Da oggi l’Associazione Ecoló è un’associazione affiliata a Green Italia. Cosa significa questo? Significa che collaboreremo con Green Italia per dare rappresentanza alle istanze ecologiste e verdi sul territorio di Firenze. Significa che ci aggreghiamo ai tantissimi che in Italia si riconoscono nei valori e nell’azione dei Verdi Europei e vogliono costruire, anche nel nostro paese, i presupposti culturali necessari perché la politica metta al centro della propria azione l’urgenza della transizione ecologica. Che va realizzata da subito. Vorremmo ringraziare Annalisa Corrado, Carmine Maturo e tutto l’Ufficio di Presidenza di Green Italia per aver accettato, anche in fase di revisione statutaria, la nostra richiesta di affiliazione.
Qua sotto riportiamo il manifesto di Green Italia!
Manifesto Green Italia
approvato all’Assemblea generale del 14 settembre 2019
C’è bisogno che l’impegno per fermare l’emergenza climatica diventi una priorità reale nella cultura, nella politica, nell’economia e nella società, passando dal mondo dei desideri e dei proclami a quello delle strategie e delle scelte radicali. Questa è una priorità globale, poiché non solo il controllo delle fonti fossili continua ad essere la causa principale di conflitti striscianti o espliciti, ma le migrazioni sono ad oggi l’unica forma di adattamento ai cambiamenti climatici, le cui prime vittime sono i Paesi poveri e i poveri dei Paesi ricchi.
Mai come in questi mesi è risultato evidente quanto la crisi climatica sia divenuta una questione di sicurezza nazionale, con eventi metereologici estremi sempre più intensi e frequenti, che mettono alla prova un territorio già reso fragile da dissesto idrogeologico, cementificazione selvaggia, abusivismo e dalla mancanza di manutenzione di strutture e infrastrutture.
Il collasso climatico provoca già oggi danni economici rilevanti, dalla messa in crisi dell’agricoltura, all’erosione delle coste, dalla scomparsa delle api e la crisi della biodiversità, alle isole di calore nelle grandi città: mettere in campo ogni possibile azione di mitigazione e investire in resilienza e adattamento è l’unica via possibile: decisiva per la salute, la sicurezza, il benessere dell’intera umanità e delle generazioni future.
Un altro problema ambientale ormai fuori controllo nasce dall’uso indiscriminato e crescente di plastica (in particolare di quella mono-uso) e dal diffondersi sempre più devastante dell’inquinamento da microplastiche, che stanno mettendo in crisi alla radice il delicato e prezioso equilibrio di mari, fiumi e oceani, che, in assenza di straordinarie inversioni di rotta, si vedranno popolati da più plastica che materia vivente entro il 2050.
Fenomeni, questi, che, combinati ai rischi di una prossima crescita della popolazione mondiale oltre i 10 miliardi di persone, mettono davvero a repentaglio la persistenza, sul Pianeta Terra, delle condizioni che hanno permesso al genere umano di espandersi.
Di fronte a queste crisi serissime, l’Italia deve cambiare tanto la strada quanto il passo rispetto alla mancanza di coraggio e visione manifestata dagli ultimi governi (in quasi totale fossile continuità); occorre tagliare completamente i ponti con l’antistorico immobilismo, con i molteplici passi falsi di un passato anche recente che continua a vedere l’ecologia come uno dei vari temi da trattare (spesso l’ultimo) invece che la chiave strategica di interpretazione della realtà e di ispirazione dell’azione.
Non possiamo più permetterci piccoli passi o un governo che funzioni “a canne d’organo”: è assolutamente necessario che venga coordinata un’azione sinergica almeno tra Ministeri dell’ambiente, dello sviluppo economico, dei trasporti e delle infrastrutture, dell’agricoltura, dell’istruzione, dell’economia, della salute, attraverso un vero e proprio gruppo di lavoro incardinato nella Presidenza del consiglio.
Il primo atto dovrà essere la scrittura di un PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima) che superi l’insufficienza grave dei precedenti documenti strategici e, finalmente, costituisca tanto uno strumento operativo, quanto il primo atto con cui il nostro governo s’impegni con forza, in Europa e in tutte le sedi internazionali a partire dalla Conferenza sul Clima del prossimo dicembre in Cile, per l’adozione di obiettivi vincolanti che consentano almeno di raggiungere gli obiettivi fissati nel 2015 a Parigi.
Vogliamo che si crei lavoro e si esca da questa lunga e profonda crisi economica, finanziaria e sociale puntando sulla green economy e sull’economia circolare: un’economia basata sul rispetto dei territori, delle persone, siano lavoratori, lavoratrici o consumatori e su un uso efficiente, etico e ecologicamente sostenibile dell’ambiente, delle risorse naturali e dei beni comuni. Possiamo dire basta all’economia “grigia” e iniqua, che da una parte produce inquinamento, malattie, disastri climatici, dall’altra alimenta le diseguaglianze sociali e fa crescere la povertà.
Migliaia di imprese, anche in Italia, hanno già imboccato la strada della green economy e dell’economia circolare: sono i veri “campioni” della nostra economia, imprese visionarie ed eccellenti che, grazie alle loro scelte consolidate ispirate alla responsabilità sociale ed ambientale d’impresa, si affermano nella competizione globale e resistono meglio alla crisi economica, ma che hanno bisogno di una politica e di politiche più moderne e più degne.
Occorre favorire la nascita e lo sviluppo di reti per unire le imprese in grandi progetti “green”.
