L’emergere di una pandemia che colpisce le vie respiratorie comporta una significativa richiesta di maschere protettive. I numeri attuali, dovuti all’emergenza sanitaria 2020, dicono che con l’inizio dell’anno scolastico l’utilizzo di mascherine monouso aumenterà fino a 10 milioni al giorno solo per la scuola e le attività collegate, si tratta quindi di 2 miliardi di unità ogni anno!
Sono numeri impressionanti, sia per la produzione di mascherine necessarie, sia per il loro impatto a fine vita. Sono classificate infatti come rifiuto indifferenziato che andrà in discarica o sarà incenerito. Ma molte mascherine saranno semplicemente abbandonate nell’ambiente: incrociando i dati dell’Ispra e diffusi da Legambiente si stima addirittura che in Italia vengano gettate a terra circa 330mila mascherine al giorno.
Da molte parti si levano proteste e richieste di poter utilizzare mascherine lavabili e riutilizzabili invece che usa e getta (Zero Waste Italy e altre associazioni invitano alla mobilitazione il prossimo 30 e 31 ottobre).
La situazione è sicuramente non semplice, ma riteniamo che la politica davanti a questi numeri debba farsi carico, sulla base delle evidenze scientifiche, di valutare le soluzione migliori su un piano sanitario senza trascurare gli aspetti ambientali devastanti che possono comportare.
Perché dobbiamo utilizzare mascherine usa-e-getta?
La mascherina è un presidio fondamentale. È assodata l’importanza di utilizzare mascherine di contenimento per ridurre la probabilità di propagazione dell’infezione da SARS-CoV-2, soprattutto in ambienti chiusi e dove non è possibile mantenere distanze fisiche adeguate. Ciò vale anche per le scuole e, secondo le disposizioni ministeriali vige quindi l’obbligo di mascherina dalle elementari in su, con indirizzo da parte del Comitato Tecnico Scientifico verso l’utilizzo di maschere monouso.
Le mascherine accettate sono quindi quelle chirurgiche. Sono pensate per essere utilizzate in ambiente ospedaliero e in luoghi ove si presti assistenza a pazienti.
Le mascherine chirurgiche devono essere prodotte nel rispetto della norma tecnica UNI EN 14683:2019, che prevede caratteristiche e metodi di prova; possono essere realizzate con uno o più strati sovrapposti di tessuto-non-tessuto (TNT) sviluppati con varie tecnologie. I materiali sono principalmente polipropilene e poliestere, anche se non si esclude la possibilità di utilizzare altri materiali polimerici.
Perché non usiamo le mascherine “di comunità”? Molte persone hanno deciso di utilizzare maschere di stoffa durante la pandemia. Tuttavia, a livello scientifico c’è una conoscenza limitata sulle prestazioni dei tessuti comunemente disponibili e utilizzati per le maschere di stoffa, chiamate anche di comunità.
La valutazione dell’efficacia di una mascherina dipende dalle dimensioni del particolato aerosol nell’intervallo da 10 nm a 10 μm, particolarmente rilevante per trasmissione del virus. L’articolo “Aerosol Filtration Efficiency of Common Fabrics Used in Respiratory Cloth Masks” del U.S. Department of Energy ha effettuato uno studio su diversi tessuti comuni e facilmente disponibili tra cui cotone, seta, chiffon, flanella, vari sintetici e la loro combinazione. I risultati indicano che le efficienze di filtrazione variano dal 5% all’80% per particelle minori di 300nm, e dal 5% al 95% per particelle maggiori, queste però migliorano quando sono stati utilizzati più livelli e quando si utilizza una combinazione specifica di diversi tessuti. L’efficienza di filtrazione degli ibridi (come cotone-seta, cotone-chiffon, cotone-flanella) è risultata essere >80%, per particelle <300 nm e >90%, per particelle >300 nm. Si ipotizza che le prestazioni migliorate degli ibridi siano probabilmente dovute all’effetto combinato di filtrazione meccanica ed elettrostatica. Il cotone, materiale più utilizzato per le maschere di stoffa, offre prestazioni migliori a densità di trama più elevate (ad esempio, numero di fili) e può fare una differenza significativa nell’efficienza di filtrazione.
A giudicare da questi risultati, sembra quindi possibile stabilire differenti combinazioni in grado di fornire una protezione significativa contro la trasmissione anche utilizzando mascherine lavabili di stoffa. Allo stesso tempo, occorre chiedersi quale sia la capacità di mantenere efficacia in funzione del numero e modalità di lavaggio.
Manca quindi uno standard per le mascherine riutilizzabili? A dire il vero non sembra essere questo il problema. Se infatti le combinazioni di strati in tessuto possono essere diverse e di difficile valutazione, così come il loro lavaggio, sono già presenti sul mercato mascherine riutilizzabili in stoffa certificate secondo lo stesso standard UNI EN 14683:2019 valido per le mascherine chirurgiche. Fino ad un certo numero di lavaggi la loro capacità di filtrazione è quindi identica a quella delle mascherine usa-e-getta.
Il limite potrebbe essere allora la capacità produttiva? Considerando i numeri di mascherine in gioco potremmo pensare che la capacità produttiva per mascherine riutilizzabili, certificate secondo lo standard richiesto, non sia attualmente sufficiente a coprire la domanda. Immaginiamo che per garantire la certificabilità del prodotto sia necessario un certo sforzo da parte delle aziende, ma questo ci sembra un limite superabile con una buona capacità di programmazione e coinvolgimento del mondo produttivo da parte della politica.
Il problema del controllo. A nostro avviso il limite principale è nella capacità di controllo. Difatti, avere uno standard che stabilisca, non solo le caratteristiche tecniche, ma anche frequenza e modalità di lavaggio, necessita anche che questo sia rispettato, ma a chi spetta controllare? Non possiamo pensare che siano le scuole, così come le aziende, già oberate da moltissime incombenze anti-COVID, a dover fare anche questi controlli. Ma è importante chiarire che questa criticità vale per le mascherine lavabili ma allo stesso modo per quelle usa-e-getta: chi garantisce che il bambino a scuola o il dipendente non stia usando la stessa mascherina per troppo tempo? Per questo motivo non crediamo che questo argomento possa essere quello decisivo.
Qual è l’impatto ambientale delle mascherine lavabili? L’impatto ecologico delle mascherine lavabili non è zero. Anche se ci è molto caro il concetto di riutilizzo sarà necessaria un’attenta valutazione del materiale utlizzato e del numero di lavaggi ammissibili. Non conosciamo studi specifici sulle mascherine ma, come dimostrato per le borse utilizzate per lo shopping da uno studio dell’Agenzia del Regno Unito per l’Ambiente del 2011, l’impatto di un oggetto riutilizzabile può essere uguale o superiore a quello di uno usa-e-getta. Lo studio dell’Agenzia britannica confrontò il costo in termini di emissioni di CO2eq di vari tipi di sacchetti comunemente usati per la spesa mostrando che, affinché fosse minore l’impatto di una busta riutilizzabile in polipropilene riciclato rispetto a un comune sacchetto di plastica usa-e-getta, era necessario che venisse utilizzata almeno 11 volte. Ancora superiore l’impatto delle shopper in cotone per le quali servono oltre 100 utilizzi perché nel ciclo di vita producano minori emissioni di un sacchetto di plastica.
