Ecoló sostiene l’iniziativa europea “salviamo le api e gli agricoltori” è possibile firmare la petizione all’indirizzo: www.savebeesandfarmers.eu
Il diritto di iniziativa dei cittadini europei è uno strumento di partecipazione diretta alla politica dell’Unione europea, previsto dal Trattato sull’Unione Europea, che all’articolo 11 comma 4, prevede che se una iniziativa raccoglie almeno un milione di firme, la Commissione europea e il Parlamento europeo sono tenuti a valutarne le proposte e rispondere alle richieste che vi sono contenute.
L’iniziativa dei cittadini europei ‘Salviamo le api e gli agricoltori’ chiede al Parlamento Europeo:
1) L’eliminazione graduale dei pesticidi sintetici
Eliminare gradualmente i pesticidi sintetici nell’agricoltura dell’UE entro il 2030, iniziando da quelli più pericolosi, per diventare privi al 100% di pesticidi entro il 2035.
2) Il ripristino della biodiversità
Ripristinare gli ecosistemi naturali nelle aree agricole e trasformare i mezzi di produzione in modo che l’agricoltura contribuisca nuovamente alla promozione della biodiversità.
3) Il sostegno agli agricoltori nella transizione
Riformare l’agricoltura dando priorità ad un’agricoltura su piccola scala, diversificata e sostenibile, sostenendo un rapido aumento delle pratiche agroecologiche e biologiche e consentendo la formazione e la ricerca indipendente degli agricoltori in materia di agricoltura senza pesticidi e OGM.
Aiutaci a raggiungere questo obiettivo: ogni firma è importante.
L’utilizzo diffuso di agrofarmaci tossici sta distruggendo la biodiversità delle nostre campagne e mettendo a rischio la nostra salute. Il fenomeno del declino degli insetti impollinatori rischia di annullare un meccanismo fondamentale che è alla base della sopravvivenza di tutto l’ecosistema terrestre e costituisce una terribile minaccia per la sopravvivenza di tutti noi. Nello stesso tempo la diffusione dell’agricoltura industriale sta costringendo alla chiusura un numero sempre crescente di piccole aziende con una industrializzazione sempre più spinta delle pratiche agricole. Quello che deve essere cambiato è il sistema stesso che oggi guida la nostra agricoltura, in modo da poter giungere ad un’agricoltura priva di pesticidi, rispettosa della biodiversità e del clima, vicina alle esigenze del consumatore ma anche dell’agricoltore, capace, nel fornire cibo di qualità e sufficiente a rispondere alle richieste alimentari, di creare lavoro e sostenere le comunità locali.
Per ottenere questo, per innescare e portare a compimento una vera transizione ecologica dell’agricoltura europea, abbiamo bisogno della forza di milioni di firme di cittadini europei.
Hanno aderito alla raccolta moltissime associazioni e movimenti. L’elenco completo è visibile sul sito della iniziativa (www.savebeesandfarmers.eu ). Gli European Greens sono fra i sostenitori dell’iniziativa.
L’Unione Europea sta già facendo dei passi in questa direzione, come si evidenzia dalla nuova Strategia europea sull’agricoltura (Farm to Fork) che è stata approvata nel 2020 e che già indica come obiettivi da raggiungere entro il 2030 la riduzione del 50% dell’uso di pesticidi e del 20% dei fertilizzanti entro il 2030, almeno il 25% del territorio agricolo coltivato secondo i canoni dell’agricoltura biologica, il raggiungimento di una agricoltura neutra dal punto di vista della produzione/assorbimento di carbonio, più resiliente, più equa e più sostenibile. Ma ancora non basta e la necessità del compimento di una vera e completa transizione ecologica dell’agricoltura deve essere sostenuta dalla richiesta e dalla consapevolezza (che comprende anche un comportamento da consumatori consapevoli) dei cittadini europei.
Quando si parla di economia cicolare spesso è la retorica ad avere la meglio. Ma un modo di entrare nel concreto è quello di parlare di vuoto a rendere. Per farlo abbiamo coinvolto Pietro Ceciarini, assegnista di ricerca al Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica, Ambientale e dei Materiali dell’Università di Bologna e fondatore della startup BackBo, nata dal suo progetto di tesi: “Progetto BackBO – Studio di fattibilità per la gestione dei rifiuti da imballaggi attraverso il sistema del vuoto a rendere all’interno della Zona Universitaria di Bologna.”
Ecoló: In Italia produciamo una quantità inimmaginabile di imballaggi. Il dato sulle bottiglie di plastica è da Guinness dei primati con 8 miliardi di bottiglie prodotte ogni anno. Come siamo arrivati fin qui?