Vogliamo che l’Italia difenda la sua Natura, tra le più ricche di biodiversità dell’intero Pianeta, e che lo faccia restituendo dignità, risorse umane e economiche, alle strutture e agli Enti deputati a farlo (Riserve protette, Parchi Regionali e Nazionali etc.). C’è bisogno che le innumerevoli aree protette, tra cui i SIC e le ZPS, siano tutelate da misure normative efficaci e con fondi che ne possano garantire la gestione, affidata a figure competenti e non a portaborse politici. Questo nuovo approccio può comportare anche possibilità di lavoro per i numerosi giovani che, anche come volontariato, dedicano il loro tempo alla difesa della Natura
Possiamo pretendere un’Europa democratica, solidale, capace di politiche economiche e finanziarie, sociali e ambientali che rispondano all’interesse dei cittadini e non come oggi alla convenienza delle grandi banche o di ristretti cartelli di grandi imprese dall’energia fossile alla siderurgia all’automobile. Per costruire un’Europa così occorre trasmettere una più forte consapevolezza del nostro destino comune di europei, ottenere l’abbandono delle fallimentari politiche di austerità fine a se stessa seguite in questi anni e un forte rilancio dell’impegno per un’Europa federalista. L’Italia deve impegnarsi con più forza per un’Unione Europea luogo e strumento di diritti e di cittadinanza attiva, che cancelli ogni spazio per il razzismo e l’autoritarismo. Ci sentiamo italiani e ci sentiamo cittadini europei, crediamo che solo unendo le loro forze e le loro stesse “diversità” i popoli europei troveranno la via di un futuro desiderabile.
Vogliamo che l’Italia e l’Europa si facciano protagoniste di un impegno rinnovato e concreto per la pace e il disarmo. Nel mondo attuale continuano a proliferare guerre tra Stati e all’interno degli Stati, e ad imperversare un commercio più o meno legale di armamenti che vede i Paesi più ricchi Come padroni di un business orrendo giocato al di fuori di ogni regola di controllo democratico. L’Italia come tutti i Paesi europei deve ridurre le sue spese militari, cominciando dal taglio di investimenti insensati come quello sui bombardieri F35.
Dobbiamo impedire ogni tentativo di appropriazione privata e di mercificazione dei beni comuni sia materiali che immateriali: dall’acqua al suolo, dal sistema scolastico a quello sanitario, dalla difesa dei cittadini contro l’inquinamento all’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. In particolare la salute dei cittadini è un bene assoluto e indisponibile: un bene minacciato troppo spesso da chi inquina e avvelena impunemente i territori – dall’Eternit all’Ilva – un bene la cui tutela va sempre anteposta a interessi e convenienze privati ed al ricatto occupazionale.
Possiamo e dobbiamo pretendere un commercio internazionale giusto e solidale, fondato sui vincoli di promozione e tutela dei diritti umani definiti dal diritto internazionale; attento ai diritti delle popolazioni e dell’ambiente, alla sostenibilità, al principio di precauzione e di salvaguardia della salute umana ed animale. Serve insomma affermare criteri ad approcci di relazioni commerciali ben diversi, da quelli asimmetricamente negoziati oggi, ad esempio nel caso di accordi bilaterali come il Ttip, il Ceta, il Mercosur.
Vogliamo legalità, a cominciare dalla tutela dell’ambiente: occorre pretendere che il quadro normativo si completi e vigilare perché le norme siano applicate con rigore e completezza, così da sconfiggere le ecomafie e da impedire nuove Ilva e nuove “terre dei fuochi”.
Vogliamo favorire e accelerare la rivoluzione energetica già in atto: in Italia entro vent’anni la gran parte del fabbisogno energetico deve essere soddisfatta con le fonti rinnovabili, ed è altrettanto urgente investire nel miglioramento degli standard di efficienza energetica a cominciare dall’energia consumata per usi domestici. Per abbattere l’inquinamento dell’aria e per fermare i cambiamenti climatici bisogna uscire al più presto dall’era del petrolio e dei fossili, e per l’Italia – che importa gran parte del petrolio, del carbone, del gas che utilizza – questa è anche la via più rapida e virtuosa per superare la condizione attuale di dipendenza energetica. Possiamo e dobbiamo imparare a dire sì alle politiche industriali necessarie per portare a compimento la transizione, impegnandoci anche per un rapido sviluppo di un modello diffuso e partecipato di produzione energetica a partire dalle “comunità energetiche” e vigilando perché tali politiche vengano messe in atto sempre tutelando le fasce più fragili e svantaggiate della popolazione, a partire dalle lavoratrici e dai lavoratori dei settori che dovranno trasformarsi radicalmente, e orientate all’obiettivo di combattere le diseguaglianze e aggredire il fenomeno della povertà energetica.
Dobbiamo, con la stessa fermezza, dire no a tutto ciò che ricalchi i molteplici tentativi di garantire “via libera” generalizzati a scelte profondamente “anti-moderne”, che rappresentano una grave minaccia per l’ambiente e che, di fatto, rallenterebbero invece di accelerare la transizione verso un sistema energetico “fossil-free”: come trivellazioni petrolifere in mare e a terra, nuovi inceneritori, grandi opere inutili.
Vogliamo promuovere l’innovazione e l’industria che scommettono sull’ambiente, e invece smetterla di sovvenzionare “a perdere” attività decotte e inquinanti. Basta con politiche che per tutelare ristretti e ormai anacronistici poteri economici – dalle energie fossili, alla rendita immobiliare, a tutti i settori industriali più retrivi e anti-ecologici che sacrificano sistematicamente l’interesse generale.
Vogliamo un’Italia sempre più “digitale”. Garantire a tutti i cittadini l’accesso alle più avanzate tecnologie digitali costituisce un fattore decisivo di equità sociale, di trasparenza amministrativa e lotta alla corruzione, di rafforzamento di tutti i presìdi di cittadinanza attiva impegnati in difesa dei beni comuni. Occorre inoltre limitare e rendere più trasparente l’attuale strapotere delle multinazionali digitali.
