi o con i bussini, tra l’altro con elevatissimo costo specifico di esercizio e con il disagio del cambio. Tra l’altro il tracciato definito nel 2002 non passa per il Duomo, come comunemente si dice, ma passa in Piazza San Giovanni, abbastanza lontano dal Battistero grazie a una breve tratta a binario semplice, per poi svoltare subito, prima del Duomo, in via Martelli. Attorno al Duomo passava un precedente tracciato, abbandonato avendo considerato gravi le difficoltà di inserimento nel tessuto viario.
E la pedonalizzazione non è ragione sufficiente: in Europa abbiamo molti esempi di valida e sicura convivenza tra tram e pedoni in strade interdette alla circolazione di altri veicoli.
Riguardo al sottoattraversamento del centro, penso che vi siano molte ragioni contrarie. Anzitutto il tessuto di edifici storici, senza un ampio corridoio libero, e le caratteristiche del sottosuolo obbligherebbero a un tracciato molto profondo, con fermate di complessa realizzazione e tali da dare tempi lunghi di accesso alle banchine dalla superficie. Inoltre, si tratterebbe di una realizzazione il cui costo non sarebbe giustificato dal limite di capacità imposto in superficie alla linea tranviaria (almeno per questo aspetto, diverso sarebbe stato pensare a una tratta sotterranea comune sulla quale convergessero, ai due lati, più bracci di superficie). Va anche considerato che ai capi della galleria vanno due rampe in trincea, squarci non facili da inserire in strade ai margini del centro, e che quindi la tratta sotterranea dovrebbe essere molto lunga.
Ecolò: Spesso i contrari al passaggio in piazza Duomo hanno sottolineato che il Sirio è un tram di dimensioni notevoli. Il passaggio nel centro storico potrebbe essere reso meno impattante utilizzando convogli più corti?
GM: Il Sirio di Firenze è lungo 32 metri ed oggi le lunghezze tipiche dei tram sono tra i 30 e i 40 metri, necessarie sia a fini di sostenibilità economica, grazie alla riduzione del costo specifico per passeggero trasportato, sia di riduzione, a parità di capacità della linea, della frequenza dei passaggi. Infatti, una frequenza spinta non favorisce la regolarità e genera un impatto ambientale maggiore. Un tram da 35 metri che passa ogni 4 minuti dà meno fastidio visuale e minore riduzione della permeabilità trasversale, che un autobus da 18 metri che passa ogni 2 minuti. Quindi, l’uso di tram da 20-25 metri sarebbe possibile, ma darebbe luogo alle contropartite cui ho accennato.
Ecolò: L’attuale progetto definitivo della linea 3.2 prevede un capolinea in viale Don Minzoni, non direttamente collegato al braccio proveniente da viale Lavagnini che ferma in Piazza della Libertà: come fare ad evitare questa rottura di carico per i passeggeri che provengono da Firenze sud diretti a SMN ma anche verso Careggi o l’aeroporto? [NDR Dalle nuove planimetrie di progetto presentate prima dell’uscita dell’intervista pare che il capolinea sia stato spostato da Viale Don Minzoni a Piazza della Libertà, più vicino ma comunque non coincidente con la fermata della Linea 2]
GM: È un problema cui ho accennato rispondendo alla seconda domanda. Posto che la T2 vada a Piazza San Marco, se non si accetta la sovrapposizione di tre linee sulla tratta Valfonda – Strozzi – Lavagnini, governandone al meglio le conseguenze, la soluzione sta solo nel ripristino del secondo collegamento Stazione – Libertà, attraverso il centro.
Ecolò: Alcuni comitati cittadini hanno mostrato perplessità sulla realizzazione del un nuovo ponte che collegherà via Minghetti all’Albereta. È un’infrastruttura necessaria? Noi abbiamo sempre sostenuto il tram anche perché si basa su una logica semplice ed efficace: togliere spazio alle macchine creando un’alternativa all’uso dell’auto privata, costruire un altro ponte a quattro corsie non va contro questa logica?
GM: Non so dare una risposta netta, perché non ho dati. Osservo solo che in genere la creazione di un buon nuovo sistema di trasporto pubblico riduce il traffico automobilistico del 15-20% (la T1 è uno dei casi particolarmente fortunati). Poiché la sede esclusiva per il tram è fondamentale, basterebbe una coppia di corsie uniche per l’80% del traffico attuale?
Ecolò: La linea 3.2 verso Firenze sud avrà il capolinea a Bagno a Ripoli. Cosa pensa della richiesta di prolungare la linea verso l’ospedale di Ponte a Niccheri?
GM: Anche per questa domanda non ho elementi per dare una risposta fondata. Mi pare che sarebbe necessario un prolungamento di circa 2 km. Occorre uno studio di prefattibilità, che analizzi il modo di realizzare il prolungamento e, stimata la domanda assegnabile, valuti se i costi di realizzazione ed esercizio possono essere giustificati (tenendo ovviamente conto anche dei possibili benefici sociali).
Ecolò: Il sistema tramviario dovrebbe essere sempre più integrato con gli altri mezzi del trasporto pubblico locale: con i bus urbani ed extraurbani, ma anche con la rete ferroviaria presente sul territorio. Cosa manca a Firenze per poter implementare un vero Servizio Ferroviario Metropolitano a servizio della città e dei comuni circostanti?
GM: Manca un’offerta appropriata, basata su un cadenzamento adeguato, quindi su un’infrastruttura in grado di accettare piccoli intervalli tra i treni, sull’apertura di nuove fermate e sull’uso di materiale rotabile adatto ai servizi metropolitani. Mi pare che si stia in uno stato di attesa, legato ai tempi di liberazione dei binari di cintura per effetto della realizzazione della galleria dell’AV.
Non sarebbe male, nel frattempo, fare un rigoroso studio della domanda assegnabile a una rete SFM ottimale, integrata con tranvie e autolinee, per calibrare bene sia gli interventi sugli impianti sia i programmi di esercizio. Un aspetto importante è quello della differenziazione tra servizi metropolitani e servizi regionali, che pongono esigenze diverse, dei quali non è però facile una netta separazione.
È anche importante ridurre le duplicazioni tra autolinee, suburbane e extraurbane, e servizi ferroviari e puntare, dove non ci sono serie controindicazioni, ad autoservizi di adduzione alla ferrovia, a pettine.
Gli ultimi giorni di resistenza contro l’espansione della miniera di carbone in Germania raccontati dal fotografo Michele Borzoni.
Abbiamo intervistato Michele Borzoni, fotografo del collettivo TerraProject, che ha passato gli ultimi otto giorni dell’occupazione della fattoria di Lützerath nel Nordreno Vestfalia.
Ecoló: Ciao Michele, grazie per la disponibilità, per prima cosa ci dici chi sei?
Michele: Sono un fotografo di TerraProject, collettivo fondato nel 2006 da Simone Donati, Pietro Paolini, Rocco Rorandelli e me. Un collettivo di fotografia documentaria. In questi anni ci siamo occupati di raccontare tematiche sociali, ambientali, non prettamente ecologiste, ci siamo interessati al paesaggio, soprattutto italiano, e a storie legate all’attualità.
Ecoló: La scorsa settimana sei andato in Germania come mai?
Michele: Insieme a Rocco Rorandelli, con cui lavoro nel collettivo, abbiamo cominciato a immaginare un nuovo progetto a lungo termine sull’attivismo ambientale più radicale. Quindi abbiamo cominciato a seguire, per esempio, i movimenti e le azioni di disobbedienza civile di Ultima Generazione, che in questi ultimi mesi stanno agendo in Italia. Rocco era già stato in Germania l’anno scorso per conto di una rivista svizzera per raccontare l’espansione di miniere di carbone nella Germania occidentale. Seguendo quella storia, e le notizie che venivano da Lützerath, abbiamo capito che all’inizio di gennaio avrebbero sgomberato il villaggio. Non sapevamo esattamente quando, ma avevamo capito che sarebbe successo i primi di gennaio. Quindi ho deciso di andare e di raccontare quest’ultimo pezzo di disobbedienza civile che rappresenta un’esperienza molto forte del movimento ecologista europeo.
Ecoló: Che cos’è Lützerath?
Michele: Lützerath era una vecchia fattoria, occupata, con il consenso del proprietario, costretto a vendere la sua proprietà alla compagnia energetica tedesca RWE che ha espropriato questo terreno. Da due anni e mezzo questo gruppo di attivisti, molto numerosi, molto giovani, aveva occupato la fattoria per evitare che la miniera di carbone si espandesse in quella direzione.
Ecoló: Quando sei arrivato che situazione hai trovato?
Quando sono arrivato erano gli ultimi giorni dell’occupazione di questa fattoria, c’erano 400-500 persone dentro, quasi tutti giovanissimi. Erano giorni che costruivano barricate per fortificare gli ingressi al villaggio. Erano barricate vere. Utilizzavano qualsiasi cosa trovassero per costruire trincee e muri con lo scopo di evitare che la polizia entrasse dentro a sgomberarli.
Ecoló: Chi sono gli occupanti?
Quando entro vedo una generazione di giovanissimi di 18 -20 anni, tutti incappucciati, col volto coperto, che costruiscono barricate. Ho pensato di trovarmi in un contesto anarchico insurrezionalista di estrema sinistra, molto simile a situazioni complicate viste in Italia. Dopo poco che ho cominciato a fotografarli mi sono reso conto che non era esattamente così. C’era sicuramente una parte proveniente dai movimenti di sinistra e centri sociali di tutta la Germania, ma anche un buon numero dai gruppi ambientalisti, era un’unione di questi due mondi.
Ecoló: che tipo di accoglienza hai ricevuto?
Michele: Sono stato accolto bene, erano apertissimi alla stampa, molto diversamente dal movimento dei black bloc. Molto accoglienti sia nella comunità stessa, sia nei confronti della stampa. Questa cosa mi ha molto impressionato. Pensavo di trovarmi in un ambiente molto difficile da fotografare; non è stato così. Molti di loro, comprensibilmente, non volevano essere riconosciuti in volto perciò si coprivano, per altri non era un problema nemmeno essere riconosciuti. Quello che mi ha colpito era il desiderio di volersi raccontare, e spiegare quello che stava succedendo, che era una battaglia, una vera battaglia, per far sopravvivere questo pezzo di terra, per evitare che la miniera si espandesse. Una battaglia condotta in una forma non violenta.
Ecoló: Hai parlato di barricate, realmente si trattava di battaglia non-violenta?
Michele: Sì, questo ci tengo a dirlo. Qualche giornale in Italia ha parlato di scontri, non è la verità. Era un gruppo molto arrabbiato, molto resistente, che ha fatto fino all’ultimo disobbedienza civile non violenta per resistere.
Ecoló: Eri presente quando è avvenuto lo sgombero?
Michele: In un modo del tutto inaspettato la stampa era libera di raccontare tutto quello che succedeva. C’era un servizio della polizia che accompagnava i giornalisti nel villaggio, faceva loro fare tutto quello che volevano, quindi ho potuto assistere allo sgombero.
Sono stati richiamati migliaia di poliziotti da tutta la Germania per lo sgombero che è avvenuto per lo più in modo non violento. La violenza c’è stata nella manifestazione del 14 gennaio, una manifestazione aperta, quando Lützerath era già persa. Son arrivate 30 mila persone che hanno cercato di entrare simbolicamente dentro Lützerath che ovviamente non sono riuscite a causa della massiccia presenza delle forze dell’ordine.
È qui che ci sono state cariche della polizia verso manifestanti non violenti che cercavano di rientrare nella fattoria. E’ rimasta una manifestazione non violenta ma le persone cercavano, passo dopo passo, di sfondare i cordoni a protezione di Lützerath.
