La rete tranviaria fiorentina, che sarà completata con il prolungamento verso Bagno a Ripoli e con la linea 4 per le Piagge, esclude la zona sud di Firenze e lascia irrisolto il problema del traffico proveniente dal Chianti (comprese le circa 25mila vetture che ogni giorno arrivano dalla Firenze-Siena).
Sarebbe importante in questa fase discutere della fattibilità di un collegamento tramviario in direzione Chianti. Dare ai fiorentini un’alternativa all’auto è una priorità assoluta se vogliamo, nel giro di pochi anni, abbattere sostanzialmente l’impatto ambientale della nostra comunità.
Allo stesso tempo è importante valutare attentamente quali sarebbero i costi ambientali ed economici dell’opera.
In realtà la Tramvia del Chianti è già esistita, in esercizio dal 1890 al 1935, aveva due capolinea a Firenze, piazza Beccaria e Porta Romana. Sul Poggio Imperiale la linea da piazza Beccaria si si ricongiungeva con il troncone proveniente dal capolinea di Porta Romana. Proseguiva poi per via del Gelsomino – creata appositamente -, le Due Strade, il Galluzzo e Bottai (sotto la Certosa), Tavarnuzze, Falciani. A Falciani si biforcava: a destra il convoglio iniziava la salita per giungere a San Casciano, dove si trovava uno dei due capolinea di arrivo; a sinistra continuava per il Ferrone e il passo dei Pecorai fino a Greve, l’altro capolinea.
Anche all’epoca la costruzione della linea fu preceduta da accese polemiche politiche. Si trattava infatti di un intervento importante, che prevedeva costi significativi e impatti sul territorio non trascurabili.
Famosa la polemica dell’architetto Poggi, ideatore del viale dei Colli. A suo avviso il passaggio della tramvia avrebbe rovinato l’estetica del viale. Tuttavia il favore delle comunità di Greve e San Casciano, e soprattutto l’intervento dell’allora deputato Sidney Sonnino, orientarono la provincia di Firenze alla definitiva approvazione del progetto.
Nel 1917 la Sita avviò un servizio di collegamento motorizzato tra Firenze, Siena e Volterra, con fermate intermedie presso San Casciano. Nei primi anni ’30 la sua concorrenza era ormai insostenibile per costi e tempi di percorrenza. La società di gestione della Tramvia del Chianti fallì e il servizio fu definitivamente soppresso nel 1935.
Nel 2015 uno studio di fattibilità ha rielaborato quella tratta in chiave moderna per valutarne la fattibilità. Il progetto assomiglia molto alla vecchia linea in funzione all’inizio del secolo scorso. La linea avrebbe la funzione di collegare il Galluzzo con il centro di Firenze passando anche dall’ingresso sulla Firenze-Siena e dall’uscita Grassina della A1.
La linea ipotizzata nello studio realizzato dallo studio Aleph prevedeva un solo binario nel tratto finale fra le Due strade e Tavarnuzze e il capolinea in via Paolo Uccello, dove si congiungerebbe alla linea 1 proveniente da Scandicci.
Nel corso della discussione, poco conosciuta al pubblico, che seguì la presentazione del progetto emersero alcune criticità. La prima riguarda il binario unico, che tende ad essere una soluzione poco apprezzata dai collaudatori di linee tramviarie. Altri due importanti interrogativi riguardano la possibilità di non dover sostituire l’alberatura di viale Aleardi e la gestibilità del capolinea alla fermata Paolo Uccello per la quale potrebbe non essere sufficiente lo spazio disponibile.
Al netto di tali difficoltà, la necessità di collegare il Chianti con Firenze, con mezzi che non siano le auto, appare sempre più necessaria. Si tratta di un dibattito interessante e soprattutto urgente che andrebbe sicuramente ripreso nella prossima consiliatura.