Chiediamo un uso ecologico della finanza pubblica, la lotta alle speculazioni finanziarie e alle varie forme di elusione fiscale, in Italia e in Europa.
La giustizia fiscale è condizione indispensabile per canalizzare i fondi che servono alla giustizia climatica e sociale. Le tre giustizie sono inscindibili.
La transizione ecologica non può prescindere da una finanza al servizio della società. Il denaro può essere uno straordinario strumento di lotta alle disuguaglianze
che si stratificano a causa di modelli economici del tutto fallimentari Vogliamo un sistema bancario trasparente e non speculativo,
attivo al sostegno della riqualificazione dell’economia reale in senso ecologista. Vogliamo nuovi meccanismi di regolamentazione della finanza privata, contro i paradisi fiscali. Chiediamo che liquidità e credito siano considerati “beni comuni”.
Vogliamo azzerare il consumo di suolo, che distrugge la natura e alimenta la corruzione, e avviare un grande programma di rigenerazione urbana e riqualificazione del patrimonio edilizio esistente nel segno dell’efficienza energetica, della sicurezza antisismica, di una migliore qualità urbanistica e architettonica, nell’ottica generale del necessario adattamento ai cambiamenti climatici. Occorre rafforzare le politiche di sostegno alle aree protette ed alle reti naturali, presidio insostituibile di salvaguardia degli equilibri ecologici. Serve una politica nazionale per le città, fondata su obiettivi concreti e ravvicinati di miglioramento della qualità della vita e della qualità dei servizi per tutti gli italiani – oggi una larga maggioranza – che vivono nei centri urbani. Occorre mettere al centro dell’innovazione urbana e territoriale la riqualificazione ambientale, sociale e culturale delle periferie.
Vogliamo che l’Italia “faccia l’Italia”, cioè valorizzi le sue vocazioni, i suoi talenti, dalla bellezza del paesaggio alla ricchezza culturale delle città alla creatività imprenditoriale che ha reso famoso in ogni angolo del mondo il “made-in-Italy. All’Italia serve una nuova visione, una direzione di marcia che ci guidi e possa darci un ruolo da protagonisti nel mondo sempre più “largo” che sta prendendo forma. La bussola di questo necessario e diverso cammino è nelle nostre ricchezze più grandi, quelle scritte nell’articolo 9 della Costituzione: la cultura, l’educazione, la ricerca, il paesaggio. Finora le abbiamo tutte maltrattate, questa è la radice più profonda del declino italiano. Vogliamo che al patrimonio culturale sia riconosciuta piena valenza didattica, quale supporto prezioso di crescita civile per l’intera collettività.
Vogliamo che la scuola pubblica diventi il centro pulsante della conversione ecologica in Italia e torni a svolgere la funzione di emancipazione delle persone e di potente ascensore sociale, come avvenuto nel secolo scorso. Strettamente collegate alla valorizzazione delle vocazioni e dei talenti sono, infatti, le questioni centrali e strategiche della riuscita scolastica e della corrispondente lotta all’abbandono scolastico. Il fenomeno dell’analfabetismo di ritorno e dell’insoddisfacente raggiungimento di standard educativi adeguati si lega strettamente alla regressione culturale in atto sul fronte dell’accoglienza e della tolleranza sociale, con gravi effetti sulla partecipazione democratica nel Paese.
La scuola va posta al centro delle strategie politiche nazionali: è qui la vera opportunità per il Paese di coniugare innalzamento degli standard educativi e sensibilità operative e attive.
Vogliamo promuovere la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica in campo ambientale, in primo luogo per accompagnare il tessuto imprenditoriale alla riconversione produttiva in senso ecosostenibile, con una visione di medio-lungo periodo. Ciò può essere perseguito con un’azione mirata, e possibilmente coordinata, in primo luogo dei Ministeri dello sviluppo economico e dell’istruzione/università/ricerca, per gestire con efficacia i fondi esistenti per la ricerca finalizzata e individuando obiettivi e strumenti nella prossima elaborazione del Programma Nazionale della Ricerca. Va sostenuta anche in questo modo l’industria che ha scelto con convinzione e concretezza (no al “green washing”!) la via della sostenibilità ambientale. Basta con politiche che per tutelare ristretti e ormai anacronistici poteri economici – dalle energie fossili, alla rendita immobiliare, a tutti i settori industriali più retrivi e antiecologici – che sacrificano sistematicamente l’interesse generale.
Possiamo e dobbiamo chiudere definitivamente la porta agli Ogm, combattere l’abuso di pesticidi (a partire dal bando del glifosato) e contrastare le pratiche intensive di agricoltura e allevamento che impoveriscono e ammalano i territori e i consumatori, riducono la biodiversità e non tengono minimamente conto del benessere animale, producendo emissioni di C02. Dobbiamo, invece, rafforzare la nostra vocazione a un’agricoltura e un’agro-industria di qualità e generativa, legata alle tradizioni ed ai saperi del passato, ma illuminata da innovazione buona e ispirata all’economia circolare, che non solo produca buoni cibi ma salvaguardi il territorio.
Vogliamo che si investa molto di più per mettere in sicurezza il nostro territorio, reso fragilissimo da decenni di abusivismo edilizio impunito e di cementificazione senza regole e senza limiti, e molto di meno finanziare grandi opere inutili per la collettività, come il mega-tunnel in Val di Susa.