Pietro Ceciarini: Il dato delle bottigliette di plastiche è terribile. In Italia siamo il 5° paese in Europa per salubrità della nostra acqua potabile da acquedotto (dietro a paesi prettamente montani come Austria e Svezia ad esempio) e, allo stesso tempo, siamo il 3° paese al mondo per consumo di acqua minerale in bottiglia, dopo Thailandia e Messico, che hanno problemi di potabilità e sicurezza dell’acqua da rubinetto. Siamo arrivati a questo punto perché negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, in pieno boom economico, è stato capito che si potevano fare i soldi con un bene di tutti, privatizzandolo. È stato creato un marketing per esaltare la salubrità dell’acqua in bottiglia che ha iniziato quindi ad essere commercializzata. La televisione, anche oggi, ci propone tantissima pubblicità di acqua minerale che ne esalta gli aspetti salutari, creando una cultura specifica, oltre all’abitudine ad un sapore diverso.
Ecoló: Vuoi dirci, brevemente, come funziona il meccanismo del “vuoto a rendere” e quali ingredienti rendono possibile che funzioni?
PC: Il vuoto a rendere è un meccanismo molto semplice, e per questo bellissimo. Si è sviluppato nel dopo guerra, anche in Italia, per motivi economici, le aziende infatti risparmiavano recuperando gli imballaggi, lavandoli e riutilizzandoli. Tutto questo fino alla scoperta dell’usa e getta. Di recente, alcuni paesi, come Germania, Svezia, Croazia e altri, lo hanno fatto diventare obbligo di legge, sia per gli imballaggi riutilizzabili che per quelli monouso. Per gli imballaggi riutilizzabili il meccanismo funziona grazie a una cauzione che il produttore applica sulla vendita del prodotto, ad esempio una bottiglia di birra, e che è presente in tutti i passaggi, dal distributore fino al consumatore finale e varia da pochi centesimi fino a massimo 1-2 euro. In questo modo il produttore si garantisce un minimo di budget per acquistare nuovi imballaggi nel caso non li riceva indietro tutti. Per riavere la cauzione è sufficiente restituire indietro l’imballaggio integro da parte del consumatore finale, del distributore e così via fino al produttore che può così recuperarlo e riutilizzarlo. Il vuoto a rendere è possibile anche per i prodotti monouso e, in questo caso, serve a garantire standard di riciclaggio più efficienti, andando a selezionare il rifiuto in modo più preciso coinvolgendo il consumatore che riceve un piccolo contributo, riportando indietro ad esempio una lattina vuota o un determinato tipo di bottiglietta di plastica.
Ecoló: Tutti noi abbiamo avuto esperienze positive con la gestione del vuoto a rendere, in alcuni paesi del nord Europa o in Alto Adige, e ci chiediamo sempre: perché nel resto d’Italia non c’è?
PC: Domanda molto interessante, che ci permette di far capire come siamo arrivati a questo. Credo dipenda da due aspetti, uno normativo e uno culturale. Siamo un paese infatti dove il senso civico non è così elevato e il vuoto a rendere presuppone comunque un impegno da parte di ognuno per il benessere collettivo. A livello normativo invece, con il Decreto Ronchi del 1998, anziché spingere sul riutilizzo degli imballaggi e dei rifiuti, è stato scelto di puntare prima di tutto sul riciclaggio con la creazione di consorzi appositi senza scopo di lucro, come il CONAI (Consorzio Nazionale Imballaggi). Questo non gestisce il vuoto degli imballaggi, ma i materiali di scarto conferiti dai comuni provenienti dalla raccolta differenziata. Le aziende che producono imballaggi partecipano attraverso un contributo all’origine del prodotto, versato al Conai per le spese di gestione dei rifiuti che dalla raccolta sul territorio passano ai Consorzi per il riciclo. Questo si è dimostrato un forte limite e un rallentamento alla possibilità di sviluppare un sistema di vuoto a rendere. Oltre a questo, in Italia, la stessa definizione normativa di rifiuto è piuttosto “sottile” creando spesso problemi e interpretazioni e, negli ultimi tempi, stiamo anche sempre più assistendo alla diversificazione delle bottiglie, come tratto distintivo da parte delle aziende, soprattutto di birra, al contrario della standardizzazione che si ha invece in altre parti di Europa e che aiuta il vuoto a rendere.
Nonostante tutto ciò, il vuoto a rendere era presente in Italia e in parte c’è ancora. Qualche anno fa, ad esempio, è stata lanciata una campagna in Sardegna, da parte della birra Ichnusa e, soprattutto nel sud Italia, esistono ancora realtà industriali che usano il sistema del vuoto a rendere come pratica quotidiana, la Peroni stessa nel suo stabilimento meridionale fa vuoto a rendere da anni, proprio perché ancora legato a un’economia di risparmio più che a un’economia di sfruttamento.