Tra le alternative, si potrebbe valutare la possibilità di non avere il capolinea al sud dell’Arno ma di congiungere a Porta al Prato la linea del Chianti con la linea proveniente dalle Piagge.
Senza voler ignorare le questioni tecniche, la volontà di Ecolo’ è sicuramente quella di far tornare questi temi centrali nella progettazione politica circa il futuro della città.”
Le foto del progetto sono gentile concessione di AMToscana, Stefano Ginanneschi.
Simona Larghetti, imprenditrice e cicloattivista ci racconta la strada che dalla sella di una bici l’ha condotta nel consiglio comunale di Bologna.
Ecolo’: Ciao Simona, grazie per la tua disponibilità a rispondere alle nostre domande. Cominciamo da te? Sappiamo che sei nata a Urbino, come sei arrivata a Bologna?
Simona Larghetti: Dopo Urbino sono andata a Roma per fare i provini dell’Accademia Silvio D’Amico, volevo fare l’attrice teatrale. L’impatto da un piccolo paese alla metropoli è stato devastante, mi ha colpito soprattutto la violenza del traffico e l’enorme difficoltà a spostarsi, anche per piccole distanze. Alla fine mi hanno presa all’Accademia Paolo Grassi a Milano, lì ho iniziato ad andare in bici. A Bologna sono arrivata due anni dopo per puro caso, ero rimasta delusa dal mondo del teatro e volevo scappare.l teatro e non sapevo bene cosa fare.
Com’è successo che Bologna ti ha adottata?
Mi sono iscritta all’Università, a Lettere, un po’ perché mi piaceva un po’ perché non sapevo bene cosa fare. Ho incontrato una ragazza del mio paese che faceva parte di un’associazione studentesca che si occupava del recupero di biciclette usate e di campagne contro il furto. Io già andavo in bici, mi sembravano cose bellissime. Sono diventata prima volontaria poi ho iniziato anche a lavorarci, facendo ufficio stampa e organizzazione eventi. Quel lavoretto è diventato la mia vita, e mi appassionava molto di più dello studio, che pure mi piaceva. Mi piaceva la prospettiva anche politica di quello che facevo, sentirmi parte della città e non un’ospite, una parte attiva, che si prende cura e responsabilità di quello che accade nello spazio pubblico.
Vorremmo chiederti del tuo lavoro. Dopo Paolo Pinzuti sei la seconda imprenditrice della bicicletta che intervistiamo. Come succede che una studentessa di lettere diventa imprenditrice?
Ho fatto tanti lavori tra la laurea e l’inizio dell’attività in Velostazione, sempre come dipendente o collaboratrice. Soffrivo moltissimo la mancanza di confronto con chi stava sopra di me, l’obbligo di eseguire delle mansioni senza alcuna possibilità di dare il mio contributo. Mi sembrava un sistema demenziale. Sono figlia di un piccolo imprenditore agricolo, abituata a dare il massimo per qualcosa che ami e che curi. Quando mi sono confrontata con altre persone dell’associazione che nel frattempo avevo fondato, Salvaiciclisti Bologna, aprire una cooperativa è stato quasi naturale. Una dimensione di impresa dove ognuna è nelle condizioni di dare il meglio e di costruire assieme la visione.
L’esperienza delle velostazioni in Italia è lastricata di speranza, successi ma anche tante difficoltà (pensiamo ad esempio all’esperienza di Bari). Cosa manca perché esperienze come è stata la vostra possano diventare una realtà in tutte i piccoli e grandi centri italiani?