Vogliamo una forte accelerazione nella bonifica dei siti contaminati e spesso resi invivibili da decenni di inquinamento industriale impunito, cominciando dalla creazione di un fondo nazionale per le bonifiche finanziato da tutte le imprese – chimiche, petrolchimiche, siderurgiche – che operano in settori industriali dall’elevato impatto ambientale. Dobbiamo pretendere un cambio di passo nella gestione della drammatica questione della capillare diffusione di manufatti in amianto nel nostro Paese, considerandone anche la crescente pericolosità in relazione alla prolungata esposizione agli agenti atmosferici e/o all’invecchiamento e obsolescenza delle strutture.
Possiamo davvero rivoluzionare il modo di gestire i rifiuti per avvicinare concretamente il traguardo dei “rifiuti-zero”: dobbiamo chiarire in ogni modo il quadro normativo per rendere possibili le molte pratiche industriali già disponibili per il recupero e la trasformazione di scarti in materie prime seconde, investire in innovazione e ricerca mirate al risparmio di materie prime e il riutilizzo di ogni materiale di scarto, massimizzare la raccolta differenziata e il recupero di materia, perseguire come finora non è stato fatto la riduzione dei rifiuti alla fonte a cominciare dagli imballaggi, a partire dalla plastica mono-uso, condurre una vera guerra contro le ecomafie dei rifiuti, eliminare definitivamente ogni incentivo per l’incenerimento.
Vogliamo treni più moderni e più efficienti per i pendolari, per i lunghi viaggi, per le merci; più tram, autobus e metropolitane, servizi innovativi in “sharing”, incentivazione alla mobilità elettrica nel trasporto pubblico e privato, forte sostegno all’uso della bicicletta per una mobilità urbana sostenibile; molti meno miliardi buttati via per costruire autostrade inutili e favorire il trasporto su gomma sprecando energia e aumentando l’inquinamento. Per queste ragioni occorre superare la “Legge Obiettivo”, che privilegia le grandi opere e in particolare le grandi opere autostradali, e cancellare le norme del decreto “Sblocca-Italia” che in palese violazione delle normative europee consentono proroghe delle concessioni autostradali finalizzate alla realizzazione di nuove autostrade. Allo stesso modo va radicalmente rivisto il decreto “sblocca-cantieri” del Governo Lega-Cinquestelle, che incrementa opacità, regole allentate, grande opere inutili, trattativa privata nel settore degli investimenti e delle opere pubbliche. Per scegliere le opere davvero utili all’Italia e agli italiani serve una politica dei trasporti sostenibile che fissi obiettivi strategici – riduzione del peso oggi preponderante della mobilità su gomma, riduzione dell’inquinamento, stop al consumo di suolo, destinazione di almeno la metà della spesa per investimenti disponibile alla mobilità urbana – e da questi faccia derivare le decisioni sulle singole opere. Le politiche e i singoli interventi per una mobilità sostenibile devono essere sempre più accessibili alle fasce più fragili della popolazione e alle periferie urbane e territoriali.
Vogliamo promuovere gli stili di vita, di consumo e di alimentazione che mettano al centro la salute delle persone, i criteri della qualità ecologica, la lotta al collasso climatico e la responsabilità sociale, a partire da preziose esperienze di cittadinanza attiva diffusa come i “gruppi di acquisto solidale” e le forme di commercio equo e solidale. Ci sentiamo inoltre impegnati per accrescere nella società e nell’economia l’attenzione verso i temi del benessere e della dignità dei diritti degli animali. L’Italia è il solo Paese in Europa ad avere politiche sanitarie in grado di abbracciare salute umana ed animale: un patrimonio di cultura politica da valorizzare al massimo, soprattutto nel senso delle politiche di prevenzione, che devono essere finanziate con ben maggiore convinzione e coraggio, in una ottica di salute pubblica integrale.
Vogliamo una politica dell’immigrazione aperta, inclusiva, solidale, che dia priorità ad una autentica integrazione dei cittadini migranti che arrivano nel nostro Paese in fuga da guerre e violenze ovvero alla ricerca di una vita di dignità ed autodeterminazione. La loro presenza in Italia è stimolo alla costruzione di un Paese rinnovato, plurale, diverso, dunque, di una società più capace ad affrontare le complessità del tempo presente. Occorre pertanto ribaltare la narrazione securitaria in merito alla presenza delle persone migranti nel nostro Paese. Dobbiamo pretendere una profonda revisione del Trattato di Dublino, in relazione all’accoglienza dei migranti e dei richiedenti asilo, nell’ottica solidale già tracciata dal Parlamento Europeo, ma mai portata alla discussione in Consiglio, nella consapevolezza che le migrazioni sono per l’Europa una grande opportunità di innovazione sociale e culturale. Occorre assolutamente mettere fine alla stagione delle morti nel Mediterraneo, della repressione dei flussi migratori e del finanziamento di finte guardie costiere e dei centri di detenzione e tortura in Libia, luoghi di terrore e di morte di cui i Paesi Europei si sono resi complici. Dobbiamo esigere la creazione di canali di accesso regolato e sicuro per chi fugge da povertà endemica, guerre, disastri ambientali e climatici, distruzione, desertificazione, appropriazioni indebite delle terre, crisi climatiche (spesso “effetti collaterali” del modello di sviluppo occidentale) convenzioni sociali oppressive o violenza politica.
E’ urgente e indispensabile, quindi, istituire corridoi umanitari europei per evacuare immediatamente la Libia, che è paese in guerra civile e NON sicuro, come dimostrato da tutte le organizzazioni internazionali.
Occorre una riforma organica del modello legislativo in materia di immigrazione e ciò comporta l’abrogazione non solo della Legge Bossi-Fini (che ha modificato in chiave restrittiva e proibizionistica il Testo Unico) ma anche del decreto Minniti-Orlando e dei due decreti Salvini.
Le regole che abbiamo oggi, oltre ad essere disumane e ciniche, funzionano male e costano molto.