Ecoló: Quali sono i costi aggiuntivi (e su chi ricadono) e quali i risparmi di una filiera del vuoto a rendere e quindi qual è il bilancio economico complessivo di una operazione di questo tipo?
PC: Non credo che il sistema del vuoto a rendere porti costi aggiuntivi. La presenza di una cauzione è solo uno strumento per far funzionare il sistema permettendo il recupero dell’imballaggio. Dal punto di vista del consumatore quindi i dati di costo in più sono irrisori se non minori, dal momento che con la diffusione del sistema, dovrebbe affermarsi un minor costo nella gestione dei rifiuti (che potrebbe portare a uno sconto sulla Tari, ad esempio). Il bilancio economico complessivo non aumenta, anzi porta valore anche per le istituzioni, valutando non solo l’aspetto economico del sistema ma anche altri vantaggi in termini di sostenibilità, soprattutto in un’ottica di ciclo di vita e di impatto ambientale, economico e sociale, considerando anche la possibilità di fare risparmio da parte di persone meno abbienti che, in modo dignitoso, possono guadagnare sopperendo ai comportamenti poco virtuosi di altre persone.
Ecoló:Quando qualche mese fa si è iniziato a parlare di un’imposta sugli imballaggi di plastica è scoppiato un putiferio, malgrado si trattasse di un tentativo molto timido di arginare la sovrapproduzione di imballaggi nel nostro paese, quali sono gli ostacoli maggiori che oggi non permettono di proporre soluzioni efficaci come il vuoto a rendere?
PC: Già, la plastic tax era sicuramente un provvedimento importante. A mio avviso il problema di fondo è stato un po’ lo stesso avuto in passato: non aver integrato nel processo legislativo fin da subito le varie parti interessate, gli utenti finali, produttori, distributori, senza avere così un dialogo che permettesse di arrivare a una soluzione valida per tutti, condivisa e consensuale. Poi, come detto anche prima, il Decreto Ronchi ha creato un sistema molto rigido tra consorzi, comuni, aziende municipalizzate che rende difficile il cambiamento, anche per motivi culturali.
Ecoló: A che livello è più utile agire per sviluppare un progetto di vuoto a rendere? è possibile fare qualcosa a livello regionale?
PC: Con la mia esperienza e formazione ho sviluppato un approccio in ambito startup e innovazione usando metodi di lean startup e design thinking. Partirei quindi sempre dal piccolo, con un modello da testare e poi ingrandire e riprodurre, adattandolo al contesto in cui è calato. La realtà di Bologna, in cui lavoro, è diversa da un paesino della Sicilia o dalla realtà autonoma dell’Alto Adige. Non possiamo pretendere da subito che si possa espandere il vuoto a rendere alla dimensione nazionale. Anche per la logistica è più semplice partire da piccole realtà locali, come birrerie artigianali o piccole cantine con poche bottiglie.
A livello regionale, anche pensando alla Toscana, potrebbe essere interessante pensare a progetti di hub territoriali che fungano da centri di lavaggio e smistamento di questi imballaggi, in modo da ridurre i costi di trasporto e non dover avere il lavaggio in house.
Ecoló: Raccontaci il tuo progetto: in due parole, che cosa è BackBO?
PC: BackBO è nato proprio per essere un hub e un esperimento di vuoto a rendere in zona universitaria. Pian piano, nonostante tutti i problemi di burocrazia e normativa di cui abbiamo parlato, abbiamo mantenuto la missione e una visione coerente: distruggere il mondo dell’usa e getta a favore di una cultura verso un’economia circolare e sempre più riutilizzabile. Siamo un centro di economia circolare a Bologna, che è anche centro di innovazione sociale, grazie all’integrazione con il territorio e con la cittadinanza.
Ecoló: Pensi che questa esperienza possa essere replicata in altre università? Come associazione politica come potremmo spingere perché ciò avvenga?
PC: A livello universitario tutto è partito facendo una tesi all’interno di un progetto europeo più ampio che riguardava la rigenerazione della zona universitaria di Bologna (afflitta da problemi di devastazione e di degrado urbano) e che avrebbe potuto portare vantaggi anche dal punto di vista della sostenibilità. Come BackBO vorremmo crescere e cercare di sviluppare centri in altre città italiane, ma con un percorso di crescita dal basso, fungendo noi da facilitatori per aiutare a far nascere nuovi hub.
Un’associazione politica può essere uno strumento e un metodo importante per cercare di fare leva sulle istituzioni, in modo da coinvolgere dal punto di vista anche culturale e di comunicazione di possibili progetti di questo tipo, in modo da espandere attività di vuoto a rendere.
Ecoló: Oltre al vuoto a rendere, quali potrebbero essere soluzioni innovative da sviluppare in ottica di economia circolare sul territorio? anche in relazione al tuo lavoro di ricerca che stai portando avanti all’Università di Bologna.