Basta usa-e-getta quindi? Il problema dei miliardi di mascherine che produrremo nei prossimi mesi non si risolve semplicemente permettendo l’utilizzo di mascherine lavabili. La risposta a situazioni di questo tipo non può venire che da un insieme di soluzioni e, soprattutto, da una serie di azioni che riducano il rischio di contagio ma limitino al contempo il più possibile l’impatto sull’ambiente.
Azioni che comportano condivisione, responsabilizzazione, educazione e formazione. Rafforzare il patto educativo di corresponsabilità scuola-famiglia, informare sull’impatto di ciò che si utilizza, coinvolgere maggiormente il dipendente in azienda nella valutazione delle soluzioni, fornire istruzioni precise sulle modalità di produzione, recupero e riutilizzo delle mascherine. Questo insieme di strategie sono il primo passo per poter gestire soluzioni che integrino la tutela della salute e il rispetto dell’ambiente.
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Enrico Buonincontro è un animatore di comunità, a iniziare da quella degli studenti della sede fiorentina della New York University, dove lavora, fino ad arrivare al gruppo Parco Stibbert degli Angeli del Bello che ha contribuito a fondare. Sabato 10 ottobre ci si può unire a lui e a tanti altri per una giornata nei boschi del Sestaione e della Val di Luce per la prima edizione di “Thrashed Abetone”.
Ecoló: Ciao Enrico, ci racconti cos’è Thrashed Abetone?
Enrico Buonincontro: Thrashed Abetone è una giornata di volontariato aperta a tutti! L’evento prevede la raccolta di piccoli rifiuti abbandonati dai turisti lungo i sentieri di Abetone, della Val Sestaione e della Val di Luce durante il periodo estivo.
Thrashed Abetone sarà organizzato in collaborazione con Thrashed Dolomites che si è tenuto per la prima volta quest anno in Val di Fassa su iniziativa di un gruppo di giovani amanti della montagna che hanno deciso di dare un segnale importante per la difesa dell’ambiente. L’obiettivo è sensibilizzare le persone e creare in tutta Italia una rete di cittadini responsabili, soprattutto giovani. È un progetto che vuole restituire la speranza in un momento così drammatico come quello che stiamo affrontando; è un progetto nato dai giovani ed è anzitutto per i giovani, che saranno il futuro dell’Italia e delle nostre montagne.
Ecoló: Abbiamo letto che i promotori di Thrashed Dolomites in agosto hanno raccolto 600 litri di immondizia intorno al Sella. Cosa ti aspetti per sabato?
EB: L’importante non è quanto raccoglieremo, ma il fatto che la nostra comunità e tante altre persone che amano la montagna si ritroveranno insieme con lo stesso obiettivo: dare un segnale forte in difesa dell’ambiente. Il concetto fondamentale non è raccogliere, ma sensibilizzare.
Ecoló: La giornata mette insieme volontariato ed escursionismo come si riescono a tenere insieme questi due aspetti?
EB: Credo che sia del tutto naturale. Chi ama veramente la montagna non può tollerare che l’ambiente naturale sia trattato senza rispetto. Il desiderio di fare qualcosa nasce spontaneo. Il merito di Thrashed Abetone è di dare voce agli amanti della montagna e di fornire loro gli strumenti per entrare in azione!
Ecoló: Come per gli Angeli del bello a Firenze qualcuno storce il naso davanti a queste iniziative. Una critica che si sente è che in questo modo si deresponsabilizzano le istituzioni che sarebbero preposte a svolgere questi servizi. Cosa rispondente a questa critica?
EB: Capisco il punto di vista di chi avanza simili obiezioni, ma vorrei dimostrare che si realizza proprio l’opposto! Anzitutto, tutti noi, come cittadini, abbiamo una responsabilità nei confronti dell’ambiente e dei beni comuni in generale. Durante tutti questi anni, ho osservato che grazie a iniziative come Thrashed Dolomites (e Thrashed Abetone) si responsabilizzano sia le istituzioni, che i cittadini. Il pubblico non viene sostituito dal privato. L’impegno dei cittadini si accompagna alla volontà di collaborare con le istituzioni e di richiamarle ai propri doveri: i cittadini diventano soggetti partecipi e propositivi, in grado di offrire alle istituzioni conoscenze, risorse e soluzioni; le istituzioni trovano così, nei cittadini, alleati disposti a collaborare per la cura dei beni comuni.
Ecoló: La politica parla spesso della costa toscana e delle zone agricole, la nostra montagna invece rimane il più delle volte tagliata fuori dai progetti di sviluppo regionali. Qual è lo stato di salute del nostro Appennino?
EB: L’Appennino rappresenta un patrimonio inestimabile dal punto di vista ambientale, culturale e sociale. La nostra montagna ha bisogno di progetti concreti, in grado di esprimere una visione di lungo periodo. Non mi riferisco solo alla carenza cronica dei servizi essenziali (viabilità, trasporti e assistenza sanitaria su tutti), ma anche e soprattutto a progetti di sviluppo capaci di generare opportunità e posti di lavoro. Il tutto, naturalmente, all’insegna della sostenibilità e del rispetto dell’ambiente. Ci vogliono amministratori capaci di leggere la complessità della realtà attuale e di tradurla in forme di sviluppo concrete e sostenibili.
Anche i cittadini, però, devono dare il loro contributo. Per questo, un progetto come Thrashed Abetone può dare impulso a energie positive e aiutare i cittadini della montagna a riscoprire uno spirito di coesione.
Ecoló: Noi siamo convinti che la montagna toscana dovrebbe puntare su un futuro più sostenibile e non su nuovi impianti di risalita come quello progettato fra la Doganaccia e lo Scaffaiolo. Di cosa ha bisogno secondo te la Montagna Pistoiese oggi?
EB: Quest’estate ho iniziato un viaggio a piedi lungo i sentieri della Montagna Pistoiese. Mi sono spinto fino a Pàvana, la frazione di Sambuca Pistoiese dove vive Francesco Guccini. Ho deciso di fare questo viaggio per scoprire in modo autentico il territorio. Camminare mi ha permesso di entrare in contatto con le persone e di visitare luoghi che non avrei altrimenti scoperto. Uno dei percorsi più belli – e che mi sento di consigliare a tutti – è il Cammino di San Bartolomeo, una via pedonale che unisce Fiumalbo a Pistoia in cinque tappe. La Montagna Pistoiese è il crocevia di numerosi cammini e percorsi di più giorni: ad Abetone fanno tappa la Grande Escursione Appenninica, l’Alta Via dei Parchi (nella valle del Sestaione si attraversa la più bella foresta che si incontra sull’intero percorso dell’Alta Via) e adesso anche il Sentiero Italia del CAI; a Cutigliano si intersecano il già menzionato Cammino di San Bartolomeo e la Romea Strata Nonantolana-Longobarda. Un’altra esperienza da vivere è il grande museo diffuso che permette di conoscere la montagna attraverso il rapporto tra uomo e ambiente nei secoli: l’Ecomuseo della Montagna Pistoiese.