Ecoló: ti ha colpito che la manifestazione non sia degenearata?
Michele: Sì, mi ha colpito la non violenza perché penso che in Italia dopo 10 minuti sarebbe successo il finimondo. Per la maggior parte degli attivisti l’atteggiamento non era ostile nei confronti della polizia. L’obiettivo non era sconfiggere la polizia, ma evitare che il villaggio fosse evacuato. L’obiettivo era: resistere all’espansione della miniera. Un atteggiamento piuttosto diverso rispetto a quello che ho visto in esperienza radicali in Italia, dove le forze dell’ordine diventano esse stesse l’antagonista.
Ecoló: pensi che sia un tratto distintivo dei movimenti ecologisti?
Michele: Non lo so, in Germania c’è un grande rispetto, in generale. E quindi nonostante ci fosse un conflitto c’era comunque rispetto, a parte nella manifestazione finale che è finita male, con le cariche della polizia sui manifestanti fermi che avanzavano un passo alla volta. Nessuno lanciava niente, Solo mota, non sassi, ma mota, mele e gavettoni.
Ecoló: Hai colto risentimento verso i Verdi tedeschi che, dopo tutto, sono parte del governo e potrebbero fare di più per evitare che si continui a usare carbone?
Michele: C’erano dei cartelli, striscioni contro i Verdi, che evidentemente avevano tradito la causa, questo sì, però devo dire non mi sono soffermato troppo a discutere le scelte politiche. Nei giorni in cui ero io lì, quello che ho avvertito è che l’unica impellente urgenza era quella che la polizia non prendesse quel luogo, non interessava niente di altro. Loro insegnavano alla gente delle tecniche di resistenza civile. Facevano dei workshop riguardo a come rendere complicato essere sgomberati, resistendo in modo non violento.
Ecoló: Per riuscire a tenere sotto controllo una situazione del genere c’era un’organizzazione verticizzata?
Michele: Sicuramente non era una situazione improvvisata. C’erano assemblee, era tutto ben organizzato. Però devo dire che a me l’organizzazione sembrava molto orizzontale, anche se devo dire che, soprattutto per via della lingua, non avevo gli strumenti per capire esattamente tutto quello che succedeva. Probabilmente occorre anche seguire il movimento più a lungo per capirne sia le radici, ma anche come andrà, come continuerà, perché non è finita. Perché la battaglia è persa ma non è finita, il movimento di Lützerath non andrà perso.
La rete tranviaria fiorentina, che sarà completata con il prolungamento verso Bagno a Ripoli e con la linea 4 per le Piagge, esclude la zona sud di Firenze e lascia irrisolto il problema del traffico proveniente dal Chianti (comprese le circa 25mila vetture che ogni giorno arrivano dalla Firenze-Siena).
Sarebbe importante in questa fase discutere della fattibilità di un collegamento tramviario in direzione Chianti. Dare ai fiorentini un’alternativa all’auto è una priorità assoluta se vogliamo, nel giro di pochi anni, abbattere sostanzialmente l’impatto ambientale della nostra comunità.
Allo stesso tempo è importante valutare attentamente quali sarebbero i costi ambientali ed economici dell’opera.
In realtà la Tramvia del Chianti è già esistita, in esercizio dal 1890 al 1935, aveva due capolinea a Firenze, piazza Beccaria e Porta Romana. Sul Poggio Imperiale la linea da piazza Beccaria si si ricongiungeva con il troncone proveniente dal capolinea di Porta Romana. Proseguiva poi per via del Gelsomino – creata appositamente -, le Due Strade, il Galluzzo e Bottai (sotto la Certosa), Tavarnuzze, Falciani. A Falciani si biforcava: a destra il convoglio iniziava la salita per giungere a San Casciano, dove si trovava uno dei due capolinea di arrivo; a sinistra continuava per il Ferrone e il passo dei Pecorai fino a Greve, l’altro capolinea.
Anche all’epoca la costruzione della linea fu preceduta da accese polemiche politiche. Si trattava infatti di un intervento importante, che prevedeva costi significativi e impatti sul territorio non trascurabili.
Famosa la polemica dell’architetto Poggi, ideatore del viale dei Colli. A suo avviso il passaggio della tramvia avrebbe rovinato l’estetica del viale. Tuttavia il favore delle comunità di Greve e San Casciano, e soprattutto l’intervento dell’allora deputato Sidney Sonnino, orientarono la provincia di Firenze alla definitiva approvazione del progetto.
Nel 1917 la Sita avviò un servizio di collegamento motorizzato tra Firenze, Siena e Volterra, con fermate intermedie presso San Casciano. Nei primi anni ’30 la sua concorrenza era ormai insostenibile per costi e tempi di percorrenza. La società di gestione della Tramvia del Chianti fallì e il servizio fu definitivamente soppresso nel 1935.
Nel 2015 uno studio di fattibilità ha rielaborato quella tratta in chiave moderna per valutarne la fattibilità. Il progetto assomiglia molto alla vecchia linea in funzione all’inizio del secolo scorso. La linea avrebbe la funzione di collegare il Galluzzo con il centro di Firenze passando anche dall’ingresso sulla Firenze-Siena e dall’uscita Grassina della A1.
La linea ipotizzata nello studio realizzato dallo studio Aleph prevedeva un solo binario nel tratto finale fra le Due strade e Tavarnuzze e il capolinea in via Paolo Uccello, dove si congiungerebbe alla linea 1 proveniente da Scandicci.
Nel corso della discussione, poco conosciuta al pubblico, che seguì la presentazione del progetto emersero alcune criticità. La prima riguarda il binario unico, che tende ad essere una soluzione poco apprezzata dai collaudatori di linee tramviarie. Altri due importanti interrogativi riguardano la possibilità di non dover sostituire l’alberatura di viale Aleardi e la gestibilità del capolinea alla fermata Paolo Uccello per la quale potrebbe non essere sufficiente lo spazio disponibile.
Al netto di tali difficoltà, la necessità di collegare il Chianti con Firenze, con mezzi che non siano le auto, appare sempre più necessaria. Si tratta di un dibattito interessante e soprattutto urgente che andrebbe sicuramente ripreso nella prossima consiliatura.
Tra le alternative, si potrebbe valutare la possibilità di non avere il capolinea al sud dell’Arno ma di congiungere a Porta al Prato la linea del Chianti con la linea proveniente dalle Piagge.
Senza voler ignorare le questioni tecniche, la volontà di Ecolo’ è sicuramente quella di far tornare questi temi centrali nella progettazione politica circa il futuro della città.”
Le foto del progetto sono gentile concessione di AMToscana, Stefano Ginanneschi.
Trasporti gratis a Firenze
Ecolo’ pensa che Firenze debba diventare la prima città italiana in cui i trasporti sono gratuiti per tutti. Sulla scia delle esperienze di Lusseburgo, Tallin e altre città[1], crediamo che si tratti di una politica sostenibile economicamente e fondamentale per realizzare la transizione ecologica.
Cerchiamo alleati per rendere concreto questo progetto. Associazioni, partiti al governo e all’opposizione, sindacati, organizzazioni di rappresentanza: vogliamo costruire un’alleanza per la transizione giusta, e i trasporti pubblici sono un primo grande obiettivo concreto sul quale lavorare.
È difficile fare una stima del costo dell’operazione ma un riferimento di massima può essere quello dell’esperienza del Lussemburgo: un paese di circa 600mila abitanti in cui il costo dell’operazione è stato stimato attorno ai 40 milioni di euro.[2]
La copertura finanziaria per un costo di quest’ordine di grandezza potrebbe basarsi su due entrate.
Un terzo dei fondi potrebbero essere ottenuti da una rimodulazione dell’addizionale comunale IRPEF. Per la restante copertura facciamo due ipotesi, la prima è un raddoppio dell’imposta di soggiorno, ad oggi non percorribile ma che potrebbe esserlo in un prossimo futuro (si veda ad esempio l’emendamento proposto recentemente alla legge di bilancio[3]). In alternativa, i proventi potrebbero provenire dal biglietto di ingresso allo scudo verde che entrerà in funzione a breve a Firenze.
La rimodulazione della flat tax addizionale IRPEF
Sulla base dei dati delle dichiarazioni dei redditi dei residenti a Firenze stimiamo che l’abbandono della flat tax dello 0,2% e l’introduzione di un’addizionale progressiva possa portare nelle casse del Comune approssimativamente 9,4 milioni di €.
Se si considera il costo di un abbonamento annuale pari a 294 €, la maggiore tassazione sarebbe più che compensata per il 95% dei percettori fiorentini. Solo il 5% più ricco potrebbe subire una perdita, ma solo nel caso non abbia familiari a carico che usufruiscono dei trasporti gratis.
Ipotesi di modifica dell’addizionale IRPEF:
Fascia di reddito | Oggi (*) | Proposta |
0-15mila € | 0 | 0,4% |
15mila-28mila € | 0 | 0,5% |
28mila-55mila € | 0,2% | 0,6% |
55mila-75mila € | 0,2% | 0,7% |
oltre 75mila € | 0,2% | 0,8% |
(*) esenzione fino a 25mila € | ||
Come cambia l’IRPEF a seconda del reddito imponibile? Il grafico sotto riporta l’aumento dell’IRPEF a seconda del reddito imponibile. La linea orizzontale tratteggiata indica quando l’aumento dell’IRPEF è superiore al costo di un abbonamento, questo avviene a circa 78mila € di imponibile. Il 95.5% dei percettori di reddito a Firenze dichiara un importo minore.
Il finanziamento dei restanti 30 milioni di costo
La nostra prima ipotesi è che il resto del finanziamento avvenga attraverso un aumento dell’imposta di soggiorno. Firenze ha già un’imposta di soggiorno molto elevata, vicina ai massimi di legge. Ma la finanziaria apre alla possibilità che questa imposta possa essere aumentata in modo sostanziale. Come dovrebbe cambiare l’imposta di soggiorno per coprire i restanti costi per un servizio di trasporto gratuito per tutti?
L’imposta di soggiorno a Firenze non è fissa, dipende dal tipo di alloggio, ma un raddoppio per tutte le categorie di alloggio sarebbe sicuramente sufficiente a reperire la cifra necessaria. A titolo esemplificativo: per un albergo a 4 stelle si passerebbe da 4,90 € a notte a 9,80 €. Per un campeggio da 3€ a 6€ a notte. Per un Airbnb si passerebbe da 4 € a 8 € per notte.[4] Questo aggravio per i turisti sarebbe in parte compensato dalla gratuità dei servizi di trasporto che permetterebbe loro non solo di visitare una Firenze meno inquinata ma anche di potersi spostare gratuitamente per la città. Per questo riteniamo che usare il gettito per rendere gratuito il trasporto pubblico locale sia coerente con quanto previsto dalla legge riguardo all’utilizzo dell’imposta di soggiorno[5].
L’aumento dell’imposta di soggiorno è una possibilità concreta di finanziamento soltanto nel caso in cui la legge renda possibile di modificarne l’importo sopra i 5 €. Se questa opzione non sarà percorribile immaginiamo un finanziamento basato sul biglietto di ingresso allo scudo verde in fase di realizzazione per Firenze (sulla stampa si parla di 2024), coerentemente con quanto succede a Milano dove il Comune incassa circa 40 milioni l’anno dai biglietti per l’ingresso in Area C[6]. Per garantire la copertura, nel caso di Firenze sarebbe necessario calibrare un biglietto di ingresso proporzionato che è un’operazione difficilmente realizzabile ex-ante.