PC: Noi con BackBO, all’interno dell’associazione, facciamo diverse attività. Abbiamo un hub che è anche un laboratorio di design per prototipare in ottica di economica circolare, con stampanti 3d e altri macchinari, sull’onda di Precious Plastic (community che ha reso possibile la costruzione di macchinari domestici per il riciclo della plastica). Questo potrebbe essere un’attività molto interessante, esportabile e replicabile, proprio perché avvicina tutti i cittadini a una modalità di economia circolare più partecipata, più attiva, più vicina. Quello che vorremmo diventare è un centro di ricerca sperimentale per l’economia circolare per fare diverse attività, non solo plastica, ma in futuro anche altro, riducendo quelli che sono i tempi delle università e avere più dinamismo rispetto alle istituzioni pubbliche. Poi è importante coinvolgere il più possibile le persone: se le persone cambiano, se la cultura cambia, le aziende e le istituzioni dovranno adattarsi e regolamentare le nuove esigenze del popolo.
Ecoló: Grazie mille della tua disponibilità!
Serena Spinelli, pediatra di pronto soccorso al Meyer, consigliera regionale uscente e candidata per la lista “Sinistra Civica Ecologista” nelle circoscrizioni Firenze 1, Firenze 2.
1. La prima cosa che farai il giorno dopo le elezioni, se sarai eletta consigliera
Ringrazierò uno per uno tutti coloro che mi hanno aiutato, mettendo a disposizione il proprio tempo e il proprio impegno in questa campagna elettorale, perché senza di loro non sarebbe stato possibile, così come ringrazierò tutti i compagni e le compagne con cui abbiamo lavorato in questi mesi per il progetto di Sinistra Civica Ecologista.
2. La prima cosa che farai il giorno dopo le elezioni, se non sarai eletta consigliera
Ringrazierò tutti lo stesso. Ma poi chiamerò anche il mio primario per organizzare il rientro al mio lavoro come medico al Pronto Soccorso dell’Ospedale pediatrico Meyer.
3. Se tu dovessi scegliere una battaglia da fare nel corso della prossima legislatura, una sola, su cosa ti concentreresti?
Mi impegnerei per la riorganizzazione e il potenziamento dei servizi sociali e sanitari sul territorio. Le persone hanno bisogno di essere prese in carico in maniera complessiva sul territorio, con servizi di prossimità, nei loro bisogni di salute e di assistenza. In particolare, penso alle cronicità, alle disabilità, alla salute mentale. E alla prevenzione, che è fondamentale per il benessere di tutti.
4. Di cosa avrebbe bisogno davvero la Toscana nei prossimi 5 anni?
Di un nuovo modello di sviluppo socialmente e ambientalmente sostenibile. Un modello che non depredi le risorse naturali, che sia inclusivo, dove tutte e tutti hanno le stesse opportunità di realizzare le proprie aspirazioni e la propria crescita personale, contribuendo a quella collettiva.
5. Qual è l’intervento più urgente che necessita la regione Toscana nella gestione dell’ambiente?
Credo che sia imprescindibile attuare un grande piano complessivo di manutenzione e di sistemazione idrogeologica del territorio, con obiettivi anche di prevenzione, corretta gestione e cura. E’ anche necessario accelerare sulla riduzione delle emissioni, sulla transizione energetica e sulla conversione ecologica, sfruttando le risorse messe a disposizione dall’Europa.
6. Giani: un pregio e un difetto
Giani è una persona affabile e disponibile al dialogo. Gli manca un po’ di radicalità verso il cambiamento, ma in coalizione ci siamo noi e su questo potremo senz’altro aiutarlo.
7. Fattori: un pregio e un difetto
Ho apprezzato Fattori come collega preparato, che studia a fondo, e con il quale ho condiviso anche molti atti in Consiglio regionale. Non so se è un difetto, e non voglio nemmeno che sia una critica, perché lo considero coerente, ma credo che la sua visione della sinistra sia troppo sbilanciata verso un ruolo di opposizione piuttosto che su come agire per orientare e incidere sui processi in corso.
8. Secondo le proiezioni degli scienziati del clima, riprese anche dai ragazzi di Friday For Future, gli anni a disposizione per invertire la tendenza rispetto ai cambiamenti climatici in atto sono poco più di quelli della prossima legislatura. Cosa può fare la Toscana per contribuire alla sfida che ci aspetta? Sarà in grado?
Le azioni da mettere in campo sono molteplici e secondo me l’obiettivo si raggiunge mettendo la sostenibilità al centro delle politiche regionali, per poi da qui derivarle e declinarle: dall’urbanistica alle infrastrutture, dalla salute pubblica agli investimenti per la ripresa economica e il tessuto imprenditoriale. Chiaramente serve accelerare verso gli obiettivi dell’azzeramento di emissioni nette climalteranti, di crescita delle energie da fonti rinnovabili, di efficienza energetica con la riduzione dei consumi, di economia circolare.