Il futuro della nostra montagna passa dalla valorizzazione di simili esperienze e, soprattutto, dalla destagionalizzazione. L’inverno è importantissimo dal punto di vista turistico, ma non ci possiamo più limitare a una sola stagione, con l’aggiunta di poche settimane in estate. Destagionalizzare – e quindi diversificare – è l’obiettivo essenziale per un turismo più sostenibile. La primavera e l’autunno sono due stagioni bellissime per scoprire il nostro territorio. Molti imprenditori del settore turistico e alberghiero, soprattutto giovani, l’hanno capito. Li dobbiamo sostenere.
Ecoló: Prima di salutarci ci spieghi come è possibile partecipare a Thrashed Abetone?
EB: Sabato 10 ottobre la giornata di raccolta inizierà ufficialmente alle 9:00 presso lo stand di “Thrashed Dolomites” che sarà collocato sulla terrazza panoramica del centralissimo piazzale Europa (meglio conosciuto come piazzale delle Piramidi) ad Abetone, nei pressi della scritta “Abetone 100” (orario 9:00-16:00, per informazioni: Enrico 3286249393, @locanda_farinati_abetone).
Un altro stand di “Thrashed Abetone” sarà allestito dalla Pro Loco di Pian degli Ontani (in collaborazione con il Gruppo Alpini “Aldo Pagliai” Cutigliano) a Pian di Novello, presso il parcheggio della Pianaccina (orario 9-16; per informazioni: 3663507854).
In Val di Luce, grazie al sostegno di Val di Luce Spa, sarà organizzato un altro evento di “Thrashed Abetone”, con la partecipazione dei dipendenti della società, dei cittadini e di quanti vorranno dare il proprio aiuto (per informazioni consultare la pagina Facebook Info Val di Luce).
Non è necessario iscriversi! Basta passare da uno degli stand di “Thrashed Abetone” per avere tutte le informazioni e per ritirare gratuitamente il materiale necessario per la raccolta. Saranno distribuiti sacchetti e guanti monouso a tutti i partecipanti: cittadini abetonesi, escursionisti e amanti della montagna. Ognuno cercherà i rifiuti autonomamente o in gruppo lungo i sentieri di Abetone, della Val Sestaione e della Val di Luce. Saranno anche organizzati due percorsi guidati che partiranno alle 10:00 dallo stand di Abetone.
“Thrashed Abetone” terminerà intorno alle 16:00, quando tutti i partecipanti avranno riportato i sacchetti pieni allo stand di “Thrashed Dolomites” presso il piazzale Europa di Abetone. I rifiuti raccolti saranno quindi differenziati. Perché non basta raccogliere, è necessario anche educare al recupero di quanto non serve più.
Ecoló: Grazie del tuo tempo Enrico e buona raccolta!
Un sistema elettorale basato sulle preferenze non è la soluzione a tutti i mali della politica italiana. Rapporti clientelari possono essere rafforzati da questo meccanismo di selezione. Ma crediamo che in questo momento la priorità per la politica italiana debba essere recuperare un rapporto di fiducia fra eletti e comunità rappresentate. Questo può essere fatto abolendo le candidature multiple e le liste bloccate.
Per questo Ecoló aderisce all’appello di Lorenza Carlassare, Enzo Cheli, Ugo De Siervo, Roberto Zaccaria, Paolo Caretti, Roberto Romboli, Stefano Merlini, Emanuele Rossi, Giovanni Tarli, Andrea Pertici.
Visto il risultato del referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari, come professori di Diritto costituzionale, riteniamo che sia indispensabile procedere rapidamente verso la definizione di una nuova legge elettorale.
Tra di noi, alcuni hanno votato Sì e altri No, ma ora riteniamo che debba essere comune il nostro impegno per sollecitare una legge che favorisca la rappresentanza e il pluralismo politico e territoriale, da anni sacrificati.
Essenziale è un sistema elettorale che consenta alle persone di individuare e scegliere chi mandare in Parlamento, instaurandovi un effettivo rapporto rappresentativo e potendo far valere la loro responsabilità politica. In questo modo si potrà dare una migliore qualità alla rappresentanza e favorire anche una maggiore efficienza delle Camere.
Da troppo tempo le nostre leggi elettorali (“Porcellum”, “Italicum” e “Rosatellum”) hanno imposto sistemi di liste bloccate e la proposta oggi in discussione in Commissione Affari costituzionali della Camera non può rischiare di cadere nello stesso errore, né in quello di privare molti elettori di rappresentanza con soglie troppo elevate. La Corte costituzionale (sentenze n.1 del 2014 e n.35 del 2017) è stata chiara: niente lunghe liste bloccate. Partendo da questo punto, riteniamo essenziale favorire un’effettiva scelta da parte degli elettori, valorizzando i principi costituzionali, superando liste bloccate e candidature multiple.
Con questo appello intendiamo rivolgerci a tutte le forze politiche presenti in Parlamento perché si impegnino nell’approvazione di una legge elettorale che restituisca una maggiore, rappresentanza, invitando i colleghi che condividano le nostre posizioni a unirsi alle nostre richieste.
Ecoló sostiene l’iniziativa europea “salviamo le api e gli agricoltori” è possibile firmare la petizione all’indirizzo: www.savebeesandfarmers.eu
Il diritto di iniziativa dei cittadini europei è uno strumento di partecipazione diretta alla politica dell’Unione europea, previsto dal Trattato sull’Unione Europea, che all’articolo 11 comma 4, prevede che se una iniziativa raccoglie almeno un milione di firme, la Commissione europea e il Parlamento europeo sono tenuti a valutarne le proposte e rispondere alle richieste che vi sono contenute.
L’iniziativa dei cittadini europei ‘Salviamo le api e gli agricoltori’ chiede al Parlamento Europeo:
1) L’eliminazione graduale dei pesticidi sintetici
Eliminare gradualmente i pesticidi sintetici nell’agricoltura dell’UE entro il 2030, iniziando da quelli più pericolosi, per diventare privi al 100% di pesticidi entro il 2035.
2) Il ripristino della biodiversità
Ripristinare gli ecosistemi naturali nelle aree agricole e trasformare i mezzi di produzione in modo che l’agricoltura contribuisca nuovamente alla promozione della biodiversità.
3) Il sostegno agli agricoltori nella transizione
Riformare l’agricoltura dando priorità ad un’agricoltura su piccola scala, diversificata e sostenibile, sostenendo un rapido aumento delle pratiche agroecologiche e biologiche e consentendo la formazione e la ricerca indipendente degli agricoltori in materia di agricoltura senza pesticidi e OGM.
Aiutaci a raggiungere questo obiettivo: ogni firma è importante.