Il trasporto gratis è efficace se applicato in sinergia con altre azioni
Le esperienze di altre città ci mettono in guardia sull’adottare questa politica senza calarla in un ridisegno più generale della città. Presa singolarmente, altrimenti, l’eliminazione del costo del servizio rischia di attrarre più che altro persone che oggi si spostano in bici o a piedi e non gli automobilisti[7]. È importante che questa politica sia quindi introdotta parallelamente a una riduzione dello spazio per le auto, pedonalizzazioni e restringimenti di carreggiata tesi a lasciare spazio in strada a pedoni, bici, tram e autobus. Magari proprio l’applicazione dello scudo verde potrebbe rappresentare la giusta occasione per introdurre la gratuità del trasporto pubblico locale nell’area metropolitana di Firenze: a fronte di una misura di limitazione del traffico veicolare privato urbano, si introdurrebbe un valido incentivo all’uso dei mezzi pubblici per chi si sposta in auto per raggiungere la città.
[1] In Italia Genova sta sperimentando da mesi trasporti gratuiti per alcune tipologie di mezzi e fasce orarie: https://smart.comune.genova.it/comunicati-stampa-articoli/settembre-trasporto-pubblico-urbano-gratuito-le-matricole-0
[2] https://www.bloomberg.com/news/articles/2022-07-07/inside-luxembourg-s-experiment-with-free-public-transit
[3] https://www.lanazione.it/firenze/cronaca/tassa-di-soggiorno-emendamento-per-alzarla-a-dieci-euro-a-notte-1.8390446/amp
[4] http://centroservizi.lineacomune.it/immagini/images/IMPOSTASOGGIORNO/firenze2014/delibera4832019tariffe2020.pdf
[5] Al comma 1 dell’articolo 4 del D.Lgs. del 14 marzo 2011 n. 23 si legge: è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali.
[6] https://www.ansa.it/lombardia/notizie/2020/01/22/milano-4-mln-incassi-ingressi-area-c_5fea2685-5e02-405b-a08c-fdb6685d8286.html
[7] https://www.theguardian.com/cities/2016/oct/11/tallinn-experiment-estonia-public-transport-free-cities
A un anno dall’insediamento della seconda giunta Falchi abbiamo intervistato Beatrice Corsi, assessora all’ambiente e alla transizione ecologica eletta con la lista Ecoló
Ecoló: Ciao Beatrice, grazie della tua disponibilità. Cominciamo dal primo giorno di scuola? Ci racconti come è stato l’impatto quando hai messo piede negli uffici da assessora?
I primi giorni sono stati molto emozionanti, volevo incontrare tutti e risolvere i problemi di tutti, ovviamente in un attimo. Sul primo obiettivo diciamo che sono stata subito “accontentata” perché le prime settimane sono state un susseguirsi di richieste di incontri da parte di cittadine e cittadini che volevano portare all’attenzione dell’Amministrazione piccoli o grandi problemi relativi ai temi più disparati. Ricordo mattinate tipo “ambulatorio del dottore” in cui ricevevo continuamente persone, credo ci fosse chiaramente anche un elemento di semplice curiosità. Sesto Fiorentino non è un piccolo paese ma ha dinamiche che ancora lo ricordano; gli Amministratori partecipano molto alla vita della città quindi, rispetto a realtà più grandi in cui il contatto con i/le cittadin* è meno forte, le persone sono avvezze a recarsi direttamente negli uffici o al palazzo comunale per parlare con gli Assessori o con il Sindaco. Lo trovo un aspetto molto bello della mia città. Sul secondo obiettivo, ben più ambizioso, ci sto lavorando… 🙂
Ecoló: Come è organizzato il tuo assessorato? Su quante persone e quali competenze puoi contare?
Il Servizio Ambiente è sotto il Settore Infrastrutture e Ambiente. Il Settore, che ha un suo Dirigente (ingegnere) comprende, oltre al Servizio Ambiente, anche i Servizi Lavori Pubblici, Mobilità/Viabilità e Manutenzioni.
Il Servizio Ambiente è poi organizzato da un Responsabile con posizione organizzativa (biologo), un Capo Ufficio (architetto) che segue la parte relativa al Verde Pubblico, un tecnico amministrativo (architetto) che segue progetti vari, un amministrativo (avvocato) che cura il front office e la parte relativa alla produzione degli atti quali delibere, ordinanze etc, un addetto (ex giardiniere comunale) che spesso è in giro sul territorio. Da luglio 2023, in totale controtendenza rispetto alle altre Amministrazioni, saranno assunti due giardinieri che saranno formati dall’ex giardiniere ora “tuttofare” e coordinati dall’architetto che segue il verde pubblico, cercando di ricreare un vero e proprio nucleo operativo che possa lavorare specificatamente sul verde, internalizzando così piccoli interventi e implementando le attività di controllo delle Ditte in appalto.
Ecoló: Nella vostra campagna elettorale avete preso sei impegni (https://www.ecoloitalia.it/firenze/argomenti/sesto2021/ ) (5+1) precisi. Proviamo a non fare come fanno tanti politici ma a tornare sugli impegni e capire a che punto siamo?
Il primo impegno riguarda la messa a dimora di alberi. La proposta di Ecoló è stata addirittura di 10 alberi nuovi al giorno! (https://www.ecoloitalia.it/firenze/2021/09/26/sesto-fiorentino-2026-gli-alberi-sono-i-nostri-migliori-alleati/) Dall’inizio del tuo mandato a questo punto Sesto dovrebbe avere 4 mila nuovi alberi! Cosa sta succedendo in realtà?
In realtà è stato più complicato di quanto pensavamo perché non è tanto il piantare nuove alberature ma l’attecchimento, la manutenzione e l’irrigazione delle stesse. Interventi importanti di forestazione sono infatti molto costosi da sostenere per un Comune da solo.
Se guardiamo gli interventi fatti da altre Amministrazioni spesso essi risultano finanziati da Bandi o rientrano in progetti speciali. Ho cercato così di far partecipare il nostro territorio a quanti più Bandi riuscissero a seguire gli Uffici. In questo anno abbiamo infatti dato in comodato d’uso gratuito 3 aree a 3 Associazioni che volessero partecipare ad un Bando molto interessante indetto dall’Istituto Soka Gakkai (Delibera n. 288 del 23/11/21). Uno dei tre progetti presentati, tutti volti alla realizzazione di interventi di riqualificazione di aree verdi che prevedessero nuove messe a dimora, è stato il primo non finanziato nella graduatoria nazionale. Un ottimo risultato che purtroppo non ha però intercettato i finanziamenti sul nostro territorio. Una seconda iniziativa è stata quella di contribuire, fornendo alla Città Metropolitana di Firenze, uno Studio di Fattibilità affidato esternamente (Delibera n. 359 del 6/12/22) affinché essa potesse partecipare ad un Bando del MITE mirato al finanziamento di interventi di forestazione urbana. Lo Studio prevedeva infatti la forestazione di oltre 4 ettari sul nostro territorio ma, purtroppo, la Città Metropolitana, raccogliendo le adesioni dei vari Comuni, non ha raggiunto la soglia minima di ettari per presentarsi al Bando. Certo, lo SDF comunque c’è, me lo tengo nel cassetto come prezioso investimento per il futuro, monitorando ogni eventuale occasione per intercettare qualche altro tipo di finanziamento.
Un’altra azione che ho provato in questo anno per incrementare il patrimonio verde di Sesto Fiorentino è la pubblicazione da parte dell’Ufficio Ambiente del “Bando Spazi Verdi” (https://comunesestofiorentino.traspare.com/news/5) per la gestione e la manutenzione ordinaria/straordinaria di alcune aree verdi critiche (ad esempio le rotonde) da parte di imprese e associazioni. In questo Bando abbiamo inserito alcune aree adibite alla forestazione urbana finalizzata anche alle certificazioni nei percorsi aziendali di “carbon neutrality”.
Inutile girarci intorno dunque: siamo piuttosto lontani dai 4mila alberi, a inizio anno ci saranno tuttavia una serie di nuove messe a dimora che andranno in parte a sostituire alcune alberature malate e in parte ad implementare il patrimonio arboreo di Sesto Fiorentino. Nel frattempo non mollo e continuo a lavorare sodo per avvicinarci all’obiettivo che ci eravamo prefissati!
Tutti gli atti relativi ai suddetti progetti sono consultabili con tutta la documentazione completa sull’ Albo Pretorio online del Comune.
Ecoló: La seconda proposta riguarda i rifiuti, su cui come assessora hai competenza, e la necessità di portare fino in fondo la strategia Rifiuti Zero, come rispondi a chi dice che il porta a porta a Sesto ancora non funziona? (https://www.ecoloitalia.it/firenze/2021/07/23/le-nostre-proposte-per-la-gestione-dei-rifiuti-a-sesto-fiorentino/)
I risultati raggiunti parlano da soli e confermano la bontà della scelta del passaggio al sistema di raccolta porta a porta, un percorso non facile perché ha presupposto un cambio importante nelle abitudini dei sestesi ma che sta dando risultati straordinari in termini di quantità e qualità della raccolta. Questo sistema, che sicuramente dobbiamo continuare a migliorare e affinare sulla base dell’esperienza accumulata, è stato comunque ormai accolto in generale dai sestesi con responsabilità e consapevolezza, a riprova di come il problema dei rifiuti riguardi tutte e tutti noi e tutte e tutti riguardino anche le soluzioni. Il dato della raccolta differenziata si attesta attualmente intorno all’84,5%. Nel 2021 la diminuzione del residuo indifferenziabile è passata da 9100 tonnellate a 6178, con una riduzione del 32% e il dimezzamento rispetto al 2019.
L’oltre 84% di quest’anno non è un traguardo raggiunto, è ovviamente una tappa verso obiettivi ancora più importanti per l’ambiente e per il nostro futuro. Per migliorare ulteriormente i risultati della raccolta sto mettendo a punto con l’Ufficio e con Alia una serie di “correttivi” che saranno attivi nel nuovo anno: una campagna che sensibilizzi sulla necessità di non conferire sacchetti con i rifiuti domestici nei cestini getta-carte, molteplici azioni di intervento con avvisi nei condomini più popolosi da parte degli Ispettori Ambientali, la collocazione di fototrappole nei territori maggiormente interessati da abbandoni abusivi di rifiuti, una campagna per la distribuzione della compostiera domestica e infine un progetto di ispezioni nell’area industriale con un Protocollo d’Intesa da redigere tra la Polizia Municipale e gli Ispettori Ambientali di Alia. Nel Programma di mandato abbiamo preso l’impegno di procedere con l’istituzione della tariffa corrispettiva e così faremo. Nel 2023 saranno pochi i Comuni, tutti più piccoli rispetto al nostro e con gestione TARI in capo ad Alia (Sesto ha una gestione interna), ad iniziare la sperimentazione ma nel prossimo gruppo di Comuni cercheremo di esserci assolutamente, facendo un “ragionamento d’area” con i Comuni a noi vicini.
Ecoló: Nella vostra campagna elettorale avete parlato molto di comunità energetiche e autoproduzione (https://www.ecoloitalia.it/firenze/2021/09/20/energia-di-comunita-breve-intervista-a-giulio-signorini/). Una proposta lungimirante fatta quando ancora nessuno immaginava un conflitto in Ucraina e il prezzo dell’energia alle stelle. Come vi state muovendo su questo? Che supporto trova oggi un sestese che vuole provare a far parte della comunità dell’autoproduzione di energia pulita?
Grazie al lavoro del nostro Consigliere sono stati approvati in Consiglio Comunale diversi atti per la conoscenza e la diffusione delle CER e, dietro nostro sollecito, è stato inoltre modificato il Regolamento Edilizio eliminando il limite dei 5 kW per permettere una maggiore diffusione dei pannelli fotovoltaici, dalle abitazioni private fino ai pergolati fotovoltaici su suolo pubblico.