Grazie a Ecolò per l’opportunità di esporre le mie idee su temi che dovranno essere priorità nella prossima legislatura regionale.
Grazie a te per il tuo tempo e in bocca al lupo!.
Tommaso Grassi, già consigliere comunale a Firenze per due consiliature, storico attivista ecologista fiorentino si candida nella lista “Toscana a Sinistra” nella circoscrizione di Firenze.
1. la prima cosa che farai il giorno dopo le elezioni, se sarai eletto consigliere
Sarò poco rock, ma prenderei le leggi principali della Toscana e inizierei ad ipotizzare proposte di modifica avendo 3 punti di riferimento: politiche per l’ambiente, riconoscimento pieno di diritti e lotta alle disuguaglianze. Si riparte da qui per 5 anni di battaglie sui temi e sui contenuti, per approvare leggi e modifiche cercando di convincere sulle idee e non con il peso del numero degli eletti.
2. la prima cosa che farai il giorno dopo le elezioni, se non sarai eletto consigliere
Se non eletto personalmente, dal punto di vista politico darò una mano a chi verrà eletto; in caso di non elezione della lista, sui territori continueremo a organizzare iniziative e occasioni di riflessione e diffusione delle idee che sono contenute nel nostro programma, ben sapendo che la politica non si fa solo dentro le istituzioni, ma anche in strade e piazze, sui territori dove la gente vive e lavora. Professionalmente proseguirò la bella esperienza che da un anno mi vede dipendente di un piccolo Comune del pratese, dove mi occupo di patrimonio, mobilità, lavori pubblici, protezione civile e sport, e dove potrò dare il mio contributo di idee.
3. se tu dovessi scegliere una battaglia da fare nel corso della prossima legislatura, una sola, su cosa ti concentreresti?
Non ci sono battaglie capaci, in un solo atto, di riassumere tutti i temi del programma e di ciò che merita attenzione, ma certo che il tema ambientale e la battaglia per un piano di riconversione ecologica del mondo toscano che possa unire ambiente, diritti, lavoro ed economia la sento come la vera sfida in grado di permetterci di chiudere con opere inutili e ridurre l’inquinamento, mettere in sicurezza il nostro territorio fragile e creare posti di lavoro, riconvertendo la produzione di siti importanti del nostro territorio.
4. di cosa avrebbe bisogno davvero la Toscana nei prossimi 5 anni?
Di Politica. Di Consigliere e Consiglieri che abbiano a cuore la Regione e ogni angolo del territorio. Che siano disponibili 24 ore su 24 ad ascoltare i bisogni e nelle istituzioni sappiano trovare soluzioni condivise.
5. qual è l’intervento più urgente che necessita la regione Toscana nella gestione dell’ambiente?
Messa in sicurezza del territorio dal punto di vista idrogeologico e sismico, e contestualmente la diffusione su edifici da adeguare e nei territori fragili della diffusione delle energie rinnovabili su proprietà pubblica, come incentivo all’installazione e diffusione di fonti di energia rinnovabili da parte di privati.
6. Giani: un pregio e un difetto
Grande conoscitore della storia fiorentina e della Toscana – pregio
Mancanza di un piano organico programmatico – difetto
7. Fattori: un pregio e un difetto
Sa ascoltare e non nasconde come la pensa – pregio
Ha un pessimo rapporto col cellulare – difetto
8. Secondo le proiezioni degli scienziati del clima, riprese anche dai ragazzi di Friday For Future, gli anni a disposizione per invertire la tendenza rispetto ai cambiamenti climatici in atto sono poco più di quelli della prossima legislatura. Cosa può fare la Toscana per contribuire alla sfida che ci aspetta? Sarà in grado?
Tanto. E finora ha fatto poco. Per esempio considerare come punteggio nei bandi e selezioni in ogni ambito di competenza, l’impatto ambientale e l’effetto sul territorio di qualsiasi intervento finanziato con fondi pubblici regionali, statali ed europei. Non solo come criterio premiante, bensì stabilendo limiti non superabili per tutti quegli interventi che prevedano un impegno finanziario a fondo perduto per misure strutturali a favore di aziende e imprese. Bene sostenere l’economia ma si deve chiedere che ogni occasione sia buona per ridurre l’impatto ambientale e invertire la rotta rispetto ai cambiamenti climatici. Piccoli passi per un futuro migliore e che non sia solo la copia del passato.