L’utilizzo diffuso di agrofarmaci tossici sta distruggendo la biodiversità delle nostre campagne e mettendo a rischio la nostra salute. Il fenomeno del declino degli insetti impollinatori rischia di annullare un meccanismo fondamentale che è alla base della sopravvivenza di tutto l’ecosistema terrestre e costituisce una terribile minaccia per la sopravvivenza di tutti noi. Nello stesso tempo la diffusione dell’agricoltura industriale sta costringendo alla chiusura un numero sempre crescente di piccole aziende con una industrializzazione sempre più spinta delle pratiche agricole. Quello che deve essere cambiato è il sistema stesso che oggi guida la nostra agricoltura, in modo da poter giungere ad un’agricoltura priva di pesticidi, rispettosa della biodiversità e del clima, vicina alle esigenze del consumatore ma anche dell’agricoltore, capace, nel fornire cibo di qualità e sufficiente a rispondere alle richieste alimentari, di creare lavoro e sostenere le comunità locali.
Per ottenere questo, per innescare e portare a compimento una vera transizione ecologica dell’agricoltura europea, abbiamo bisogno della forza di milioni di firme di cittadini europei.
Hanno aderito alla raccolta moltissime associazioni e movimenti. L’elenco completo è visibile sul sito della iniziativa (www.savebeesandfarmers.eu ). Gli European Greens sono fra i sostenitori dell’iniziativa.
L’Unione Europea sta già facendo dei passi in questa direzione, come si evidenzia dalla nuova Strategia europea sull’agricoltura (Farm to Fork) che è stata approvata nel 2020 e che già indica come obiettivi da raggiungere entro il 2030 la riduzione del 50% dell’uso di pesticidi e del 20% dei fertilizzanti entro il 2030, almeno il 25% del territorio agricolo coltivato secondo i canoni dell’agricoltura biologica, il raggiungimento di una agricoltura neutra dal punto di vista della produzione/assorbimento di carbonio, più resiliente, più equa e più sostenibile. Ma ancora non basta e la necessità del compimento di una vera e completa transizione ecologica dell’agricoltura deve essere sostenuta dalla richiesta e dalla consapevolezza (che comprende anche un comportamento da consumatori consapevoli) dei cittadini europei.
Quando si parla di economia cicolare spesso è la retorica ad avere la meglio. Ma un modo di entrare nel concreto è quello di parlare di vuoto a rendere. Per farlo abbiamo coinvolto Pietro Ceciarini, assegnista di ricerca al Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica, Ambientale e dei Materiali dell’Università di Bologna e fondatore della startup BackBo, nata dal suo progetto di tesi: “Progetto BackBO – Studio di fattibilità per la gestione dei rifiuti da imballaggi attraverso il sistema del vuoto a rendere all’interno della Zona Universitaria di Bologna.”
Ecoló: In Italia produciamo una quantità inimmaginabile di imballaggi. Il dato sulle bottiglie di plastica è da Guinness dei primati con 8 miliardi di bottiglie prodotte ogni anno. Come siamo arrivati fin qui?
Pietro Ceciarini: Il dato delle bottigliette di plastiche è terribile. In Italia siamo il 5° paese in Europa per salubrità della nostra acqua potabile da acquedotto (dietro a paesi prettamente montani come Austria e Svezia ad esempio) e, allo stesso tempo, siamo il 3° paese al mondo per consumo di acqua minerale in bottiglia, dopo Thailandia e Messico, che hanno problemi di potabilità e sicurezza dell’acqua da rubinetto. Siamo arrivati a questo punto perché negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, in pieno boom economico, è stato capito che si potevano fare i soldi con un bene di tutti, privatizzandolo. È stato creato un marketing per esaltare la salubrità dell’acqua in bottiglia che ha iniziato quindi ad essere commercializzata. La televisione, anche oggi, ci propone tantissima pubblicità di acqua minerale che ne esalta gli aspetti salutari, creando una cultura specifica, oltre all’abitudine ad un sapore diverso.
Ecoló: Vuoi dirci, brevemente, come funziona il meccanismo del “vuoto a rendere” e quali ingredienti rendono possibile che funzioni?
PC: Il vuoto a rendere è un meccanismo molto semplice, e per questo bellissimo. Si è sviluppato nel dopo guerra, anche in Italia, per motivi economici, le aziende infatti risparmiavano recuperando gli imballaggi, lavandoli e riutilizzandoli. Tutto questo fino alla scoperta dell’usa e getta. Di recente, alcuni paesi, come Germania, Svezia, Croazia e altri, lo hanno fatto diventare obbligo di legge, sia per gli imballaggi riutilizzabili che per quelli monouso. Per gli imballaggi riutilizzabili il meccanismo funziona grazie a una cauzione che il produttore applica sulla vendita del prodotto, ad esempio una bottiglia di birra, e che è presente in tutti i passaggi, dal distributore fino al consumatore finale e varia da pochi centesimi fino a massimo 1-2 euro. In questo modo il produttore si garantisce un minimo di budget per acquistare nuovi imballaggi nel caso non li riceva indietro tutti. Per riavere la cauzione è sufficiente restituire indietro l’imballaggio integro da parte del consumatore finale, del distributore e così via fino al produttore che può così recuperarlo e riutilizzarlo. Il vuoto a rendere è possibile anche per i prodotti monouso e, in questo caso, serve a garantire standard di riciclaggio più efficienti, andando a selezionare il rifiuto in modo più preciso coinvolgendo il consumatore che riceve un piccolo contributo, riportando indietro ad esempio una lattina vuota o un determinato tipo di bottiglietta di plastica.
Ecoló: Tutti noi abbiamo avuto esperienze positive con la gestione del vuoto a rendere, in alcuni paesi del nord Europa o in Alto Adige, e ci chiediamo sempre: perché nel resto d’Italia non c’è?
PC: Domanda molto interessante, che ci permette di far capire come siamo arrivati a questo. Credo dipenda da due aspetti, uno normativo e uno culturale. Siamo un paese infatti dove il senso civico non è così elevato e il vuoto a rendere presuppone comunque un impegno da parte di ognuno per il benessere collettivo. A livello normativo invece, con il Decreto Ronchi del 1998, anziché spingere sul riutilizzo degli imballaggi e dei rifiuti, è stato scelto di puntare prima di tutto sul riciclaggio con la creazione di consorzi appositi senza scopo di lucro, come il CONAI (Consorzio Nazionale Imballaggi). Questo non gestisce il vuoto degli imballaggi, ma i materiali di scarto conferiti dai comuni provenienti dalla raccolta differenziata. Le aziende che producono imballaggi partecipano attraverso un contributo all’origine del prodotto, versato al Conai per le spese di gestione dei rifiuti che dalla raccolta sul territorio passano ai Consorzi per il riciclo. Questo si è dimostrato un forte limite e un rallentamento alla possibilità di sviluppare un sistema di vuoto a rendere. Oltre a questo, in Italia, la stessa definizione normativa di rifiuto è piuttosto “sottile” creando spesso problemi e interpretazioni e, negli ultimi tempi, stiamo anche sempre più assistendo alla diversificazione delle bottiglie, come tratto distintivo da parte delle aziende, soprattutto di birra, al contrario della standardizzazione che si ha invece in altre parti di Europa e che aiuta il vuoto a rendere.
Nonostante tutto ciò, il vuoto a rendere era presente in Italia e in parte c’è ancora. Qualche anno fa, ad esempio, è stata lanciata una campagna in Sardegna, da parte della birra Ichnusa e, soprattutto nel sud Italia, esistono ancora realtà industriali che usano il sistema del vuoto a rendere come pratica quotidiana, la Peroni stessa nel suo stabilimento meridionale fa vuoto a rendere da anni, proprio perché ancora legato a un’economia di risparmio più che a un’economia di sfruttamento.