Parallelamente sto portando avanti da qualche mese un progetto pilota di Comunità Energetica promossa dal Comune in cui l’Amministrazione stessa non solo partecipi con un proprio edificio ma sia anche socio fondatore. Siamo a buon punto ed entro inizio anno nuovo dovremmo riuscire ad annunciare la costituzione dell’Associazione per partire poi con il percorso di partecipazione.
Ecoló: Arriviamo a un punto caldo, visto che le polemiche sulle trasformazioni urbanistiche non si sono placate durante quest’anno, il vostro programma parlava di stop al consumo di suolo. Pensi che la giunta si sia mossa in contraddizione con questa visione? Cosa rispondi a chi dice che il Comune sta permettendo una speculazione nell’ex Ginori? (https://www.ecoloitalia.it/firenze/2021/05/10/le-nostre-proposte-per-il-poc/)
In questi mesi si è animato il dibattito nella maggioranza sulla adozione del nuovo Piano Operativo Comunale. Con il gruppo di Ecoló Sesto Fiorentino abbiamo, credo, contribuito fortemente sia l’anno scorso inviando contributi precisi e puntuali al POC (https://www.ecoloitalia.it/firenze/2021/05/10/le-nostre-proposte-per-il-poc/) che nei mesi recenti, con proposte costruttive sulle varie schede urbanistiche che secondo noi presentavano criticità. C’è da dire che il POC, che sarà presentato a breve alla cittadinanza da parte del Sindaco e dell’Assessore all’Urbanistica, mantiene saldo il principio dello zero consumo di suolo rispetto al Piano precedente. Chiaramente ci sono interventi pianificati da anni e richiesti a gran voce dalla stessa cittadinanza che comunque sono stati mitigati e migliorati agendo direttamente sulle schede. Abbiamo avanzato perplessità e sottolineato le criticità di alcune schede trovando apertura da parte del Sindaco e del resto della maggioranza. La partita non è chiusa e sarà possibile, attraverso il prossimo percorso di partecipazione e lo strumento delle “osservazioni”, rivedere alcuni interventi. Un tema che abbiamo affrontato in maniera approfondita è lo sviluppo del margine sud della città, compreso tra zona industriale Querciola e Perfetti Ricasoli: i lotti dei capannoni sono il completamento del progetto originario, bloccato per il futuro grazie alla cessione da parte del privato all’Amministrazione, di un importante lotto di terreno (2/3 circa della scheda) che sarà trasformato in uno degli ingressi al Parco della Piana. Con questa acquisizione si evita dunque che nei futuri piani, si saturi completamente l’area, pezzetto dopo pezzetto. A proposito di Parco, siamo determinati a sostenere il NO alla nuova pista di Peretola che andrebbe senza dubbio a porre una pietra tombale sul progetto del Parco della Piana in cui da sempre credo fortemente e che penso possa divenire anche un importante volano economico e di attrazione del nostro territorio. Dai dati del POC emerge inoltre una situazione tuttavia molto rincuorante che riguarda il verde del nostro territorio: il verde urbano è molto sopra gli standard rispetto alle altre città dell’area e la collina è stata negli anni tutelata, è un polmone fondamentale che vogliamo continuare a mantenere intatto senza inutili e dannose incursioni di cemento. Ma vengo all’area dell’ex Ginori. Mi spiace che il dibattito su una questione così complessa sia stato nel tempo ridotto a slogan e proclami, parlando appunto anche di speculazione. La politica è mediazione e credo che il Sindaco Falchi, in una situazione di tale complessità, sia stato bravo a tenere insieme tutto. Penso che il nostro territorio sia già molto pieno di supermercati e megastore ma credo anche che l’offerta, purtroppo, risponda anche alla domanda. Detto questo, se non fosse stata trovata questa mediazione probabilmente non ci sarebbero né la storica Fabbrica né lo stesso Museo, oltre al fatto che quell’area sarebbe già destinata a edilizia privata. Il Sindaco ha fatto il solco da Sesto al Ministero per contrattare e incontrare con i vari operatori economici che potessero essere interessati a “salvare” l’area, perché di questo si tratta. Un vero e proprio salvataggio. Detto questo la contrattazione è ancora in fieri per migliorare l’intervento, mitigarlo, efficientarlo a livello energetico e adibire più spazio possibili alle funzioni necessarie al Museo. Avrei preferito che in quell’area ci fosse una rigogliosa oliveta? Sicuramente sì. Avrei sacrificato Fabbrica, lavoratori, Museo e un pezzo della nostra storia senza tentare una soluzione di “salvataggio”? Sicuramente no. Occorre informarsi bene su come è andata la vicenda e leggerla laicamente con le lenti di un’onestà intellettuale che le cittadine e i cittadini sestesi meritano.
Ecoló: Il quinto punto si intitolava “Potere alle donne, donne al potere!” (https://www.ecoloitalia.it/firenze/2021/09/24/potere-alle-donne-donne-al-potere/). Forse su questo il fatto che sia stata una donna a rappresentare Ecoló in giunta ci dice che avete ottenuto qualcosa. Cosa ti ha insegnato quest’anno al potere riguardo a come possiamo coinvolgere e valorizzare le donne nelle nostre istituzioni pubbliche?
La questione di genere è più che mai attuale: solo il 14% dei Comuni italiani è amministrato da una donna. E ora, a livello nazionale, ci vediamo governare sì da una donna che è tutt’altro che dalla parte delle donne.
Un ulteriore smacco per tutta l’area del centro sinistra che negli anni non è riuscita ad investire in una leadership femminile e femminista! Troppo spesso le donne hanno ruoli gregari e non di leader. È sempre tutto un pò più difficile per noi, diciamolo.
La Giunta di Sesto ha una buona rappresentanza femminile, siamo 4 assessore e 3 assessori più il Sindaco. Ho un bambino piccolo e sono in attesa di due gemellini pertanto conciliare tutto non è facile ma mi sento molto supportata dal Sindaco e dalla squadra di governo che è tutta molto attenta alla questione femminile. Sono orgogliosa ed entusiasta del ruolo che ho l’onore di ricoprire e il gruppo di Ecoló Sesto Fiorentino, costituito da molte donne e rappresentato da due co-portavoce, un uomo e una donna, penso che possa contribuire ad un piccolo cambio di passo. La stessa nostra lista elettorale era formata da 13 donne e 11 uomini, un successo da questo punto di vista rispetto alla maggior parte delle altre realtà politiche. Uno dei primi atti che il Consigliere di Ecoló ha portato in Consiglio Comunale è stata proprio una mozione volta ad istituire il Bilancio di Genere, un vero e proprio strumento contabile che ha come risultato quello di certificare se un Comune adotta o meno politiche a favore delle donne. Gli Uffici ci stanno lavorando. C’è molto da fare ma, anche a livello locale, credo che sia possibile fare la nostra parte e annaffiare il seme del cambiamento, piano piano, giorno dopo giorno. Una iniziativa cui daremo gambe nel 2023, ma su cui stiamo già lavorando in tandem con la Consigliera alle Pari Opportunità, è quella dell’intitolazione di diversi spazi verdi della città a donne che hanno lasciato un segno importante culturale, sociale e politico sul nostro territorio.
Ecoló: L’ultimo dei vostri punti, il sesto punto, lo avete scelto dopo una campagna di ascolto dei sestesi. Si tratta di una proposta semplice ma che necessita di copertura finanziaria: l’inclusione di Sesto Fiorentino nell’area fiorentina nella quale l’abbonamento all’autobus urbano consente l’utilizzo anche del treno (https://www.ecoloitalia.it/firenze/2021/09/28/il-sesto-punto-per-sesto/) a che punto siamo su questo?
Il biglietto Unico Metropolitano rimane in fase di sperimentazione. Chiaramente, essendo un’operazione che coinvolge più Comuni, si tratta di un intervento di area che l’Amministrazione sestese sostiene rinnovando anche per quest’anno lo stanziamento di risorse da destinare al progetto che tuttavia rimane da affinare e rendere stabile. Non seguo in prima persona la questione non essendo il mio Assessorato il settore competente ma con l’Assessora di riferimento ci interfacciamo spesso sul tema. Credo che estendere, anche a fronte di una piccola revisione dei prezzi di biglietti e abbonamenti, la validità dei titoli di viaggio a tutta l’area metropolitana sia un segno di civiltà che non possiamo più rimandare. Sul fronte degli accorgimenti da prendere, sempre a livello di area, per il miglioramento della qualità dell’aria il mio Assessorato, con il tecnico di riferimento del Servizio Ambiente, segue da mesi il tavolo intercomunale coordinato dalla Regione, sulla qualità dell’aria nell’agglomerato fiorentino. Se per il PM10 la situazione sembra un po’ migliorata (anche se c’è poco da cantare vittoria…), per quanto riguarda il biossido di azoto siamo sempre ampiamente sopra limite e, dato che la Regione ha un po’ di risorse da ripartire tra i Comuni per applicare alcuni correttivi sui territori, ha chiesto ai Comuni stessi indicazioni in merito. Con il Servizio Ambiente abbiamo individuato e comunicato alla Regione una serie di indirizzi che secondo me sarebbero molto utili alla causa, in primis proprio rafforzare l’utilizzo di tutti i mezzi pubblici con un unico biglietto. Oltre a questo abbiamo proposto di prevedere incentivi importanti sia per l’acquisto di abbonamenti ai mezzi pubblici che un vero e proprio Piano di Azione per lo sviluppo della Mobilità Ciclistica con varie linee di intervento tipo incentivi per l’acquisto di e-bike e un sistema di ulteriori incentivi per l’uso della bici negli spostamenti sistematici con concessione di “crediti” correlati alla fruizione di servizi di mobilità dolce. Sempre riguardo all’uso della bici una delle proposte è anche la realizzazione di un sistema di infrastrutture e servizi per la sosta delle biciclette (es. realizzazione di una serie di velostazioni in corrispondenza di Stazioni/Fermate ferroviarie urbane e della rete tranviaria o la realizzazione di una rete diffusa di bike-box). Oltre a questi correttivi sono stati definiti inoltre incentivi per la sostituzione di veicoli inquinanti sia per i privati che per le Amministrazioni Comunali nonché la stipula di accordi con grandi aziende dotate magari di Mobility Manager per incentivare la conversione dei mezzi aziendali, l’acquisto di abbonamenti ai mezzi pubblici per i dipendenti e l’installazione di colonnine elettriche. Come Amministrazione abbiamo avanzato inoltre la proposta di messa a disposizione da parte della Regione di un budget per acquisto o affitto trentennale di terreni per effettuare nuove messe a dimora, vista la penuria di terreni comunali.
Bene il Biglietto Unico Metropolitano da sostenere e rafforzare ma occorre che tutte la Amministrazioni agiscano, di concerto, per l’attuazione di misure coordinate per il risanamento della qualità dell’aria. Su queste idee e proposte sicuramente il nostro Comune ha fatto la sua parte e spero che siano sostenute e adottate dalla Regione.
Ecoló: C’è qualcosa di inaspettato e bello che si sta realizzando di cui ci vuoi parlare?