E’ necessario uscire dalla logica emergenziale con cui si continua ad affrontare il tema delle migrazioni. In questo senso l’Italia si dovrebbe prendere la responsabilità di normare il diritto alla mobilità a monte, con una disciplinata erogazione di visti per i molti e diversi motivi per cui le persone arrivano. Il 98,2 % delle richieste di visto dai paesi africani per motivi di studio viene respinto; eppure l’Italia è il paese che ha il più basso livello di internazionalizzazione delle proprie università.
Sarebbe necessaria una sanatoria per le persone che sono già in Italia e servirebbe un serio programma di integrazione, tale da permettere ai migranti che adesso girano per le strade delle nostre città di poter colmare il gap di 1.250.000 posti di lavoro che, in Italia, restano inevasi, visto che, a quanto consta, non interessano gli italiani.
Questi i criteri a cui ispirare le politiche pubbliche in questo campo: favorire la regolarizzazione di chi già è in territorio italiano, regolamentare l’ingresso dei cittadini extracomunitari non solo attraverso la previsione, nell’immediato, di corridoi umanitari, ma anche mediante accordi multilaterali con i Paesi di Origine di maggior flusso verso l’Italia; superare i numerosi profili di illegittimità delle norme vigenti (operazione di per se doverosa), anche per dare ossigeno alla nostra asfissia demografica che è un fardello per la nostra economia e per la sostenibilità nel tempo del nostro welfare; introdurre il visto d’ingresso per ricerca di lavoro (per superare l’attuale meccanismo impraticabile, inefficace e criminogeno dell’incontro a distanza tra domanda e offerta di lavoro); introdurre un meccanismo di regolarizzazione permanente per chi è già in Italia; abrogare il reato di clandestinità; istituire un’autorità indipendente per la tutela dei diritti umani e contro le discriminazioni; riconoscere il diritto di voto nelle elezioni amministrative agli stranieri regolarmente soggiornanti; riformare la legge sulla cittadinanza e introdurre lo ius soli: perché i nuovi italiani, bambini e giovani di origine straniera nati in Italia non devono più essere trattati come cittadini di serie b ma devono sentirsi protagonisti di una società multiculturale e plurale.
Vogliamo combattere senza tregua ogni forma di xenofobia, di razzismo, di criminalizzazione indiscriminata tanto dei fenomeni di immigrazione e dei migranti, quanto delle ong e delle associazioni che si occupano di salvare vite in mare, sostituendosi all’assordante assenza dei Governi europei. L’Italia, Paese con una storia lunga e dolorosa di emigrazione alle spalle, deve dare piena accoglienza a chi fugge dalle guerre e dalle persecuzioni, come previsto dall’articolo 10 della Costituziuone, e deve fare molto di più per i diritti e la dignità di milioni di cittadini e cittadine immigrati che vivono e lavorano da anni nel nostro Paese, ma sono tuttora esclusi da molte tutele sociali.
Vogliamo un Paese che riconosca pienamente il ruolo che le donne possono e devono giocare nella società, per fare dell’Italia un Paese moderno. Chiediamo una vera parità, per promuovere e sostenere un reale protagonismo delle donne in ogni sede pubblica, aziendale, politica, istituzionale.
Sono queste le condizione perché venga riconosciuta alle donne parità di accesso al lavoro e di trattamento retributivo. Si tratta di una priorità assoluta nel necessario cammino di riforma e aggiornamento del nostro welfare. Occorre dare molto più spazio e visibilità alla lotta contro tutte le forme di violenza sulle donne, dalla terribile emergenza dei femminicidi alle forme di pressione e discriminazione più striscianti.
Possiamo e dobbiamo pretendere uno stato sociale più equo e moderno: che dia davvero a tutti i cittadini pari opportunità e diritti, che perfezioni e definisca in maniera più efficace le forme tradizionali di tutela sociale come il diritto alla salute, attraverso un servizio sanitario pubblico universalista e forme recenti ormai irrinunciabili come il reddito di cittadinanza, che sostenga adeguatamente le persone e le famiglie – sempre più numerose – che si trovano sotto la soglia di povertà.
Vogliamo per tutti diritti essenziali e irrinunciabili: particolare importanza devono avere i diritti delle comunità LGBTQ+: l’omo-transfobia che discrimina ed emargina le persone omosessuali è un crimine; ogni coppia, eterosessuale o no, ha diritto ad essere riconosciuta dallo Stato come famiglia.
Vogliamo, ancora, uno stato sociale che metta al centro delle sue politiche i giovani, che li aiuti a costruire il loro futuro incoraggiandone l’ambizione, il merito, l’intraprendenza.
Vogliamo uno Stato, una pubblica amministrazione molto più amichevoli verso le persone, con regole e norme tanto severe nel difendere l’interesse pubblico e il principio di legalità quanto semplici e chiare nell’applicazione.
Vogliamo ecologia nella politica e nello Stato. Nessuna vera ripresa sociale, economica, civile sarà possibile in Italia senza “disinquinare” la politica e la pubblica amministrazione, senza ripulirle da corruzioni, abusi di potere, conflitti d’interesse, illegalità favorite o tollerate, rapporti opachi e spesso nascosti tra decisori pubblici e interessi economici. Questo cambiamento, condizione necessaria perché l’Italia si rimetta in cammino, passa obbligatoriamente per un forte rinnovamento, culturale prima ancora che generazionale, delle classi dirigenti.
Vogliamo regole che garantiscano di più e meglio la partecipazione dei cittadini e cittadine, in particolare delle comunità territoriali alle scelte concrete in ambito sociale e ambientale. Questo è un passaggio indispensabile per dare vita alla prospettiva del “green new deal” e anche per contrastare “sul campo” quelle forme di “Nimby” che ostacolano gli interventi e le opere necessari alla transizione verso un’economia sostenibile e circolare.