Ecoló: Quali sono i costi aggiuntivi (e su chi ricadono) e quali i risparmi di una filiera del vuoto a rendere e quindi qual è il bilancio economico complessivo di una operazione di questo tipo?
PC: Non credo che il sistema del vuoto a rendere porti costi aggiuntivi. La presenza di una cauzione è solo uno strumento per far funzionare il sistema permettendo il recupero dell’imballaggio. Dal punto di vista del consumatore quindi i dati di costo in più sono irrisori se non minori, dal momento che con la diffusione del sistema, dovrebbe affermarsi un minor costo nella gestione dei rifiuti (che potrebbe portare a uno sconto sulla Tari, ad esempio). Il bilancio economico complessivo non aumenta, anzi porta valore anche per le istituzioni, valutando non solo l’aspetto economico del sistema ma anche altri vantaggi in termini di sostenibilità, soprattutto in un’ottica di ciclo di vita e di impatto ambientale, economico e sociale, considerando anche la possibilità di fare risparmio da parte di persone meno abbienti che, in modo dignitoso, possono guadagnare sopperendo ai comportamenti poco virtuosi di altre persone.
Ecoló:Quando qualche mese fa si è iniziato a parlare di un’imposta sugli imballaggi di plastica è scoppiato un putiferio, malgrado si trattasse di un tentativo molto timido di arginare la sovrapproduzione di imballaggi nel nostro paese, quali sono gli ostacoli maggiori che oggi non permettono di proporre soluzioni efficaci come il vuoto a rendere?
PC: Già, la plastic tax era sicuramente un provvedimento importante. A mio avviso il problema di fondo è stato un po’ lo stesso avuto in passato: non aver integrato nel processo legislativo fin da subito le varie parti interessate, gli utenti finali, produttori, distributori, senza avere così un dialogo che permettesse di arrivare a una soluzione valida per tutti, condivisa e consensuale. Poi, come detto anche prima, il Decreto Ronchi ha creato un sistema molto rigido tra consorzi, comuni, aziende municipalizzate che rende difficile il cambiamento, anche per motivi culturali.
Ecoló: A che livello è più utile agire per sviluppare un progetto di vuoto a rendere? è possibile fare qualcosa a livello regionale?
PC: Con la mia esperienza e formazione ho sviluppato un approccio in ambito startup e innovazione usando metodi di lean startup e design thinking. Partirei quindi sempre dal piccolo, con un modello da testare e poi ingrandire e riprodurre, adattandolo al contesto in cui è calato. La realtà di Bologna, in cui lavoro, è diversa da un paesino della Sicilia o dalla realtà autonoma dell’Alto Adige. Non possiamo pretendere da subito che si possa espandere il vuoto a rendere alla dimensione nazionale. Anche per la logistica è più semplice partire da piccole realtà locali, come birrerie artigianali o piccole cantine con poche bottiglie.
A livello regionale, anche pensando alla Toscana, potrebbe essere interessante pensare a progetti di hub territoriali che fungano da centri di lavaggio e smistamento di questi imballaggi, in modo da ridurre i costi di trasporto e non dover avere il lavaggio in house.
Ecoló: Raccontaci il tuo progetto: in due parole, che cosa è BackBO?
PC: BackBO è nato proprio per essere un hub e un esperimento di vuoto a rendere in zona universitaria. Pian piano, nonostante tutti i problemi di burocrazia e normativa di cui abbiamo parlato, abbiamo mantenuto la missione e una visione coerente: distruggere il mondo dell’usa e getta a favore di una cultura verso un’economia circolare e sempre più riutilizzabile. Siamo un centro di economia circolare a Bologna, che è anche centro di innovazione sociale, grazie all’integrazione con il territorio e con la cittadinanza.
Ecoló: Pensi che questa esperienza possa essere replicata in altre università? Come associazione politica come potremmo spingere perché ciò avvenga?
PC: A livello universitario tutto è partito facendo una tesi all’interno di un progetto europeo più ampio che riguardava la rigenerazione della zona universitaria di Bologna (afflitta da problemi di devastazione e di degrado urbano) e che avrebbe potuto portare vantaggi anche dal punto di vista della sostenibilità. Come BackBO vorremmo crescere e cercare di sviluppare centri in altre città italiane, ma con un percorso di crescita dal basso, fungendo noi da facilitatori per aiutare a far nascere nuovi hub.
Un’associazione politica può essere uno strumento e un metodo importante per cercare di fare leva sulle istituzioni, in modo da coinvolgere dal punto di vista anche culturale e di comunicazione di possibili progetti di questo tipo, in modo da espandere attività di vuoto a rendere.
Ecoló: Oltre al vuoto a rendere, quali potrebbero essere soluzioni innovative da sviluppare in ottica di economia circolare sul territorio? anche in relazione al tuo lavoro di ricerca che stai portando avanti all’Università di Bologna.
PC: Noi con BackBO, all’interno dell’associazione, facciamo diverse attività. Abbiamo un hub che è anche un laboratorio di design per prototipare in ottica di economica circolare, con stampanti 3d e altri macchinari, sull’onda di Precious Plastic (community che ha reso possibile la costruzione di macchinari domestici per il riciclo della plastica). Questo potrebbe essere un’attività molto interessante, esportabile e replicabile, proprio perché avvicina tutti i cittadini a una modalità di economia circolare più partecipata, più attiva, più vicina. Quello che vorremmo diventare è un centro di ricerca sperimentale per l’economia circolare per fare diverse attività, non solo plastica, ma in futuro anche altro, riducendo quelli che sono i tempi delle università e avere più dinamismo rispetto alle istituzioni pubbliche. Poi è importante coinvolgere il più possibile le persone: se le persone cambiano, se la cultura cambia, le aziende e le istituzioni dovranno adattarsi e regolamentare le nuove esigenze del popolo.
Ecoló: Grazie mille della tua disponibilità!
Serena Spinelli, pediatra di pronto soccorso al Meyer, consigliera regionale uscente e candidata per la lista “Sinistra Civica Ecologista” nelle circoscrizioni Firenze 1, Firenze 2.
1. La prima cosa che farai il giorno dopo le elezioni, se sarai eletta consigliera
Ringrazierò uno per uno tutti coloro che mi hanno aiutato, mettendo a disposizione il proprio tempo e il proprio impegno in questa campagna elettorale, perché senza di loro non sarebbe stato possibile, così come ringrazierò tutti i compagni e le compagne con cui abbiamo lavorato in questi mesi per il progetto di Sinistra Civica Ecologista.
2. La prima cosa che farai il giorno dopo le elezioni, se non sarai eletta consigliera
Ringrazierò tutti lo stesso. Ma poi chiamerò anche il mio primario per organizzare il rientro al mio lavoro come medico al Pronto Soccorso dell’Ospedale pediatrico Meyer.
3. Se tu dovessi scegliere una battaglia da fare nel corso della prossima legislatura, una sola, su cosa ti concentreresti?