Grazie ad una donazione sarà prossimamente realizzato un bellissimo GIARDINO DELLE API, un’area dedicata alle “regine della biodiversità”. Sarà collocata al Parco degli Etruschi una casa per 2 o 3 famiglie di api, saranno piantate specie arbustive, fiori e alberi da frutto di cui sono ghiotte e saranno realizzate, in collaborazione con associazioni di apicoltori, attività in loco e nelle scuole per famiglie e studenti che vorranno conoscere l’importanza di questi bellissimi insetti impollinatori così importanti per la nostra sopravvivenza nel mondo. Motivo di soddisfazione, risalente giusto a qualche settimana fa, è per me aver partecipato alla realizzazione del “Giardino della Pace” nel Parco dell’Oliveta con la messa a dimora, assieme all’Associazione Per un Mondo Senza Guerre e alle associazioni pacifiste del territorio, di un albero di kaki diretto discendente di una pianta sopravvissuta ai bombardamenti di Nagasaki. Una piccola azione che ci ha permesso e ci permetterà di approfondire nei prossimi mesi una riflessione sul messaggio forte di pace universale tra i popoli di cui, oggi più che mai, si sente fortemente il bisogno. Alla piantumazione erano presenti molte bambine e bambini con le loro insegnanti che hanno “abbracciato” la pianta con grandi bandiere e pensieri di pace. E’ stata una mattinata molto emozionante che porterò nel cuore come un ricordo speciale di quest’anno.
Sono infine particolarmente contenta di aver intavolato in questo anno due collaborazioni molto interessanti che non erano mai state fatte a Sesto e che riguardano la conoscenza e la fruizione degli spazi verdi: una con Verdiana Network e l’altra con Wander&Pic. Con i primi abbiamo realizzato, per il 2022 e il 2023, un calendario di incontri laboratoriali nei Parchi e nei Giardini con “esplorazioni botaniche” divertenti per famiglie con bambini dai 3 anni in su. Con Wander&Pic invece abbiamo realizzato un affascinante giardino di tulipani variopinti che hanno colorato e fatto conoscere a tutta la città il poco conosciuto Giardino del Bardo; in questa occasione la bellezza della natura si è perfettamente incontrata con una serie di piccole iniziative culturali all’aperto quali conferenze, piccole performance di teatro e musica. Alla fine del progetto, i bulbi rimasti nel terreno sono stati regalati, spiegando come conservarli, alle classi delle scuole infanzia e primaria che ne hanno fatto richiesta e che proprio in questi giorni li stanno ripiantando nel giardino della propria scuola, creando così un giardino diffuso per riflettere insieme sul prezioso concetto di “cura”. Credo che le due collaborazioni siano state anche due bei modi per conoscere, valorizzare e amare gli spazi verdi del nostro territorio. Sono contenta che i sestesi abbiano colto con entusiasmo entrambe le iniziative che, quindi, proseguiranno anche per il prossimo anno!
Ecoló: Qual è stato invece il motivo di più grande frustrazione in questi 12 mesi?
La lentezza delle procedure amministrative anche, anzi, soprattutto per le questioni semplici da risolvere. La Pubblica Amministrazione è ontologicamente un bradipo e, soprattutto nei primi mesi, per me è stato molto faticoso adeguarmi ai ritmi lenti delle procedure…
Ecoló: Le proposte elettorali sono sempre altisonanti e spesso complicate da trasformare in azioni politiche. Ora che sei assessora e che conosci potenzialità e limiti dei meccanismi in cui agisci, c’è un impegno preciso che ti senti di prendere per i prossimi 12 mesi di mandato?
Come detto prima non è facile lavorare alle nuove messe a dimora. Occorrono soldi non solo per piantare ma anche per mantenere le piante negli anni, garantirne il corretto attecchimento e…avere l’acqua per annaffiarle viste le stagioni sempre più torride!
Da luglio 2023 il Servizio Ambiente sarà strutturato dando “spazio” al verde pubblico che assumerà una importanza maggiore anche grazie all’internalizzazione di un nucleo di giardinieri comunali che selezioneremo a inizio anno nuovo. In controtendenza rispetto a praticamente la totalità delle altre Amministrazioni, pensiamo sia importante avere sul territorio persone pronte ad effettuare piccoli interventi e curare il patrimonio arboreo sempre più in sofferenza per le ragioni climatiche che sono sotto gli occhi di tutti. Penso sia una operazione “rivoluzionaria” e di cui spero a breve di poter dare comunicazione ufficiale.
Buon lavoro e grazie per la tua disponibilità!
Il Tirreno ha pubblicato un reportage sul consumo di suolo nella Piana fiorentina. Un approfondimento meritorio da cui emerge un quadro preoccupante. Ma la classifica comparsa sulle pagine del quotidiano lo scorso lunedì 21 novembre fa apparire troppo virtuosi comuni, come quello di Firenze, che pur avendo un territorio già saturo a inizio anni 2000 hanno continuato a costruire in questi anni.
La percentuale riportata da Il Tirreno fa riferimento agli ettari costruiti in più oltre a quelli consumati fino al 2006. In una classifica del genere un comune con 99 ettari su 100 di superficie consumata nel 2006, che avesse consumato anche l’ultimo ettaro disponibile, esaurendo completamente il suo territorio, con un consumo del 100%, risulterebbe più virtuoso del comune di Scandici che, seppur ha consumato 17 ettari di terreno negli ultimi 15 anni, ha un consumo totale di suolo attorno al 25%.
Secondo noi il modo corretto di rappresentare il problema è un altro.
In primo luogo bisogna chiederci in che misura i comuni si sono allontanati dalla prospettiva di consumo zero di suolo. Cioè quanti ettari sono stati consumati in più. Purtroppo il trend è di un maggior consumo di suolo per tutti (quinta colonna della tabella). In secondo luogo occorre domandarci quale percentuale del suolo non ancora consumato nel 2006 è stato sottratto alle sue funzioni ecosistemiche.
Il grafico sotto riporta i valori per comune, mettendo a confronto la misura riportata da Il Tirreno (in blu) con la misura del consumo percentuale di suolo libero (in verde).
Come si inverte il trend? Secondo Ecolo’ è inevitabile, con l’evolvere di un sistema sociale ed economico, che emergano esigenze di consumo di suolo. Nuove scuole, nuove insfrastrutture per il trasporto, nuove esigenze per abitazioni e produzione. Per questo motivo le amministrazione dovrebbero adottare un piano di rinaturalizzazione e ricomplessizzazione ecologica di aree all’interno dei propri territori che riportino in attivo il conto del suolo riguadagnato alle sue funzioni naturali.
Troppo spesso la strategia di riduzione di consumo di suolo è vissuta come una resistenza alla tendenza divoratrice del mercato. Dobbiamo portare nelle istituzione una visione che ribalta la logica e che vede nelle rinaturalizzazione di parte del territorio all’interno delle città un obiettivo strategico fondamentale. Per il pianeta, per la persone che lo abitano.
Come riportato nel dossier ISPRA 2021 ‘Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici – Edizione 2021’, in Italia nel solo anno 2020 nuove coperture artificiali hanno riguardato altri 56.7 kmq, in media quindi 15 ettari al giorno. Il nostro paese perde quasi 2 mq di suolo ogni secondo. La crescita delle superfici artificiali è solo in parte ricompensata dalla ricostituzione e dal ripristino di aree naturali, che si attesta attualmente intorno a soli 5 kmq all’anno. Dobbiamo quindi da una parte ridurre drasticamente il nuovo consumo di suolo, fino ad azzerarlo, e dall’altra far crescere il recupero e la ricreazione di spazi e territori naturali. Purtroppo, nonostante tanti proclami e nonostante indicazioni forti in tal senso anche dalle Istituzioni internazionali (le Nazioni Unite hanno intitolato il decennio 2021-2030 come Decade on Ecosystem Restoration per sottolineare la necessità e l’urgenza di un’azione su questo piano), i segnali positivi continuano ad essere pochi.
A venti anni dal Social Forum Europeo, Firenze ha accolto un importante incontro di convergenza tra centinaia di attivisti, in rappresentanza di più di 150 organizzazioni italiane, europee e internazionali, per discutere di come darsi maggiore forza ed efficacia di fronte alle grandi sfide dell’oggi: la guerra nel nostro continente, il collasso climatico e ambientale, l’inaudita crescita della diseguaglianza, il consenso popolare alla destra estrema, lo svuotamento della democrazia.
Anche Ecolò ha partecipato, attraverso Assemblea Ecologista, la rete di associazioni locali ecologiste di cui fa parte.
Qui in basso riportiamo il discorso per intero.
“Sono Caterina Arciprete, rappresento Assemblea Ecologista, una realtà nata nel 2022 dalla rete tra associazioni politiche ecologiste locali che hanno un comune alcuni aspetti: un forte radicamento locale, il guardare il mondo da una prospettiva ecologista e l’essere orfani di una rappresentanza a livello nazionale che abbia le competenze e la credibilità di costruire – piuttosto che postulare – la transizione ecologica.
Oggi sono 20 anni dal Social Forum Europeo, ma sono anche 50 anni dalla Conferenza di Stoccolma che si è tenuta nel 1972: quella conferenza è stata la prima dell’ONU sull’ambiente umano che metteva sul tavolo due fatti: 1) siamo tutti interdipendenti; 2) ora non vediamo ancora gli effetti, ma stiamo sfruttando l’ambiente in un modo che non è sostenibile e che ci condurrà a scenari catastrofici. Dobbiamo agire.
A 50 anni dalla Conferenza di Stoccolma ed a 20 anni dal Social Forum Europeo, il bilancio è molto negativo.
Per noi il mondo più naturale di rispondere alla domanda: da “come vincere le destre”, è riformularla in “come portare al governo una visione ecologista” visto che anche negli anni passati scelte sbagliate sono state fatte a destra e a sinistra, e proprio dentro quest’ultima abbiamo visto il dramma e l’inutilità dell’aver messo in contrapposizione temi come diritto alla salute e diritto a lavoro. Tutto ciò sempre in chiave estremamente antropocentrica, non riconoscendo mai il diritto alla natura di esistere.
Oggi le evidenze ci fanno capire chiaramente che l’unica prospettiva che guarda al futuro è una prospettiva di tipo ecologista che declina nella sua azione tre aspetti: l’importanza della diversità (la forza di un ecosistema dipende dalla diversità delle specie al suo interno), la legge dell’interdipendenza, la consapevolezza che le risorse sono limitate.
Una prospettiva ecologista, quindi, non è limitata alla visione ambientalista, ma si pone come cornice di metodo e direzione. Una prospettiva ecologista – e progressista – non è fatta dalla somma delle battaglie dei comitati e delle lotte, ma dall’integrazione delle diverse istanze in un’ottica di equilibrio, interdipendenza e valorizzazione della diversità.
Pertanto, è un lavoro faticoso, fatto di dialogo, apertura, cura, concertazione, empatia.
Crediamo che i tempi siano maturi, la necessità della transizione ecologica si sta palesando nelle sue manifestazioni più drammatiche e sta diventando un “valore”, soprattutto tra i ragazzi e le ragazze più giovani. Quindi a noi la responsabilità, da un lato di portare questa visione e questi valori in tutti i luoghi della vita pubblica e della società riappropriandosi di luoghi e spazi lasciati alle destre, dall’altro di lavorare incessantemente affinché la politica faccia un salto, ovvero smetta di tenere insieme i particolari in un equilibrismo precario e di facciata a crei un equilibrio reale tra persone e l’ambiente in cui viviamo.”
Ecolo’ è fra le venti associazioni, movimenti, soggetti economici, interrogano la politica e chiedono una vera svolta rinnovabile per l’Italia
Venti grandi associazioni nazionali coordinate da Cittadini per l’Italia Rinnovabile chiedono alla politica garanzie e impegni precisi, per una svolta rinnovabile necessaria, senza più tentennamenti.
E lo faranno in una maratona on line, in diretta su facebook, dalle ore 16 alle ore 22, domenica 18 settembre 2022, che sarà trasmessa sui canali fb di vari associazioni promotrici, tra cui Ecofuturo, Ecolobby e, appunto, Cittadini per l’Italia Rinnovabile.