Linda Maggiori, educatrice, scrittrice, blogger vive con la sua famiglia a Faenza cercando di avere il minor impatto possibile sul pianeta. Fra i suoi libri “Vivo senz’auto” e “Impatto Zero. Vademecum per famiglie a rifiuti zero”. Una persona da ascoltare, soprattutto quando ci chiediamo come sia possibile ridurre la nostra impronta ecologica.
Ecoló: Ciao Linda, grazie per aver accettato di rispondere alle nostre domande. Abbiamo letto in giro nella rete che la tua famiglia vive a impatto zero, è vero? Cosa significa esattamente questa affermazione?
Linda Maggiori: Quasi zero! Vuol dire che cerchiamo di ridurre il nostro “peso carbonico” sull’ambiente, con tante piccole azioni quotidiane: riduciamo i nostri consumi, e quindi i rifiuti, compriamo quasi unicamente sfuso e alla spina, autoproduciamo, compriamo locale e bio, riduciamo carne e latticini (io sono vegana, mio marito vegetariano, i bambini mangiano talvolta carne dai nonni). Da 10 anni ormai non abbiamo auto privata e ci muoviamo prevalentemente con bici, piedi, e mezzi pubblici. Abbiamo da poco ristrutturato un vecchio appartamento in condominio, rendendolo carbon free, tutto elettrico, portandolo da classe G a classe A3…insomma, proviamo a fare la nostra parte!
Ecoló: Immaginiamo che, partendo dal modello di vita e di consumo al quale siamo abituati, si tratti di un percorso lungo, come è iniziato?
LM: Da un incidente che mise a rischio la nostra vita e quella dei nostri bambini. Eravamo in auto, guidavo io, pioveva, un’auto sbandò e ci venne contro, scontro frontale. Per un attimo pensai che era tutto finito. Lo schianto, le lamiere contorte, il silenzio spettrale. Quando sentii piangere i bambini e capii che non erano morti, la vita riprese a scorrere. Da quell’incidente non solo siamo sopravvissuti ma rinati. Abbiamo deciso che non avremmo ricomprato l’auto. Che avremmo provato a fare senza. Da lì, da quel momento, quella prima grande privazione è diventata la nostra forza, la nostra missione e battaglia. Abbiamo creato la rete delle famiglie senz’auto, abbiamo approfondito i danni della motorizzazione privata, partecipato a lotte e petizioni e manifestazioni. Abbiamo testimoniato, siamo stati intervistati…poi abbiamo volto il nostro sguardo verso ogni aspetto della nostra vita, dai rifiuti all’alimentazione, all’energia, cambiando poco alla volta, mettendoci alla prova, passo dopo passo, con entusiasmo, ironia e voglia di mettersi in gioco. Un tempo io e mio marito non sapevamo che strada percorrere, eravamo un po’ allo sbando. La lotta per un mondo migliore è ora la nostra strada, e ci ha fatto crescere anche come coppia.
Ecoló: C’è stata quale rinuncia particolarmente faticosa o ci sono stati momenti di scoraggiamento?
LM: Sicuramente tanti momenti di fatica, così come in ogni lotta e come in ogni salita. Cambiare il mondo dal basso, marciare controcorrente, non è una cosa semplice. La cosa più brutta è stato il senso di isolamento e di incomprensione, che abbiamo vissuto per tanto tempo, soprattutto qui nella nostra cittadina. Essere additati come estremisti, solo perché volevamo cose che altrove sono la norma (ad esempio chiudere al traffico selvaggio una stradina davanti alla scuola). La cosa più brutta è quando scopri che quelli che credevi amici non ti difendono, e si vergognano di te, e hanno paura di starti troppo vicino, perché temono di essere additati a loro volta estremisti. Questi sono stati momenti durissimi e credo che ce ne saranno altri. Ma ormai abbiamo le spalle abbastanza larghe per sopportarli, abbiamo inoltre creato un bel gruppo di attivisti e stretto vero amicizie. Inoltre sappiamo che tanti come noi vivono lo stesso ostracismo in altre zone d’Italia. Un’altra cosa pratica che ci dispiace, è il fatto che molti luoghi turistici montani non siano raggiungibili con navette e treni. E quindi spesso dobbiamo rinunciarci. Non è giusto! Quando vediamo foto di luoghi meravigliosi, come le colline di Castelluccio di Norcia, invase da colonne di automobilisti in cerca di selfie, mi viene rabbia e sconforto. La natura dovrebbe essere raggiunta solo a piedi bici o mezzi pubblici. Da noi invece è il contrario. Chi ha l’auto può andare ovunque, e chi non ha l’auto deve rinunciare a molte mete (almeno qui in Italia).
Ecoló: C’è qualcosa che vorreste eliminare dalla vostra vita ma non riuscite ancora a farlo?
LM: Tanti piccoli miglioramenti sono necessari, vorrei comprare molto meno formaggio, (di cui però i miei figli vanno pazzi), fare un orto migliore, scoprire più ricette…. Infine, vorrei usare meno il cellulare, ma è davvero molto molto difficile.