Mi impegnerei per la riorganizzazione e il potenziamento dei servizi sociali e sanitari sul territorio. Le persone hanno bisogno di essere prese in carico in maniera complessiva sul territorio, con servizi di prossimità, nei loro bisogni di salute e di assistenza. In particolare, penso alle cronicità, alle disabilità, alla salute mentale. E alla prevenzione, che è fondamentale per il benessere di tutti.
4. Di cosa avrebbe bisogno davvero la Toscana nei prossimi 5 anni?
Di un nuovo modello di sviluppo socialmente e ambientalmente sostenibile. Un modello che non depredi le risorse naturali, che sia inclusivo, dove tutte e tutti hanno le stesse opportunità di realizzare le proprie aspirazioni e la propria crescita personale, contribuendo a quella collettiva.
5. Qual è l’intervento più urgente che necessita la regione Toscana nella gestione dell’ambiente?
Credo che sia imprescindibile attuare un grande piano complessivo di manutenzione e di sistemazione idrogeologica del territorio, con obiettivi anche di prevenzione, corretta gestione e cura. E’ anche necessario accelerare sulla riduzione delle emissioni, sulla transizione energetica e sulla conversione ecologica, sfruttando le risorse messe a disposizione dall’Europa.
6. Giani: un pregio e un difetto
Giani è una persona affabile e disponibile al dialogo. Gli manca un po’ di radicalità verso il cambiamento, ma in coalizione ci siamo noi e su questo potremo senz’altro aiutarlo.
7. Fattori: un pregio e un difetto
Ho apprezzato Fattori come collega preparato, che studia a fondo, e con il quale ho condiviso anche molti atti in Consiglio regionale. Non so se è un difetto, e non voglio nemmeno che sia una critica, perché lo considero coerente, ma credo che la sua visione della sinistra sia troppo sbilanciata verso un ruolo di opposizione piuttosto che su come agire per orientare e incidere sui processi in corso.
8. Secondo le proiezioni degli scienziati del clima, riprese anche dai ragazzi di Friday For Future, gli anni a disposizione per invertire la tendenza rispetto ai cambiamenti climatici in atto sono poco più di quelli della prossima legislatura. Cosa può fare la Toscana per contribuire alla sfida che ci aspetta? Sarà in grado?
Le azioni da mettere in campo sono molteplici e secondo me l’obiettivo si raggiunge mettendo la sostenibilità al centro delle politiche regionali, per poi da qui derivarle e declinarle: dall’urbanistica alle infrastrutture, dalla salute pubblica agli investimenti per la ripresa economica e il tessuto imprenditoriale. Chiaramente serve accelerare verso gli obiettivi dell’azzeramento di emissioni nette climalteranti, di crescita delle energie da fonti rinnovabili, di efficienza energetica con la riduzione dei consumi, di economia circolare.
Grazie a Ecolò per l’opportunità di esporre le mie idee su temi che dovranno essere priorità nella prossima legislatura regionale.
Grazie a te per il tuo tempo e in bocca al lupo!.
Tommaso Grassi, già consigliere comunale a Firenze per due consiliature, storico attivista ecologista fiorentino si candida nella lista “Toscana a Sinistra” nella circoscrizione di Firenze.
1. la prima cosa che farai il giorno dopo le elezioni, se sarai eletto consigliere
Sarò poco rock, ma prenderei le leggi principali della Toscana e inizierei ad ipotizzare proposte di modifica avendo 3 punti di riferimento: politiche per l’ambiente, riconoscimento pieno di diritti e lotta alle disuguaglianze. Si riparte da qui per 5 anni di battaglie sui temi e sui contenuti, per approvare leggi e modifiche cercando di convincere sulle idee e non con il peso del numero degli eletti.
2. la prima cosa che farai il giorno dopo le elezioni, se non sarai eletto consigliere
Se non eletto personalmente, dal punto di vista politico darò una mano a chi verrà eletto; in caso di non elezione della lista, sui territori continueremo a organizzare iniziative e occasioni di riflessione e diffusione delle idee che sono contenute nel nostro programma, ben sapendo che la politica non si fa solo dentro le istituzioni, ma anche in strade e piazze, sui territori dove la gente vive e lavora. Professionalmente proseguirò la bella esperienza che da un anno mi vede dipendente di un piccolo Comune del pratese, dove mi occupo di patrimonio, mobilità, lavori pubblici, protezione civile e sport, e dove potrò dare il mio contributo di idee.
3. se tu dovessi scegliere una battaglia da fare nel corso della prossima legislatura, una sola, su cosa ti concentreresti?
Non ci sono battaglie capaci, in un solo atto, di riassumere tutti i temi del programma e di ciò che merita attenzione, ma certo che il tema ambientale e la battaglia per un piano di riconversione ecologica del mondo toscano che possa unire ambiente, diritti, lavoro ed economia la sento come la vera sfida in grado di permetterci di chiudere con opere inutili e ridurre l’inquinamento, mettere in sicurezza il nostro territorio fragile e creare posti di lavoro, riconvertendo la produzione di siti importanti del nostro territorio.
4. di cosa avrebbe bisogno davvero la Toscana nei prossimi 5 anni?
Di Politica. Di Consigliere e Consiglieri che abbiano a cuore la Regione e ogni angolo del territorio. Che siano disponibili 24 ore su 24 ad ascoltare i bisogni e nelle istituzioni sappiano trovare soluzioni condivise.
5. qual è l’intervento più urgente che necessita la regione Toscana nella gestione dell’ambiente?
Messa in sicurezza del territorio dal punto di vista idrogeologico e sismico, e contestualmente la diffusione su edifici da adeguare e nei territori fragili della diffusione delle energie rinnovabili su proprietà pubblica, come incentivo all’installazione e diffusione di fonti di energia rinnovabili da parte di privati.
6. Giani: un pregio e un difetto
Grande conoscitore della storia fiorentina e della Toscana – pregio
Mancanza di un piano organico programmatico – difetto
7. Fattori: un pregio e un difetto
Sa ascoltare e non nasconde come la pensa – pregio
Ha un pessimo rapporto col cellulare – difetto
8. Secondo le proiezioni degli scienziati del clima, riprese anche dai ragazzi di Friday For Future, gli anni a disposizione per invertire la tendenza rispetto ai cambiamenti climatici in atto sono poco più di quelli della prossima legislatura. Cosa può fare la Toscana per contribuire alla sfida che ci aspetta? Sarà in grado?
Tanto. E finora ha fatto poco. Per esempio considerare come punteggio nei bandi e selezioni in ogni ambito di competenza, l’impatto ambientale e l’effetto sul territorio di qualsiasi intervento finanziato con fondi pubblici regionali, statali ed europei. Non solo come criterio premiante, bensì stabilendo limiti non superabili per tutti quegli interventi che prevedano un impegno finanziario a fondo perduto per misure strutturali a favore di aziende e imprese. Bene sostenere l’economia ma si deve chiedere che ogni occasione sia buona per ridurre l’impatto ambientale e invertire la rotta rispetto ai cambiamenti climatici. Piccoli passi per un futuro migliore e che non sia solo la copia del passato.