Il parterre dei promotori è davvero ricco.
Ci sono associazioni ecologiste storiche (e più recenti) come Legambiente, Wwf, Kyoto Club, Ecofuturo, Ecolobby, Ecolo’, Rinascimento Green, Cetri-Tires.
Ci sono le sezioni italiane dei nuovi movimenti mondiali contro il climate change come Fridays for Future ed Extinction Rebellion.
Ci sono associazioni legate all’imprenditoria rinnovabile e dell’efficienza energetica, come Coordinamento free, Italia Solare, Giga, i produttori di pompe di calore (Arse), e di biometano (Cib).
C’è la stampa di settore come Greenreport e QualEnergia.
C’è una grande associazione sociale storica come l’Arci nazionale, che ha da tempo sposato una riflessione molto forte sul tema energetico, e l’Isde, Associazione Nazionale Medici per l’Ambiente.
“Chiediamo a tutte le liste presenti alle elezioni e a tutte e tutti i candidati di rispondere in merito alla nostra agenda politica, con un breve video o un post, e di rendersi disponibili ad intervenire in diretta al nostro evento on line del 18 Settembre ” – dichiarano i promotori dell’iniziativa.
Alcuni interventi alla maratona on line già assicurati sono quelli di Gianni Silvestrini, Francesco Ferrante, Annalisa Corrado, Fabio Roggiolani, Katiuscia Eroe, Maria Grazia Midulla, Agnese Casadei, Luca Sardo, Giovanni Mori, Sergio Ferraris, Michele Dotti, Daniela Passeri, Elena Pagliai, Gaia Pedrolli, Mauro Romanelli, Ricccardo Bani, Giovanni Graziani, Averaldo Farri, Stephanie Brancaforte … “ma ce ne saranno diversi altri”, si assicura.
I candidati che per adesso hanno garantito la propria partecipazione sono per il Pd Chiara Braga, per il csx Rossella Muroni, per il M5s Livio de Santoli, Patty l’Abate e Tony Trevisi, per Più Europa Simona Viola, per Noi Moderati Sergio Santoro, per Sin Ita/Verdi/Possibile Angelo Bonelli, per Unione Popolare Francesca Conti e Maurizio Acerbo.
La piattaforma politica è molto chiara, concisa e senza ambiguità, e si legge in un fiato: sbloccare i Gw fermi causa burocrazia, riscrivere il piano nazionale energia e clima e il capacity market, puntare senza indugi su comunità energetiche, mobilità elettrica, agrivoltaico e biometano, migliorare il superbonus ed estenderlo al’edilizia pubblica.
Le domande sono sul piatto, ora vediamo le risposte.
E’ giusto che le istituzioni si interessino di cosa mangiamo? Come scegliamo da un menù cosa mangiare e che conseguenze ha questo sul nostro pianeta? Abbiamo Intervistato Daniele Pollicino, Messinese trapiantato a Londra, dottorando di Psicologia e Scienze Comportamentali alla London School of Economics.
Ecoló: Ciao Daniele e grazie per il tempo che ci dedichi per questa intervista. Per prima cosa ci racconti chi sei?
Mi chiamo Daniele Pollicino, ho 28 anni ed al momento ricopro una posizione come dottorando di ricerca presso la London School of Economics and Political Science (LSE). Mi ritengo un ragazzo semplice, cresciuto in Sicilia e da sempre affascinato dal funzionamento della mente umana (che non smetterà mai di sorprendermi e stupirmi).
Dopo circa una decade di frequenti spostamenti per motivi di studio, oggi vivo a Londra e faccio parte del Dipartimento di Psicologia e Behavioural Science (Scienze Comportamentali) della LSE, dove studio meccanismi e dinamiche di comportamento umano legati al mondo della sostenibilità alimentare. Sono profondamente grato ad i miei due supervisori (Ganga Shreedhar e Matteo Galizzi) per aver creduto nella validità del mio progetto di ricerca ed avermi dato la possibilità di unirmi a questo incredibile Dipartimento.
Ecoló: Ci racconti il percorso che ti ha portato a Londra?
Londra è sempre stata nei miei pensieri. Sono siciliano, di Messina, ma ho vissuto e studiato per tanti anni fuori. Dalla prima esperienza negli U.S.A. a diciassette anni dove ho frequentato il quarto anno di liceo, agli anni di università in Trentino, per poi trasferirmi prima a Maastricht in Olanda e poi ad Oxford in UK. Un lungo percorso universitario che mi ha permesso di realizzare un sogno: vivere e fare ricerca a Londra.
Dopo essermi laureato e specializzato nel campo delle Neuroscienze, ho deciso di intraprendere un percorso leggermente diverso ma che mi permettesse di rispondere a domande di ricerca che ritengo fondamentali in questo particolare momento storico della nostra società. Per me oggi è un sogno poter studiare e lavorare sul tema che più mi sta a cuore. Londra è una città dove ero sicuro avrei trovato ciò che cercavo e che potrei riassumere come un intreccio di interessi e passioni che includono la ricerca scientifica, l’attivismo climatico e la musica.
Ecoló: Puoi spiegarci in modo comprensibile di cosa si occupano le tue ricerche?
Il mio progetto di ricerca riguarda i comportamenti alimentari. Individuali e collettivi, a partire da chi va a fare la spesa a chi va a cena al ristorante. Ciò che studio mi permette di esplorare i fattori che motivano le varie scelte alimentari e le barriere che le ostacolano, per poter capire come intervenire e potenzialmente influenzarle. Nel campo della sostenibilità alimentare questo si traduce ad esempio nel promuovere una riduzione del consumo di prodotti a base animale e promuovere l’adozione di abitudini di tipo “plant-based”, ossia derivante da un utilizzo di risorse a base di piante. Una dieta quindi prevalentemente vegetariana.
Se vogliamo essere più specifici, sono personalmente interessato allo studio delle norme sociali riguardo ciò che mangiamo. Le norme sociali possono essere descritte come un insieme di regole o standard di comportamento informali e non scritti. Molto spesso aderiamo a questo tipo di norme senza rendercene conto. Possono riferirsi a ciò che la maggior parte delle persone in un gruppo pensa o fa. Questo esercita una forte influenza sul nostro comportamento, perché seguire (o non seguire) le norme è associato a giudizi sociali. Ecco un esempio. Quando parliamo di cibo, ciò si traduce spesso nell’associazione di una dieta vegetariana ad una ridotta mascolinità della persona. Un’associazione che a livello percettivo costituisce una forte barriera all’adozione del tipo di alimentazione vegetariana. Cambiare queste narrative sociali è oggi fondamentale per muoversi verso una società che deve urgentemente prendere una posizione forte e consapevole contro i cambiamenti climatici.
Ecoló: Spesso l’opinione pubblica ironizza su chi pone l’accento sull’insostenibilità di come mangiamo. Come se non fosse un elemento centrale della transizione. Quando introduci le tue ricerche quali evidenze risultano convincenti nello spiegare che si tratta invece di un aspetto fondamentale?
Assolutamente vero, si parla ancora poco di cibo e della transizione che l’industria alimentare dovrà affrontare. Sinceramente, comprendo l’ironia. Il cibo è un argomento davvero complicato. Ciascuno di noi ha con esso una relazione molto intima e personale ed è per questo che è davvero difficile cambiare le abitudini alimentari. Tuttavia, è una conversione che dobbiamo iniziare a compiere. Quando mi presento e spiego cosa faccio cerco sempre di affrontare l’argomento a piccole dosi.
Non essendoci grande divulgazione di informazione al riguardo, la maggior parte di noi ignora i lati distruttivi della moderna industria del cibo e di come le lunghe filiere che ci fanno arrivare il cibo in tavola stiano compromettendo il futuro del nostro pianeta su diversi livelli. Tanto si parla di transizione energetica e di macchine elettriche, ma in tanti non sanno che il sistema alimentare mondiale è responsabile della produzione di circa un terzo delle emissioni climalteranti (CO2 equivalenti), che sono oggi la principale causa del riscaldamento globale. Un sistema molto complesso sì, ma nel quale alcuni semplici cambi di abitudine alimentare possono già avere grande impatto.
Ad esempio, sostituire prodotti a base animale con prodotti a base di piante potrebbe ridurre le emissioni derivanti dalla produzione alimentare del 55% pro capite rispetto ai modelli alimentari previsti per il 2050. Il consenso scientifico al riguardo è ormai indiscutibile: abbandonare la carne e i latticini è il modo più efficace per rigenerare i nostri ecosistemi e prevenirne la distruzione. Per non parlare del profilo più sociale della questione, ad esempio soltanto in Italia l’industria si sporca le mani del sudore e sangue di manodopera/lavoratori a basso costo (principalmente immigrati). Caso più noto quello del sistema del caporalato e della produzione di pomodori.
Ecoló: Nella tua ricerca ti sei occupato di nudging (spesso tradotto in italiano con “spingere dolcemente”), strumenti che le istituzioni possono utilizzare per modificare la percezione delle persone che compiono scelte e che alla fine li inducono a comportarsi in un modo piuttosto che in un altro. Qualcuno potrebbe vedere in questi strumenti una forma di manipolazione. In che misura pensi che sia legittimo per lo stato usare questi strumenti?
Devo dire non ero al corrente di questa traduzione “spingere dolcemente”, la trovo interessante e probabilmente rende abbastanza bene l’idea. Nudging significa orientare scelte di comportamento e azioni di individui e gruppi di persone verso direzioni desiderabili. Sottolineando che questo non comporta la perdita di libertà di scelta di queste persone! L’opzione A e l’opzione B sono entrambe presenti nel panorama di scelta, tu hai ancora tutte le capacità e risorse per scegliere quella che preferisci. Quello che succede è che “io” cercherò di indirizzarti verso una delle due. Nel caso della sostenibilità alimentare, sarà quella che a livello scientifico risulta essere meno nociva e più benefica nei confronti del pianeta, la nostra salute e del mondo animale.
Chi oggi contesta il nudging come una forma di manipolazione poco etica lo fa anche perché rimane comunque viva la domanda etica e filosofica, “chi sei tu per decidere cosa è desiderabile?”. Una posizione comprensibile che porta a conversazioni interessanti. Negli ultimi mesi ho tanto sentito parlare di come rendere strategie di nudging sempre più trasparenti e sincere, cercando di rendere le persone il più coinvolte possibile nei processi di formulazione ed implementazione di queste strategie.
Dalla mia mi sento di difendere questa pratica in quanto, in particolar modo nel mio caso, essa deriva da lunghi processi di studio su come rendere il nostro futuro meno incerto e più equo nei confronti di chi già oggi subisce le conseguenze di scelte da noi, più o meno inconsapevolmente, fatte. Sfido chi ritiene “le mie dolci spinte” poco legittimate a riflettere sulla quantità di strumenti di promozione e marketing delle quali ogni giorno siamo vittima. In un mondo dove si stima l’americano medio veda circa 5000 messaggi commerciali al giorno, cosa che induce poi a ritenere il consumo e lo spendere come unica fonte di appagamento e soddisfazione personale.
Ecoló: Vuoi farci un esempio di utilizzo virtuoso di questi strumenti per il quale è possibile quantificare la riduzione di emissioni ottenuta?
Per riprendere ciò che dicevo prima, si stima che nel Regno Unito il passaggio da una dieta ad alto contenuto di carne (>100g al giorno) a una dieta interamente vegetariana ridurrebbe le emissioni climalteranti del consumo di una persona del 47%. Se parliamo di singoli cambi comportamentali nella nostra vita quotidiana, questa è una percentuale altissima!