Ecoló: La crisi sanitaria di questi mesi ha messo a nudo tante fragilità della nostra organizzazione economica e sociale, le tue scelte di vita sono state più difficili durante il lockdown?
LM: In parte si e in parte no. E’ stato faticoso (impossibile direi) tenere i bambini in casa in modo forzato, in condominio, visto che ho sempre abituato i miei bambini a star molto fuori. In realtà uscivano e giocavano coi bambini del condominio nel cortile di sotto, ma lo spazio era poco e sempre qualche vicino anziano brontolava. Siamo stati anche multati per aver messo piede nel parco a fianco casa. Io credo che ci sia stata un’esagerazione delle norme ristrettive, soprattutto contro i bambini, che all’estero non ho notato (molti figli dei miei amici tedeschi o svizzeri potevano uscire a giocare senza essere multati nei parchi). Io credo che questa esagerazione sia legata alla nostra cultura italiana. Una cultura che da decenni considera i bambini degli “intralci”, da togliere dalle strade, dalle città, e chiudere in luoghi “protetti”. Una cultura che si è esacerbata con l’emergenza. Una cultura lontana dall’oudoor education. Abbiamo paura dell’aria, del freddo, del sole, della pioggia…Abbiamo paranoie igieniche ma non ci interessiamo dell’inquinamento che provoca una pulizia eccessiva. Durante il lockdown sentivo la mia vicina vantarsi perché puliva ogni giorno con litri di candeggina…Altro problema del lockdown: gli orti urbani e i mercatini bio e locali erano chiusi e così dovevo recarmi al supermercato. Ma poi col Gas ci siamo organizzati con consegne a domicilio e il fatto di fare molta autoproduzione ci ha sicuramente aiutato!
Ecoló: Alcuni dicono che la singola azione che può diminuire l’impatto ambientale di una famiglia è non fare figli. A voi, che avete quattro figli, sarà capitato di dover rispondere a chi ti chiedeva se non ti sentivate in contraddizione con il vostro essere ecologisti. Come rispondi a questa domanda?
Moltissime volte ci sollevano questa critica. In parte è vero, ammettiamo che a rigor di logica avremmo dovuto fare meno figli, ma come si sa, certe cose non sempre sono totalmente razionali 😉 In fondo poi, è un dilemma abbastanza ipocrita, soprattutto nei paesi ricchi. In Italia e in quasi tutti i paesi occidentali il tasso di natalità è sotto zero, eppure sono paesi che inquinano moltissimo. Ciò vuol dire che le emissioni dell’occidente non sono causate dalla sovrappopolazione (si fanno pochissimi bambini), ma dagli stili di vita esagerati. Come spiega bene Carola Rackete, ≪Il vero problema è il massiccio sfruttamento delle risorse, e non perché ci sono troppe persone sulla Terra ma perché una minima parte di loro ne utilizza troppe.” Pensiamo che ci sono più animali di allevamento che esseri umani, e per lo più destinati agli abitanti del Nord del mondo, che soffrono di malattie dovute a iperalimentazione. Le Nazioni Unite stimano che la popolazione mondiale toccherà i 9,8 miliardi nel 2050 per poi iniziare naturalmente a scendere. La terra avrà cibo per tutti, ma non potrà sfamarci se continueremo a mangiare carne a ritmi forsennati.
Con programmi di emancipazione, salute e istruzione per donne e bambini, aumentando i servizi sanitari, con l’estirpazione del fenomeno dei matrimoni precoci e del lavoro minorile, si riuscirà a fermare la bomba demografica nei paesi poveri. Al contempo però, il modello occidentale, consumista ed energivoro non può essere un modello da seguire per chi esce dalla povertà.
Ecoló: Vorremmo chiederti anche della tua esperienza di giornalista e scrittrice ecologista, come mai secondo te il pensiero ecologista fa così fatica ad affermarsi in Italia?