Linda Maggiori, educatrice, scrittrice, blogger vive con la sua famiglia a Faenza cercando di avere il minor impatto possibile sul pianeta. Fra i suoi libri “Vivo senz’auto” e “Impatto Zero. Vademecum per famiglie a rifiuti zero”. Una persona da ascoltare, soprattutto quando ci chiediamo come sia possibile ridurre la nostra impronta ecologica.
Ecoló: Ciao Linda, grazie per aver accettato di rispondere alle nostre domande. Abbiamo letto in giro nella rete che la tua famiglia vive a impatto zero, è vero? Cosa significa esattamente questa affermazione?
Linda Maggiori: Quasi zero! Vuol dire che cerchiamo di ridurre il nostro “peso carbonico” sull’ambiente, con tante piccole azioni quotidiane: riduciamo i nostri consumi, e quindi i rifiuti, compriamo quasi unicamente sfuso e alla spina, autoproduciamo, compriamo locale e bio, riduciamo carne e latticini (io sono vegana, mio marito vegetariano, i bambini mangiano talvolta carne dai nonni). Da 10 anni ormai non abbiamo auto privata e ci muoviamo prevalentemente con bici, piedi, e mezzi pubblici. Abbiamo da poco ristrutturato un vecchio appartamento in condominio, rendendolo carbon free, tutto elettrico, portandolo da classe G a classe A3…insomma, proviamo a fare la nostra parte!
Ecoló: Immaginiamo che, partendo dal modello di vita e di consumo al quale siamo abituati, si tratti di un percorso lungo, come è iniziato?
LM: Da un incidente che mise a rischio la nostra vita e quella dei nostri bambini. Eravamo in auto, guidavo io, pioveva, un’auto sbandò e ci venne contro, scontro frontale. Per un attimo pensai che era tutto finito. Lo schianto, le lamiere contorte, il silenzio spettrale. Quando sentii piangere i bambini e capii che non erano morti, la vita riprese a scorrere. Da quell’incidente non solo siamo sopravvissuti ma rinati. Abbiamo deciso che non avremmo ricomprato l’auto. Che avremmo provato a fare senza. Da lì, da quel momento, quella prima grande privazione è diventata la nostra forza, la nostra missione e battaglia. Abbiamo creato la rete delle famiglie senz’auto, abbiamo approfondito i danni della motorizzazione privata, partecipato a lotte e petizioni e manifestazioni. Abbiamo testimoniato, siamo stati intervistati…poi abbiamo volto il nostro sguardo verso ogni aspetto della nostra vita, dai rifiuti all’alimentazione, all’energia, cambiando poco alla volta, mettendoci alla prova, passo dopo passo, con entusiasmo, ironia e voglia di mettersi in gioco. Un tempo io e mio marito non sapevamo che strada percorrere, eravamo un po’ allo sbando. La lotta per un mondo migliore è ora la nostra strada, e ci ha fatto crescere anche come coppia.
Ecoló: C’è stata quale rinuncia particolarmente faticosa o ci sono stati momenti di scoraggiamento?
LM: Sicuramente tanti momenti di fatica, così come in ogni lotta e come in ogni salita. Cambiare il mondo dal basso, marciare controcorrente, non è una cosa semplice. La cosa più brutta è stato il senso di isolamento e di incomprensione, che abbiamo vissuto per tanto tempo, soprattutto qui nella nostra cittadina. Essere additati come estremisti, solo perché volevamo cose che altrove sono la norma (ad esempio chiudere al traffico selvaggio una stradina davanti alla scuola). La cosa più brutta è quando scopri che quelli che credevi amici non ti difendono, e si vergognano di te, e hanno paura di starti troppo vicino, perché temono di essere additati a loro volta estremisti. Questi sono stati momenti durissimi e credo che ce ne saranno altri. Ma ormai abbiamo le spalle abbastanza larghe per sopportarli, abbiamo inoltre creato un bel gruppo di attivisti e stretto vero amicizie. Inoltre sappiamo che tanti come noi vivono lo stesso ostracismo in altre zone d’Italia. Un’altra cosa pratica che ci dispiace, è il fatto che molti luoghi turistici montani non siano raggiungibili con navette e treni. E quindi spesso dobbiamo rinunciarci. Non è giusto! Quando vediamo foto di luoghi meravigliosi, come le colline di Castelluccio di Norcia, invase da colonne di automobilisti in cerca di selfie, mi viene rabbia e sconforto. La natura dovrebbe essere raggiunta solo a piedi bici o mezzi pubblici. Da noi invece è il contrario. Chi ha l’auto può andare ovunque, e chi non ha l’auto deve rinunciare a molte mete (almeno qui in Italia).
Ecoló: C’è qualcosa che vorreste eliminare dalla vostra vita ma non riuscite ancora a farlo?
LM: Tanti piccoli miglioramenti sono necessari, vorrei comprare molto meno formaggio, (di cui però i miei figli vanno pazzi), fare un orto migliore, scoprire più ricette…. Infine, vorrei usare meno il cellulare, ma è davvero molto molto difficile.
Ecoló: La crisi sanitaria di questi mesi ha messo a nudo tante fragilità della nostra organizzazione economica e sociale, le tue scelte di vita sono state più difficili durante il lockdown?
LM: In parte si e in parte no. E’ stato faticoso (impossibile direi) tenere i bambini in casa in modo forzato, in condominio, visto che ho sempre abituato i miei bambini a star molto fuori. In realtà uscivano e giocavano coi bambini del condominio nel cortile di sotto, ma lo spazio era poco e sempre qualche vicino anziano brontolava. Siamo stati anche multati per aver messo piede nel parco a fianco casa. Io credo che ci sia stata un’esagerazione delle norme ristrettive, soprattutto contro i bambini, che all’estero non ho notato (molti figli dei miei amici tedeschi o svizzeri potevano uscire a giocare senza essere multati nei parchi). Io credo che questa esagerazione sia legata alla nostra cultura italiana. Una cultura che da decenni considera i bambini degli “intralci”, da togliere dalle strade, dalle città, e chiudere in luoghi “protetti”. Una cultura che si è esacerbata con l’emergenza. Una cultura lontana dall’oudoor education. Abbiamo paura dell’aria, del freddo, del sole, della pioggia…Abbiamo paranoie igieniche ma non ci interessiamo dell’inquinamento che provoca una pulizia eccessiva. Durante il lockdown sentivo la mia vicina vantarsi perché puliva ogni giorno con litri di candeggina…Altro problema del lockdown: gli orti urbani e i mercatini bio e locali erano chiusi e così dovevo recarmi al supermercato. Ma poi col Gas ci siamo organizzati con consegne a domicilio e il fatto di fare molta autoproduzione ci ha sicuramente aiutato!
Ecoló: Alcuni dicono che la singola azione che può diminuire l’impatto ambientale di una famiglia è non fare figli. A voi, che avete quattro figli, sarà capitato di dover rispondere a chi ti chiedeva se non ti sentivate in contraddizione con il vostro essere ecologisti. Come rispondi a questa domanda?