Nell’ambito delle politiche alimentari, utilizzare “default verdi” sembra essere un intervento efficace per ridurre il consumo di carne; si tratta di presentare scelte vegetariane come impostazione predefinita. Nel caso di una cena al ristorante, il menù principale conterrà solo opzioni vegetariane, ma sottolineando la possibilità di indicare la propria preferenza non vegetariana e scegliere altro. Molte scelte alimentari tendono ad essere fatte in modo rapido e intuitivo, e la maggior parte di noi preferisce così non deviare dalla scelta predefinita, per motivi di pigrizia o magari perché deduciamo tutti siano d’accordo con essa. È stato dimostrato che questo tipo di strategie incoraggiano un consumo più sostenibili. In studi provenienti da tre conferenze nel 2019, l’uso di default ha permesso a un gruppo di ricercatori in Danimarca di aumentare la percentuale di scelta del menù vegetariano dal 2% al 87%. Non tutti gli studi hanno risorse sufficienti per poi quantificare oggettivamente la riduzione di emissioni ottenute, spesso ci si limita a calcolare la differenza nel numero di vendite/ordini e stimare i benefici.
Ecoló: La nostra impressione è che il Regno Unito sia più avanti dell’Italia nella transizione, sei d’accordo, qual è il primo e più urgente intervento che importeresti nella penisola dalla Gran Bretagna?
Chi mi conosce sa bene che non sono un italiano estremamente patriottico, ma in questo caso devo esserlo. Se ci spingiamo a dire che il Regno Unito è più avanti nella transizione alimentare, io mi spingo a dire che l’Italia è così indietro che si trova in realtà avanti. Mi spiego. Il consumo alimentare in Italia segue pratiche che per nostra fortuna sono già più sostenibili di natura. La dieta Mediterranea è un piccolo gioiello del quale dovremmo gioire e riconoscerne il privilegio di poterne usufruire, mentre la dieta media UK segue consumi diversi che portano ad esempio ad avere prodotti a base di carne in quasi tutti i pasti. Sono forse più avanti, ma anche perché hanno più strada da fare.
Ciò detto, preferirei non essere frainteso. Anche noi in Italia dovremo cambiare i nostri consumi. In effetti mi sembra personalmente più facile influenzare futuri consumi alimentari in UK piuttosto che in Italia, forse perché la nostra tradizione e il nostro patrimonio culturale di cibo è qualcosa di davvero fortemente radicato nella nostra storia e società. Al momento vedo il concetto del plant-based, di una riduzione del consumo di carne, dell’adozione di diete vegetariane/vegane essere più in voga in UK. Ma anche per questo tipo di sfide ritengo interessante il lavoro che faccio questi giorni.
Ecoló: Sei d’accordo che politiche di “spinta dolce” potrebbero non bastare? Pensi, come noi, che serviranno a breve anche spinte decise (e pedate nel sedere!)?
Questo è un punto molto interessante. Questo tipo di politiche hanno conosciuto grande fortuna e popolarità negli ultimi anni, ma non sempre grande successo. Questo perché si sta capendo sono molto più dipendenti dal contesto dove vengono implementate di quanto si credesse. Di base, la stessa misura politica di “spinta dolce” applicata in Italia o in Regno Unito può portare ad esiti ben diversi.
Ultimamente si parla spesso in ambito accademico di come queste possano/debbano essere implementate da misure più “decise”, come dite voi. Queste possono essere tasse, divieti e regolamentazioni più severe che lasciano meno possibilità di scelta al cittadino. Tanti studi stanno dimostrando come l’uso combinato e integrato di spinte “dolci” e “decise” possa spesso portare risultati più desiderabili ed anche più efficaci/rapidi, che nel caso di misure rivolte a contrastare il cambiamento climatico servono nel modo più rapido possibile!
Ecoló: Sulla tua pagina istituzionale ti definisci “attivista per il clima”. È nato prima l’attivismo o la ricerca sulla sostenibilità delle nostre diete?
Assolutamente prima l’attivismo. Continuo a sperare che quel lato prevalga sempre su quello di ricerca (cosa non forse troppo conveniente per il mio futuro accademico). Devo ringraziare le persone incontrate ad Oxford e le tante discussioni che ho avuto modo di avere durante quel periodo di studio. Sono stato profondamente colpito dalla devozione di alcuni di loro alle cause per le quali combattevano, utilizzando gran parte del proprio tempo tra studi e vita privata. Mi hanno spinto a pensare che anche io potevo fare di più. Che dovevo fare di più facendo io parte di quella parte privilegiata della società che può permettersi di fare cambi di vita senza in fin dei conti troppi sforzi. Molti di noi, abitanti del ricco mondo occidentale, facciamo parte di questo gruppo, per quanto lo si voglia credere o no è così.
La ricerca sulla sostenibilità delle nostre diete è poi stata in gran parte ispirata dagli studi di mio fratello Dario, il quale faceva già parte di questo campo di studio, anche se più dal punto di vista della lotta verso una produzione agricola più solidale e che rispetti maggiormente sia il territorio che i suoi lavoratori.
Ecoló: C’è chi sostiene che la scienza debba studiare il mondo nel modo più oggettivo possibile. Talvolta i ricercatori sono accusati di approcciare i loro studi con una lente ideologica. Pensi che sia una critica fondata nel tuo caso? O avere una forte motivazione politica è un elemento di forza per la tua attività professionale?
Di certo approcciare il metodo scientifico influenzati dalla soggettività personale non è ideale se si vuole nel tempo condurre ricerca rigorosa e che abbia metodologicamente senso. In fin dei conti, ci fidiamo dei risultati scientifici esattamente perché la sua evidenza dovrebbe essere inconfutabile. Se manca il rigore, andiamo a parlare di pseudoscienza.
Ciò nonostante, nel mio caso particolare credo che una contaminazione ideologica possa anche risultare benefica. Nell’ultimo anno, ho più volte ascoltato le parole di un collega di Cambridge (Kristian Nielsen) durante le sue presentazioni. Sostiene che gli psicologi possono migliorare il loro contributo alla mitigazione del declino ambientale se ci si concentra principalmente sull’impatto dei fenomeni studiati, e solo secondariamente sulla rilevanza della teoria nel definire le priorità di ricerca. Il nostro campo di studio è di certo particolare e la scienza (della quale ci fidiamo) ci dice appunto che non abbiamo troppo tempo per cambiare le cose. Dunque, se la mia motivazione politica può portarmi a lavorare su progetti che cercano di avere un impatto nella vita reale piuttosto che solo a livello accademico, credo ne sarò solo contento. Se poi si riesce ad ottenere entrambi i risultati, ben venga.
Ecoló: Con le elezioni che si avvicinano in Italia la nostra impressione è che gli ecologisti rischino ancora una volta di dover scegliere fra partiti ben organizzati ma totalmente sordi alle urgenze della crisi climatica e partitini che, pur avendo chiare le priorità, non sono all’altezza della sfida in termini di classe dirigente e organizzazione. Cosa è mancato al movimento politico ecologista italiano in questi anni? Cosa possiamo fare per non ritrovarci fra qualche anno ancora in queste condizioni?
Questa è una domanda alla quale vorrei rispondere con la maggior umiltà possibile. Nel senso, non vivo in Italia da ormai tanti anni. Il mio occhio è sempre rimasto vigile su quanto accade nel nostro Paese, ma non vorrei mancare di rispetto al nostro movimento politico ecologista senza una totale cognizione di causa.
Quello che posso permettermi di dire, è che vedo in Inghilterra una larga e diffusa presenza di gruppi “grassroots”, ossia di gente comune che cerca il cambiamento dal basso. Comunità locali che operano principalmente a livello di quartiere, per poi spesso unirsi al medesimo movimento cittadino e nazionale. Giorno dopo giorno diffondono il loro messaggio e riescono così pian piano ad arrivare alla popolazione generale. Trovo in primo luogo un interesse verso quelle che sono appunto le problematiche di quartiere. Pensare sì alle sfide a livello globale, ma agire anche molto a livello locale. Forse questa è una delle chiavi del loro successo.
Molte persone si uniscono perché vedono un obiettivo comune che a loro interessa perché impatta direttamente la loro vita privata! Non tutti possono unirsi al movimento perché animati da forte spirito empatico, rivolto a comunità lontane nello spazio e/o nel tempo, al mondo naturale e/o animale. A tal punto, la psicologia e le scienze comportamentali possono sicuramente aiutare a trovare risposte. In questo momento, membri del mio gruppo (Planet Lab) stanno conducendo ricerca per conto di Extinction Rebellion.
Anche qui, non voglio intendere in Italia questi gruppi non esistano. Anzi, quelli che conosco operano anche bene a mio parere. Ma evidentemente si potrebbe operare anche meglio. Non sarebbe male avere il sostegno delle istituzioni, le quali oggi sembrano invece più al servizio di poteri ed interessi privati capitalisti che di veri processi democratici e popolari.
Grazie ai social media sono in contatto con tanti altri attivisti italiani, soprattutto giovani. Per me quella è la speranza: vedere una nuova ondata di energia e coraggio che può davvero cambiare le cose, con grande resilienza, una testa alla volta.
Sto imparando molto in questi mesi e spero di poter rispondere meglio a questa domanda la prossima volta che parleremo.
Ecolo’: grazie mille del tuo tempo Daniele. A presto!
Abbiamo intervistato Andrés Lasso, biologo, giardiniere e responsabile per Legambiente Toscana del verde urbano, già candidato sindaco per la Federazione dei Verdi a Firenze nel 2019.
Ecolo’: Ciao Andrés, grazie per la tua disponibilità, per prima cosa vorremmo chiederti se quello che ci sembra di vedere attorno a noi, cioè un deperimento del verde urbano e periurbano, è una suggestione o è confermato dai dati a tua disposizione?
Grazie a voi per questa occasione di confronto. Il deperimento del verde c’è, teniamo conto che abbiamo vissuto un’estate davvero eccezionale, (che purtroppo sta diventando la norma o quasi), con cinque intense e prolungate ondate di calore in contemporanea a una siccità spaventosa. Anche specie adattate a climi caldi e asciutti, penso all’alloro, sono andate in gran sofferenza.
Al netto di questa eccezionalità, questo deperimento ha anche spesso delle cause più circoscritte: errata pianificazione, budget scarsi o allocati in modo sbagliato, assenza di risorse, mancanza di competenza. Tutto questo incide sulla qualità complessiva del verde urbano.
Ecolo’: Le piante che muoiono sono necessariamente piante che sarebbero morte comunque in breve, o sono piante meno adatte al clima che cambia?
Le piante possono morire per vari fattori. Incide ad esempio l’età e la dimensione di una pianta (piante messe a dimora da grandi hanno enormi esigenze idriche per almeno due se non tre estati consecutive), la specie utilizzata, la posizione, la qualità del lavoro fatto e del materiale vivaistico, la stagione in cui viene fatto. La messa a dimora per una pianta è un passaggio delicato, un certo tasso di mortalità sui nuovi impianti può essere fisiologico, l’impressione nella nostra città è che siamo molto oltre il tasso considerabile come accettabile. Il clima che cambia richiederebbe una maggior attenzione alle piante di recente messa a dimora durante stagioni estive così critiche. Questa attenzione complessivamente è molto carente.
Ecolo’: Sappiamo che le due persone morte a Lucca e a Massa per il maltempo sono state entrambe schiacciate da alberi che non hanno retto alle raffiche di vento. Possiamo aspettarci gli stessi rischi in autunno nelle nostre città? Che problemi pongono dal punto di vista della sicurezza?