L’emergere di una pandemia che colpisce le vie respiratorie comporta una significativa richiesta di maschere protettive. I numeri attuali, dovuti all’emergenza sanitaria 2020, dicono che con l’inizio dell’anno scolastico l’utilizzo di mascherine monouso aumenterà fino a 10 milioni al giorno solo per la scuola e le attività collegate, si tratta quindi di 2 miliardi di unità ogni anno!
Sono numeri impressionanti, sia per la produzione di mascherine necessarie, sia per il loro impatto a fine vita. Sono classificate infatti come rifiuto indifferenziato che andrà in discarica o sarà incenerito. Ma molte mascherine saranno semplicemente abbandonate nell’ambiente: incrociando i dati dell’Ispra e diffusi da Legambiente si stima addirittura che in Italia vengano gettate a terra circa 330mila mascherine al giorno.
Da molte parti si levano proteste e richieste di poter utilizzare mascherine lavabili e riutilizzabili invece che usa e getta (Zero Waste Italy e altre associazioni invitano alla mobilitazione il prossimo 30 e 31 ottobre).
La situazione è sicuramente non semplice, ma riteniamo che la politica davanti a questi numeri debba farsi carico, sulla base delle evidenze scientifiche, di valutare le soluzione migliori su un piano sanitario senza trascurare gli aspetti ambientali devastanti che possono comportare.
Perché dobbiamo utilizzare mascherine usa-e-getta?
La mascherina è un presidio fondamentale. È assodata l’importanza di utilizzare mascherine di contenimento per ridurre la probabilità di propagazione dell’infezione da SARS-CoV-2, soprattutto in ambienti chiusi e dove non è possibile mantenere distanze fisiche adeguate. Ciò vale anche per le scuole e, secondo le disposizioni ministeriali vige quindi l’obbligo di mascherina dalle elementari in su, con indirizzo da parte del Comitato Tecnico Scientifico verso l’utilizzo di maschere monouso.
Le mascherine accettate sono quindi quelle chirurgiche. Sono pensate per essere utilizzate in ambiente ospedaliero e in luoghi ove si presti assistenza a pazienti.
Le mascherine chirurgiche devono essere prodotte nel rispetto della norma tecnica UNI EN 14683:2019, che prevede caratteristiche e metodi di prova; possono essere realizzate con uno o più strati sovrapposti di tessuto-non-tessuto (TNT) sviluppati con varie tecnologie. I materiali sono principalmente polipropilene e poliestere, anche se non si esclude la possibilità di utilizzare altri materiali polimerici.
Perché non usiamo le mascherine “di comunità”? Molte persone hanno deciso di utilizzare maschere di stoffa durante la pandemia. Tuttavia, a livello scientifico c’è una conoscenza limitata sulle prestazioni dei tessuti comunemente disponibili e utilizzati per le maschere di stoffa, chiamate anche di comunità.
La valutazione dell’efficacia di una mascherina dipende dalle dimensioni del particolato aerosol nell’intervallo da 10 nm a 10 μm, particolarmente rilevante per trasmissione del virus. L’articolo “Aerosol Filtration Efficiency of Common Fabrics Used in Respiratory Cloth Masks” del U.S. Department of Energy ha effettuato uno studio su diversi tessuti comuni e facilmente disponibili tra cui cotone, seta, chiffon, flanella, vari sintetici e la loro combinazione. I risultati indicano che le efficienze di filtrazione variano dal 5% all’80% per particelle minori di 300nm, e dal 5% al 95% per particelle maggiori, queste però migliorano quando sono stati utilizzati più livelli e quando si utilizza una combinazione specifica di diversi tessuti. L’efficienza di filtrazione degli ibridi (come cotone-seta, cotone-chiffon, cotone-flanella) è risultata essere >80%, per particelle <300 nm e >90%, per particelle >300 nm. Si ipotizza che le prestazioni migliorate degli ibridi siano probabilmente dovute all’effetto combinato di filtrazione meccanica ed elettrostatica. Il cotone, materiale più utilizzato per le maschere di stoffa, offre prestazioni migliori a densità di trama più elevate (ad esempio, numero di fili) e può fare una differenza significativa nell’efficienza di filtrazione.
A giudicare da questi risultati, sembra quindi possibile stabilire differenti combinazioni in grado di fornire una protezione significativa contro la trasmissione anche utilizzando mascherine lavabili di stoffa. Allo stesso tempo, occorre chiedersi quale sia la capacità di mantenere efficacia in funzione del numero e modalità di lavaggio.
Manca quindi uno standard per le mascherine riutilizzabili? A dire il vero non sembra essere questo il problema. Se infatti le combinazioni di strati in tessuto possono essere diverse e di difficile valutazione, così come il loro lavaggio, sono già presenti sul mercato mascherine riutilizzabili in stoffa certificate secondo lo stesso standard UNI EN 14683:2019 valido per le mascherine chirurgiche. Fino ad un certo numero di lavaggi la loro capacità di filtrazione è quindi identica a quella delle mascherine usa-e-getta.
Il limite potrebbe essere allora la capacità produttiva? Considerando i numeri di mascherine in gioco potremmo pensare che la capacità produttiva per mascherine riutilizzabili, certificate secondo lo standard richiesto, non sia attualmente sufficiente a coprire la domanda. Immaginiamo che per garantire la certificabilità del prodotto sia necessario un certo sforzo da parte delle aziende, ma questo ci sembra un limite superabile con una buona capacità di programmazione e coinvolgimento del mondo produttivo da parte della politica.