Moltissime volte ci sollevano questa critica. In parte è vero, ammettiamo che a rigor di logica avremmo dovuto fare meno figli, ma come si sa, certe cose non sempre sono totalmente razionali 😉 In fondo poi, è un dilemma abbastanza ipocrita, soprattutto nei paesi ricchi. In Italia e in quasi tutti i paesi occidentali il tasso di natalità è sotto zero, eppure sono paesi che inquinano moltissimo. Ciò vuol dire che le emissioni dell’occidente non sono causate dalla sovrappopolazione (si fanno pochissimi bambini), ma dagli stili di vita esagerati. Come spiega bene Carola Rackete, ≪Il vero problema è il massiccio sfruttamento delle risorse, e non perché ci sono troppe persone sulla Terra ma perché una minima parte di loro ne utilizza troppe.” Pensiamo che ci sono più animali di allevamento che esseri umani, e per lo più destinati agli abitanti del Nord del mondo, che soffrono di malattie dovute a iperalimentazione. Le Nazioni Unite stimano che la popolazione mondiale toccherà i 9,8 miliardi nel 2050 per poi iniziare naturalmente a scendere. La terra avrà cibo per tutti, ma non potrà sfamarci se continueremo a mangiare carne a ritmi forsennati.
Con programmi di emancipazione, salute e istruzione per donne e bambini, aumentando i servizi sanitari, con l’estirpazione del fenomeno dei matrimoni precoci e del lavoro minorile, si riuscirà a fermare la bomba demografica nei paesi poveri. Al contempo però, il modello occidentale, consumista ed energivoro non può essere un modello da seguire per chi esce dalla povertà.
Ecoló: Vorremmo chiederti anche della tua esperienza di giornalista e scrittrice ecologista, come mai secondo te il pensiero ecologista fa così fatica ad affermarsi in Italia?
LM: L’Italia era un paese povero, è uscito dalla guerra con una gran voglia di riprendersi, e si è buttata a capofitto nelle braccia delle lobby delle auto, del cemento e delle strade, che hanno trasformato a loro immagine le città, tagliando per sempre mezzi pubblici, rotaie… I politici di destra e sinistra per decenni se ne sono strafregati dell’ambiente, della qualità urbana, pensando solo alla ripresa economica. La cultura ha fatto il resto. Una cultura estremamente familista, che tende a privilegiare il privato al pubblico, gli interessi egoistici al bene comune, una cultura che esalta la superficialità e l’ostentazione ma non si preoccupa delle conseguenze profonde delle azioni, una cultura politica basata sempre sul do ut des, sullo scambio voto-favori, sul ricatto occupazionale, sul ricatto delle lobby. Per questo quei pochi sindaci coraggiosi dopo poco venivano fatti fuori (vedi Fazio Fabbrini a Siena). Una politica poco coraggiosa, sempre balbettante, che invece di educare al bene comune, seguiva gli interessi di pancia e il populismo. La fissa per l’igiene ha creato terreno fertile per il radicamento dell’usa e getta in plastica. La fobia dei luoghi aperti e degli agenti atmosferici, uniti a una martellante pubblicità della grande industria automobilistica, ha forgiato coscienze e abitudini, rendendo gli italiani schiavi delle auto, incapaci di fare pochi km a piedi. E sappiamo che le abitudini, una volta prese, sono dure a morire e modellano la mente e la percezione di ogni cosa. Per questo ora è tremendamente difficile parlare di ambiente, rispetto della natura, zone pedonali, riduzione di auto e rifiuti. Viene sentito come un attacco ad abitudini radicate, un attacco a vitali diritti e si invoca sempre la libertà “di vivere come ci pare”. Non si viene mai compresi, come ecologisti, si viene additati come sognatori (se va bene) estremisti talebani (se va male). Se si vuole essere votati, bisogna fare buon viso a cattivo gioco, mai dire troppo e mai essere schietti. Ci si scontra con una mentalità radicata da decenni, che vede il progresso come distruttore di natura e la natura come un luogo da dominare, da sfruttare e da cui scappare.
Ecoló: Infine tre domande sulla tua esperienza con i Verdi dell’Emilia Romagna, come mai hai deciso di dare il tuo contributo alle ultime elezioni regionali?
LM: Credevo fosse giusto, in un periodo di crisi ambientale e climatica, fare un passo in più rispetto al semplice attivismo, volevo mettermi in gioco nella politica, pensavo di poter cambiare qualcosa. Non mi piaceva l’alleanza con Bonaccini, ma tutti dicevano che era il meno peggio…e mi sono fidata.
Ecoló: Sei pentita? O è stata un’esperienza che rifaresti?
Molto pentita e non lo rifarei mai più. Ho vissuto mesi molto duri. Io sono sempre stata abituata a dire quel che penso, con rispetto, ma senza finzione. In campagna elettorale, non potevo dire la mia idea, non potevo fare critiche a Bonaccini sulle sue prese di posizioni antiecologiste (autostrade, aereoporti, trivelle), perché si era in coalizione e bisognava “andarci piano”. Ma io non sopportavo queste finzioni, questi finti sorrisi, queste passerelle e comizi, sono sempre stata attivista e certe cose le denunciavo lo stesso. I verdi locali mi hanno tolto la possibilità di scrivere sulla pagina FB locale, evitavano di condividere ogni mio pensiero, si sono persino rifiutati di attaccare i manifesti col mio volto per una stupida gelosia….A parte alcuni gruppi locali fantastici (di Rimini, di Forlì), da parte del regionale, ho percepito molta freddezza verso i nuovi. In seguito ad un commento critico che scrissi su Bonaccini su FB, sono stata richiamata, mi hanno chiesto immediate scuse, altrimenti Bonaccini avrebbe annullato una conferenza stampa. Una situazione surreale. Io al telefono dovevo chiedere scusa a Bonaccini o lui avrebbe annullato una conferenza stampa (con gente che veniva dalla Francia apposta). E’ stato un mese molto faticoso e umiliante, mi sembrava di vivere un incubo, in cui volevo urlare ma non potevo. Eravamo tutti molto stanchi in famiglia. Ho capito che fingere non è il mio mestiere e la politica (almeno come è intesa qui da noi) non fa per me. Mi sono ributtata a capofitto nell’attivismo, nella Fiab, in XR, strafelice della libertà ritrovata. Ho deciso di non far più parte di alcun partito, ma lottare con passione come attivista. Credo di essere molto più utile (e serena) così. Ho trovato gente meravigliosa nelle associazioni, e sono davvero felice.
Ecoló: Cosa pensi che manchi al movimento ecologista italiano per fare un salto di qualità ed assomigliare ai movimenti del nord Europa?
LM: Non sono una buona analista politica, né esperta dei Verdi Europei, però vi posso parlare della mia esperienza. Credo che qui in Italia manchi da una parte molto coraggio nei Verdi, (tentennano troppo, inoltre le alleanze fatte col PD sono suicidi politici e di credibilità) e dall’altra parte, come già detto, manca molta sensibilità ambientale da parte della gente. I Verdi da quel che ho visto, mi pare che siano ancora troppo legati a logiche vecchie di partito, di calcoli e piccole gelosie. Devono assomigliare di più ad un’associazione, con meno gerarchia, più libertà, dare più spazio ai giovani, essere più coraggiosi.
Ecoló: Grazie del tuo tempo a presto!