LM: L’Italia era un paese povero, è uscito dalla guerra con una gran voglia di riprendersi, e si è buttata a capofitto nelle braccia delle lobby delle auto, del cemento e delle strade, che hanno trasformato a loro immagine le città, tagliando per sempre mezzi pubblici, rotaie… I politici di destra e sinistra per decenni se ne sono strafregati dell’ambiente, della qualità urbana, pensando solo alla ripresa economica. La cultura ha fatto il resto. Una cultura estremamente familista, che tende a privilegiare il privato al pubblico, gli interessi egoistici al bene comune, una cultura che esalta la superficialità e l’ostentazione ma non si preoccupa delle conseguenze profonde delle azioni, una cultura politica basata sempre sul do ut des, sullo scambio voto-favori, sul ricatto occupazionale, sul ricatto delle lobby. Per questo quei pochi sindaci coraggiosi dopo poco venivano fatti fuori (vedi Fazio Fabbrini a Siena). Una politica poco coraggiosa, sempre balbettante, che invece di educare al bene comune, seguiva gli interessi di pancia e il populismo. La fissa per l’igiene ha creato terreno fertile per il radicamento dell’usa e getta in plastica. La fobia dei luoghi aperti e degli agenti atmosferici, uniti a una martellante pubblicità della grande industria automobilistica, ha forgiato coscienze e abitudini, rendendo gli italiani schiavi delle auto, incapaci di fare pochi km a piedi. E sappiamo che le abitudini, una volta prese, sono dure a morire e modellano la mente e la percezione di ogni cosa. Per questo ora è tremendamente difficile parlare di ambiente, rispetto della natura, zone pedonali, riduzione di auto e rifiuti. Viene sentito come un attacco ad abitudini radicate, un attacco a vitali diritti e si invoca sempre la libertà “di vivere come ci pare”. Non si viene mai compresi, come ecologisti, si viene additati come sognatori (se va bene) estremisti talebani (se va male). Se si vuole essere votati, bisogna fare buon viso a cattivo gioco, mai dire troppo e mai essere schietti. Ci si scontra con una mentalità radicata da decenni, che vede il progresso come distruttore di natura e la natura come un luogo da dominare, da sfruttare e da cui scappare.
Ecoló: Infine tre domande sulla tua esperienza con i Verdi dell’Emilia Romagna, come mai hai deciso di dare il tuo contributo alle ultime elezioni regionali?
LM: Credevo fosse giusto, in un periodo di crisi ambientale e climatica, fare un passo in più rispetto al semplice attivismo, volevo mettermi in gioco nella politica, pensavo di poter cambiare qualcosa. Non mi piaceva l’alleanza con Bonaccini, ma tutti dicevano che era il meno peggio…e mi sono fidata.
Ecoló: Sei pentita? O è stata un’esperienza che rifaresti?
Molto pentita e non lo rifarei mai più. Ho vissuto mesi molto duri. Io sono sempre stata abituata a dire quel che penso, con rispetto, ma senza finzione. In campagna elettorale, non potevo dire la mia idea, non potevo fare critiche a Bonaccini sulle sue prese di posizioni antiecologiste (autostrade, aereoporti, trivelle), perché si era in coalizione e bisognava “andarci piano”. Ma io non sopportavo queste finzioni, questi finti sorrisi, queste passerelle e comizi, sono sempre stata attivista e certe cose le denunciavo lo stesso. I verdi locali mi hanno tolto la possibilità di scrivere sulla pagina FB locale, evitavano di condividere ogni mio pensiero, si sono persino rifiutati di attaccare i manifesti col mio volto per una stupida gelosia….A parte alcuni gruppi locali fantastici (di Rimini, di Forlì), da parte del regionale, ho percepito molta freddezza verso i nuovi. In seguito ad un commento critico che scrissi su Bonaccini su FB, sono stata richiamata, mi hanno chiesto immediate scuse, altrimenti Bonaccini avrebbe annullato una conferenza stampa. Una situazione surreale. Io al telefono dovevo chiedere scusa a Bonaccini o lui avrebbe annullato una conferenza stampa (con gente che veniva dalla Francia apposta). E’ stato un mese molto faticoso e umiliante, mi sembrava di vivere un incubo, in cui volevo urlare ma non potevo. Eravamo tutti molto stanchi in famiglia. Ho capito che fingere non è il mio mestiere e la politica (almeno come è intesa qui da noi) non fa per me. Mi sono ributtata a capofitto nell’attivismo, nella Fiab, in XR, strafelice della libertà ritrovata. Ho deciso di non far più parte di alcun partito, ma lottare con passione come attivista. Credo di essere molto più utile (e serena) così. Ho trovato gente meravigliosa nelle associazioni, e sono davvero felice.
Ecoló: Cosa pensi che manchi al movimento ecologista italiano per fare un salto di qualità ed assomigliare ai movimenti del nord Europa?
LM: Non sono una buona analista politica, né esperta dei Verdi Europei, però vi posso parlare della mia esperienza. Credo che qui in Italia manchi da una parte molto coraggio nei Verdi, (tentennano troppo, inoltre le alleanze fatte col PD sono suicidi politici e di credibilità) e dall’altra parte, come già detto, manca molta sensibilità ambientale da parte della gente. I Verdi da quel che ho visto, mi pare che siano ancora troppo legati a logiche vecchie di partito, di calcoli e piccole gelosie. Devono assomigliare di più ad un’associazione, con meno gerarchia, più libertà, dare più spazio ai giovani, essere più coraggiosi.
Ecoló: Grazie del tuo tempo a presto!