Il problema del controllo. A nostro avviso il limite principale è nella capacità di controllo. Difatti, avere uno standard che stabilisca, non solo le caratteristiche tecniche, ma anche frequenza e modalità di lavaggio, necessita anche che questo sia rispettato, ma a chi spetta controllare? Non possiamo pensare che siano le scuole, così come le aziende, già oberate da moltissime incombenze anti-COVID, a dover fare anche questi controlli. Ma è importante chiarire che questa criticità vale per le mascherine lavabili ma allo stesso modo per quelle usa-e-getta: chi garantisce che il bambino a scuola o il dipendente non stia usando la stessa mascherina per troppo tempo? Per questo motivo non crediamo che questo argomento possa essere quello decisivo.
Qual è l’impatto ambientale delle mascherine lavabili? L’impatto ecologico delle mascherine lavabili non è zero. Anche se ci è molto caro il concetto di riutilizzo sarà necessaria un’attenta valutazione del materiale utlizzato e del numero di lavaggi ammissibili. Non conosciamo studi specifici sulle mascherine ma, come dimostrato per le borse utilizzate per lo shopping da uno studio dell’Agenzia del Regno Unito per l’Ambiente del 2011, l’impatto di un oggetto riutilizzabile può essere uguale o superiore a quello di uno usa-e-getta. Lo studio dell’Agenzia britannica confrontò il costo in termini di emissioni di CO2eq di vari tipi di sacchetti comunemente usati per la spesa mostrando che, affinché fosse minore l’impatto di una busta riutilizzabile in polipropilene riciclato rispetto a un comune sacchetto di plastica usa-e-getta, era necessario che venisse utilizzata almeno 11 volte. Ancora superiore l’impatto delle shopper in cotone per le quali servono oltre 100 utilizzi perché nel ciclo di vita producano minori emissioni di un sacchetto di plastica.
Basta usa-e-getta quindi? Il problema dei miliardi di mascherine che produrremo nei prossimi mesi non si risolve semplicemente permettendo l’utilizzo di mascherine lavabili. La risposta a situazioni di questo tipo non può venire che da un insieme di soluzioni e, soprattutto, da una serie di azioni che riducano il rischio di contagio ma limitino al contempo il più possibile l’impatto sull’ambiente.
Azioni che comportano condivisione, responsabilizzazione, educazione e formazione. Rafforzare il patto educativo di corresponsabilità scuola-famiglia, informare sull’impatto di ciò che si utilizza, coinvolgere maggiormente il dipendente in azienda nella valutazione delle soluzioni, fornire istruzioni precise sulle modalità di produzione, recupero e riutilizzo delle mascherine. Questo insieme di strategie sono il primo passo per poter gestire soluzioni che integrino la tutela della salute e il rispetto dell’ambiente.
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Enrico Buonincontro è un animatore di comunità, a iniziare da quella degli studenti della sede fiorentina della New York University, dove lavora, fino ad arrivare al gruppo Parco Stibbert degli Angeli del Bello che ha contribuito a fondare. Sabato 10 ottobre ci si può unire a lui e a tanti altri per una giornata nei boschi del Sestaione e della Val di Luce per la prima edizione di “Thrashed Abetone”.
Ecoló: Ciao Enrico, ci racconti cos’è Thrashed Abetone?
Enrico Buonincontro: Thrashed Abetone è una giornata di volontariato aperta a tutti! L’evento prevede la raccolta di piccoli rifiuti abbandonati dai turisti lungo i sentieri di Abetone, della Val Sestaione e della Val di Luce durante il periodo estivo.
Thrashed Abetone sarà organizzato in collaborazione con Thrashed Dolomites che si è tenuto per la prima volta quest anno in Val di Fassa su iniziativa di un gruppo di giovani amanti della montagna che hanno deciso di dare un segnale importante per la difesa dell’ambiente. L’obiettivo è sensibilizzare le persone e creare in tutta Italia una rete di cittadini responsabili, soprattutto giovani. È un progetto che vuole restituire la speranza in un momento così drammatico come quello che stiamo affrontando; è un progetto nato dai giovani ed è anzitutto per i giovani, che saranno il futuro dell’Italia e delle nostre montagne.
Ecoló: Abbiamo letto che i promotori di Thrashed Dolomites in agosto hanno raccolto 600 litri di immondizia intorno al Sella. Cosa ti aspetti per sabato?
EB: L’importante non è quanto raccoglieremo, ma il fatto che la nostra comunità e tante altre persone che amano la montagna si ritroveranno insieme con lo stesso obiettivo: dare un segnale forte in difesa dell’ambiente. Il concetto fondamentale non è raccogliere, ma sensibilizzare.
Ecoló: La giornata mette insieme volontariato ed escursionismo come si riescono a tenere insieme questi due aspetti?
EB: Credo che sia del tutto naturale. Chi ama veramente la montagna non può tollerare che l’ambiente naturale sia trattato senza rispetto. Il desiderio di fare qualcosa nasce spontaneo. Il merito di Thrashed Abetone è di dare voce agli amanti della montagna e di fornire loro gli strumenti per entrare in azione!
Ecoló: Come per gli Angeli del bello a Firenze qualcuno storce il naso davanti a queste iniziative. Una critica che si sente è che in questo modo si deresponsabilizzano le istituzioni che sarebbero preposte a svolgere questi servizi. Cosa rispondente a questa critica?
EB: Capisco il punto di vista di chi avanza simili obiezioni, ma vorrei dimostrare che si realizza proprio l’opposto! Anzitutto, tutti noi, come cittadini, abbiamo una responsabilità nei confronti dell’ambiente e dei beni comuni in generale. Durante tutti questi anni, ho osservato che grazie a iniziative come Thrashed Dolomites (e Thrashed Abetone) si responsabilizzano sia le istituzioni, che i cittadini. Il pubblico non viene sostituito dal privato. L’impegno dei cittadini si accompagna alla volontà di collaborare con le istituzioni e di richiamarle ai propri doveri: i cittadini diventano soggetti partecipi e propositivi, in grado di offrire alle istituzioni conoscenze, risorse e soluzioni; le istituzioni trovano così, nei cittadini, alleati disposti a collaborare per la cura dei beni comuni.