Quando avvengono raffiche di vento oltre i 100 km/h gli alberi iniziano a fare paura, lo so bene. Va detto che anche oggi in epoca di eventi estremi, il rischio di morire schiacciati da un albero resta un rischio relativamente basso, inferiore a quello di essere colpiti da un fulmine, enormemente inferiore a quello di essere investiti da un’auto. Questo non deve certo condurci a una sottovalutazione del rischio, deve farci pensare però in termini di rischio accettabile, perché il rischio zero non esiste in nessun campo e neanche nell’arboricoltura. Deve anche portarci a una maggior competenza nella gestione dell’alto fusto, perché spesso le piante più pericolose sono piante potate male (anche nell’ultimo evento ho visto molte piante sbrancate in corrispondenza di precedenti capitozzature). Deve anche portarci a una revisione dei protocolli. Il sistema VTA (visual tree assessment) con le sue classi di rischio, è un sistema che dobbiamo considerare obsoleto, come affermato dal dottor Luigi Sani in un recente convegno dell’ANCI Toscana.
Ecolo’: curiosamente i grandi accusati di mettere a repentaglio la sicurezza in città, i pini, sembrano stare benone. È anche qui una nostra impressione o in effetti si tratta di piante più capaci di resistere al clima più caldo e siccitoso?
Il pino domestico si è guadagnato una cattiva fama negli ultimi anni tra la cittadinanza e tra gli amministratori. Al punto che si vedono spesso abbattimenti di interi filari per sostituirli con altre specie. In realtà un pino allevato bene è una pianta che sa resistere ai venti forti. A Trieste, città in cui soffia la bora vari giorni all’anno, una delle piante prevalenti è il pino domestico, oltre al pino d’Aleppo. Nell’ultimo evento a Firenze si sono avuti venti molto intensi su chiome asciutte (la pioggia è caduta dopo le forti raffiche) In queste condizioni sono andati più in sofferenza i cipressi ad esempio, i pini hanno retto benissimo. Comunque credo che su queste situazioni sappiamo ancora poco, ci basiamo per lo più su osservazioni empiriche riguardanti fenomeni che fino a poco tempo fa erano rarissimi. Un dato a sfavore del pino è quello che riguarda i sempreverdi: siccome molti eventi estremi arrivano d’inverno, quando altre specie non hanno foglie e dunque oppongono meno resistenza al vento, è chiaro che gli eventi invernali faranno danni più facilmente su pini o cedri piuttosto che su tigli o platani.
Ecolo’: Nella foto qui sotto vedi un esempio della difficoltà del Comune di Firenze nel difendere le piante dalla siccità. Si tratta degli alberi piantati davanti all’ex Meccanotessile. Come è possibile che, per il secondo anno consecutivo, questi alberi vengono piantati e di nuovo muoiano tutti? Si tratta di morti inevitabili? O più verosimilmente c’è qualche errore?
Non avendo visto la situazione di persona dico di aspettare qualche settimana a darli per morti perché a volte le piante stupiscono, e tra la chioma secca potremmo veder spuntare qualche gemma. Molto probabilmente ci sono stati degli errori, sicuramente trascuratezza nelle annaffiature estive. Sul meccanotessile se vediamo una foto aerea precedente al cantiere vediamo che il verde era ben superiore e l’asfalto minore. In situazioni come quella in foto, con l’asfalto che arriva molto a ridosso del colletto della pianta, la temperatura alla quale la pianta può trovarsi nelle giornate di caldo estremo diventa veramente altissima. Tra l’altro secondo il regolamento del verde del comune di Firenze, la “zona di rispetto dell’albero” dovrebbe avere un raggio che va dai 2 ai 4 metri in base al tipo di specie. Da quello che si vede in foto la distanza tra l’asfalto e il fusto è intorno a un metro circa.
Ecolo’: Sono arrivati dei temporali e i prati sono velocemente rinverditi. Ma quali sono gli effetti a catena che possiamo attenderci nel medio e lungo periodo sullo stato del verde delle nostre città?
Se non si invertono i trend in atto, sia quelli climatici che quelli gestionali, vedremo molti disseccamenti di siepi (che a differenza dei prati, se seccano del tutto non recuperano dopo l’estate), continueremo a vedere un tasso di mortalità elevato nei nuovi impianti, vedremo abbattimenti sbrigativi dettati più dalla paura che dall’analisi razionale delle situazioni, vedremo proliferare specie aliene invasive come l’ailanto, ed avremo un verde urbano complessivamente trascurato e al di sotto delle proprie potenzialità.
Ecolo’: Siamo rimasti colpiti da quanto sta succedendo sulle Dolomiti orientali, la tempesta del 2018 ha danneggiato il bosco, le decine di migliaia di piante rimaste a marcire insieme al caldo e alla siccità di queste estati, hanno creato un habitat favorevole ad un coleottero, il bostrico, che infestando gli abeti ne causa velocemente la morte. Anche se non se ne parla si tratta di una catastrofe ecologica ed economica per alcune zone del nostro paese. Possiamo immaginare scenari del genere anche nel resto di Italia e nelle nostre città?
Premesso che non sono un esperto in gestione forestale, sicuramente il bostrico è un patogeno molto temibile perché porta a morte tutta la pianta. Problemi di bostrico ne abbiamo anche dalle nostre parti, alla riserva dell’Acquerino, dove ha fatto notizia lo scontro tra comune di Cantagallo e Regione toscana su dei tagli previsti, tra le varie questioni c’era di mezzo anche il bostrico. Dal punto di vista ecologico il bostrico è un parassita nostrano, non è una specie aliena e questo fa sì che in un ecosistema funzionale esistano anche i suoi antagonisti, dal picchio, a insetti parassitoidi, a funghi patogeni, che aiutano a far sì che le “pullulazioni” abbiano un picco e poi si ritorni dopo qualche anno a un equilibrio. In generale resta vero che un ecosistema con maggior biodiversità è più resiliente anche rispetto a questi eventi, mentre invece un contesto a bassa biodiversità, monospecifico o quasi, è più fragile. Un bosco in cui l’abete rosso, privilegiato dal bostrico, è mescolato ad altre specie come il pino silvestre, il larice, il pino cembro, l’abete bianco, potrebbe contribuire a frenare le esplosioni di bostrico. E’ comunque vero che situazioni come la tempesta “VAIA” del 2018 sono eventi talmente inediti che creano degli scenari e interrogativi nuovi anche dal punto di vista ecologico.
Ecolo’: la tragedia delle Alpi introduce vari temi interessanti fra i quali quello dello smaltimento. Cosa accade agli alberi che muoiono? Il legno viene recuperato in qualche modo?
Questa è una domanda fondamentale dal punto di vista della CO2 e della ricerca di una carbon neutrality. Oggi il “cosa accade dopo”, al materiale di risulta, almeno nelle nostre città, è a totale discrezione delle ditte che eseguono abbattimenti e potature. Invece esistono scelte che mantengono sequestrato gran parte del carbonio che la pianta ha fissato e altre che lo rimandano in atmosfera. Usare quella legna per fare mobili, per fare cippato, per fare giochi per bambini nei parchi, sono scelte che conservano sequestrato il carbonio. Bruciare la legna significa rimandare quel carbonio in atmosfera. E’ evidente cosa sia meglio. Nell’agosto 2015, quando ci fu il disastro che distrusse la zona dell’anconella a Firenze, una ditta che conosco si è presentata in quartiere 2 proponendo un progetto in cui quella legna diveniva arredi per il parco stesso e giochi per bambini. Purtroppo il progetto non venne accolto. Cosa è successo a quella legna non lo so con certezza ma probabilmente quel carbonio ha fatto una fine diversa. Al di là di questi eventi estremi, il tema si pone anche per la gestione ordinaria. Ogni anno dal nostro verde urbano escono tonnellate di materiale di risulta sotto forma di foglie cadute d’autunno, potature, abbattimenti. La gestione di quel materiale sarebbe un tema chiave se vogliamo che il verde abbia davvero un impatto sulle concentrazioni di CO2.
Ecolo’: Collegato alla modalità di smaltimento, da un punto di vista dell’equilibrio globale delle emissioni climalteranti, la morte delle piante è un elemento necessariamente negativo? Sappiamo ad esempio che ci sono alcuni tecnici che sostengono che piante in accrescimento siano in grado di stoccare molta CO2 e per questo suggeriscono una strategia basata sulla sostituzione di vecchie piante con piante giovani. Cosa ne pensi?
Credo che intanto dovremmo intenderci su che significhi pianta “giovane”. Un tiglio può vivere oltre mille anni, un melo meno di cento, in genere. Dunque un melo ottantenne è un “anziano”, un tiglio ottantenne è un “ragazzino”. Complessivamente e abborracciando un po’, cito Giorgio Vacchiano, possiamo dire che una pianta ad alto fusto dà il “meglio di sé” come assorbimento di CO2 tra il 50esimo ed il 150esimo anno. Nelle nostre città piante che abbiano più di 150 anni sono praticamente assenti. Dunque sostituirle per “assorbire più CO2” è un errore, se la pianta è in salute e posizionata bene (sulla fotosintesi netta incidono anche altri fattori, non solo l’età). Su questo tema credo si siano diffusi molti equivoci, in seguito anche a dei convegni che non hanno fatto molta chiarezza. Spesso si è confuso produzione con produttività (cioè quella per unità di biomassa o di superficie fogliare). Una foglia di una pianta appena uscita da vivaio, fotosintetizza di più rispetto ad una pianta di 80 anni, ma quella di 80 anni ha una superficie fogliare enormemente superiore. Quando sostituiamo una pianta adulta, a meno che sia vetusta o non in salute, con una nuova, quella nuova impiegherà qualche decennio per avere la stessa capacità di fissare la CO2 della precedente. Non parliamo poi degli altri servizi ecosistemici: dal punto di vista prettamente ecologico, la pianta adulta vince su tutti i fronti.
Ecolo’: Recentemente Andrea Giorgio il nuovo Assessore alla transizione ecologica al Comune di Firenze ha dichiarato di voler realizzare un cambio di passo nella gestione del verde in città. Da dove pensi che dovrebbe cominciare questo nuovo corso dell’amministrazione fiorentina?
Come Legambiente abbiamo avuto interlocuzioni positive con il nuovo assessore Giorgio, mi pare sinceramente desideroso di collaborare e di dare una svolta sul tema del verde urbano. Premesso questo le urgenze sono molte, io ritengo che serva primariamente ricostruire un servizio pubblico del verde, così come servirebbe tornare ad esempio ad avere dei vivai comunali come esistevano a Mantignano. So che sono questioni complesse che non dipendono del tutto neanche da un assessore o da una giunta, molti comuni sono nella stessa situazione, avendo spesso un decimo o un ottavo del personale per il verde che avevano trent’anni fa. Ma se davvero un verde urbano che ci dia una mano a contrastare la crisi ecologica, non possiamo farlo con meno risorse rispetto a quando questi temi non erano all’ordine del giorno. Inoltre, se siamo in epoca di “vacche magre” dobbiamo rivedere le nostre scelte, si vedono cantieri molto onerosi per l’amministrazione su progetti che sono al contempo conflittuali rispetto a gran parte della popolazione, e discutibili dal punto di vista tecnico. Si sono visti abbattimenti sbrigativi, e gli abbattimenti e sostituzioni hanno costi elevati. Dobbiamo essere cauti su progetti che richiedono molti soldi per la manutenzione, come le “living walls”. Quando vedo nella mia città alberature mal gestite e parchi spesso trascurati, e al contempo rotonde stradali estremamente curate, penso che da un lato la nostra società è ancora pensata a misura di auto più che di fruitore di parco, dall’altro che dobbiamo costruire insieme, associazioni, amministrazioni, cittadini, una visione sistemica del verde urbano.
Ecolo’: Grazie mille e a presto!