Ecoló: La politica parla spesso della costa toscana e delle zone agricole, la nostra montagna invece rimane il più delle volte tagliata fuori dai progetti di sviluppo regionali. Qual è lo stato di salute del nostro Appennino?
EB: L’Appennino rappresenta un patrimonio inestimabile dal punto di vista ambientale, culturale e sociale. La nostra montagna ha bisogno di progetti concreti, in grado di esprimere una visione di lungo periodo. Non mi riferisco solo alla carenza cronica dei servizi essenziali (viabilità, trasporti e assistenza sanitaria su tutti), ma anche e soprattutto a progetti di sviluppo capaci di generare opportunità e posti di lavoro. Il tutto, naturalmente, all’insegna della sostenibilità e del rispetto dell’ambiente. Ci vogliono amministratori capaci di leggere la complessità della realtà attuale e di tradurla in forme di sviluppo concrete e sostenibili.
Anche i cittadini, però, devono dare il loro contributo. Per questo, un progetto come Thrashed Abetone può dare impulso a energie positive e aiutare i cittadini della montagna a riscoprire uno spirito di coesione.
Ecoló: Noi siamo convinti che la montagna toscana dovrebbe puntare su un futuro più sostenibile e non su nuovi impianti di risalita come quello progettato fra la Doganaccia e lo Scaffaiolo. Di cosa ha bisogno secondo te la Montagna Pistoiese oggi?
EB: Quest’estate ho iniziato un viaggio a piedi lungo i sentieri della Montagna Pistoiese. Mi sono spinto fino a Pàvana, la frazione di Sambuca Pistoiese dove vive Francesco Guccini. Ho deciso di fare questo viaggio per scoprire in modo autentico il territorio. Camminare mi ha permesso di entrare in contatto con le persone e di visitare luoghi che non avrei altrimenti scoperto. Uno dei percorsi più belli – e che mi sento di consigliare a tutti – è il Cammino di San Bartolomeo, una via pedonale che unisce Fiumalbo a Pistoia in cinque tappe. La Montagna Pistoiese è il crocevia di numerosi cammini e percorsi di più giorni: ad Abetone fanno tappa la Grande Escursione Appenninica, l’Alta Via dei Parchi (nella valle del Sestaione si attraversa la più bella foresta che si incontra sull’intero percorso dell’Alta Via) e adesso anche il Sentiero Italia del CAI; a Cutigliano si intersecano il già menzionato Cammino di San Bartolomeo e la Romea Strata Nonantolana-Longobarda. Un’altra esperienza da vivere è il grande museo diffuso che permette di conoscere la montagna attraverso il rapporto tra uomo e ambiente nei secoli: l’Ecomuseo della Montagna Pistoiese.
Il futuro della nostra montagna passa dalla valorizzazione di simili esperienze e, soprattutto, dalla destagionalizzazione. L’inverno è importantissimo dal punto di vista turistico, ma non ci possiamo più limitare a una sola stagione, con l’aggiunta di poche settimane in estate. Destagionalizzare – e quindi diversificare – è l’obiettivo essenziale per un turismo più sostenibile. La primavera e l’autunno sono due stagioni bellissime per scoprire il nostro territorio. Molti imprenditori del settore turistico e alberghiero, soprattutto giovani, l’hanno capito. Li dobbiamo sostenere.
Ecoló: Prima di salutarci ci spieghi come è possibile partecipare a Thrashed Abetone?
EB: Sabato 10 ottobre la giornata di raccolta inizierà ufficialmente alle 9:00 presso lo stand di “Thrashed Dolomites” che sarà collocato sulla terrazza panoramica del centralissimo piazzale Europa (meglio conosciuto come piazzale delle Piramidi) ad Abetone, nei pressi della scritta “Abetone 100” (orario 9:00-16:00, per informazioni: Enrico 3286249393, @locanda_farinati_abetone).
Un altro stand di “Thrashed Abetone” sarà allestito dalla Pro Loco di Pian degli Ontani (in collaborazione con il Gruppo Alpini “Aldo Pagliai” Cutigliano) a Pian di Novello, presso il parcheggio della Pianaccina (orario 9-16; per informazioni: 3663507854).
In Val di Luce, grazie al sostegno di Val di Luce Spa, sarà organizzato un altro evento di “Thrashed Abetone”, con la partecipazione dei dipendenti della società, dei cittadini e di quanti vorranno dare il proprio aiuto (per informazioni consultare la pagina Facebook Info Val di Luce).
Non è necessario iscriversi! Basta passare da uno degli stand di “Thrashed Abetone” per avere tutte le informazioni e per ritirare gratuitamente il materiale necessario per la raccolta. Saranno distribuiti sacchetti e guanti monouso a tutti i partecipanti: cittadini abetonesi, escursionisti e amanti della montagna. Ognuno cercherà i rifiuti autonomamente o in gruppo lungo i sentieri di Abetone, della Val Sestaione e della Val di Luce. Saranno anche organizzati due percorsi guidati che partiranno alle 10:00 dallo stand di Abetone.
“Thrashed Abetone” terminerà intorno alle 16:00, quando tutti i partecipanti avranno riportato i sacchetti pieni allo stand di “Thrashed Dolomites” presso il piazzale Europa di Abetone. I rifiuti raccolti saranno quindi differenziati. Perché non basta raccogliere, è necessario anche educare al recupero di quanto non serve più.
Ecoló: Grazie del tuo tempo Enrico e buona raccolta!