Siamo ancora in una fase sperimentale, nonostante l’enorme ritardo. L’uso della bicicletta sta uscendo faticosamente dalla dimensione di emarginazione a chi la usava perché non aveva alternative e per molte sta diventando una scelta di vita. Iniziare a ragionare di servizi su cui investire, sia da parte del pubblico che del privato, non è più utopia, ma ancora l’agenda politica non vede la priorità assoluta di questi interventi: occorre un modello riconosciuto e riconoscibile di Velostazione, perché la riconoscibilità è parte dell’attrattività di un servizio, ma le condizioni della ciclabilità sono ancora molto disomogenee da città a città, ogni amministrazione vuole rinventare la ruota, invece bisogna standardizzare un luogo, magari modulare, e destinare delle risorse pubbliche come si fa per gli altri servizi di trasporto, coinvolgendo anche i privati. Ora invece vediamo solo i due estremi: il servizio standardizzato e assolutamente impersonale di grosse gabbie automatizzate, efficiente ma fallimentare perché non accompagna il servizio con un pensiero sulla città, o gli spazi privati e sociali portati avanti da gruppi di volonterosi, che finiscono per stancarsi e disperdersi dopo un po’. In un servizio pubblico la convenienza economica non c’è, spesso non avanzano neppure i soldi per pagare degli stipendi. Vi immaginate se il trasporto pubblico fosse affidato al volontariato?
Ci racconti della tua militanza come ciclista? Cosa vuol dire essere un’attivista del movimento ciclistico? Quali sono i vostri obiettivi e come contate di raggiungerli?
Attivismo vuol dire non rassegnarsi mai alle cose come stanno. Che non significa combattere contro i mulini a vento, ma trovare sempre la strada per il cambiamento, pure nella tempesta con cui la conservazione ci travolge ogni giorno. Sono sempre stata attratta dalla politica, ho partecipato alle mobilitazioni studentesche già dal liceo, ma non capivo bene come le nostre instanze potessero tradursi in qualcosa di concreto e fattibile che andasse oltre la mera protesta. Nel mondo del cicloattivismo ho trovato da subito la mia dimensione, perché occupare la strada con il proprio corpo, rallentando il traffico nei suoi inutili picchi di velocità, costringendo a guardarsi, a rispettarsi, a volte anche entrando in conflitto, è già un gesto politico. Un gesto che nega il consumismo della fretta, dell’isolamento, della morte delle relazioni sociali tipica della vita dentro l’abitacolo di un auto. La bici è un veicolo che ti costringe a entrare in relazione in modo autentico con il prossimo. Questa concretezza per me è stata la salvezza. Il movimento cicloattivista lotta per città diverse, dove le persone siano al centro. Alcune piccole battaglie sono state vinte: dopo secoli il finanziamento delle reti ciclabili è finalmente affidato al Ministero dei Trasporti e non al Ministero dell’Ambiente, qualche piccola innovazione nel codice della strada, una timida ripresa, almeno in alcune regioni, dell’interesse per il trasporto pubblico. Ma la grande guerra è ancora lontana dall’essere vinta: dobbiamo togliere l’auto privata dal centro del nostro modello di mobilità, smettere di costruire autostrade, di finanziare l’ACI, di finanziare l’acquisto di auto private, e dare quello di cui le persone hanno bisogno: spostarsi, meno e meglio.
Oggi dalla sella di una bici ti sei spostata sullo scranno del consiglio comunale di Bologna. Nel nostro immaginario sei una militante della strada, è difficile immaginarti nei meccanismi dell’amministrazione. Come è stato il passaggio dalla strada al palazzo?
Prima, lavorando in Velostazione e come presidente di Salvaiciclisti, vivevo tutto il giorno in mezzo a persone che la pensano come me, circondata da affetto, condivisione profonda, sintonia in ogni gesto e pensiero. Ora, per lo più, vivo in mezzo a persone che devo costantemente convincere delle mie posizioni, con risultati che a volte sono esaltanti, ma il più delle volte è una lotta. Ogni istante devo considerare le differenze di linguaggio, di galateo, di significato dei gesti e delle parole. La politica è un mondo parallelo, dove le cose non hanno mai un senso in sé, ma sempre in base a un alfabeto di rapporti di forza e di ruoli. La cosa più difficile è stato imparare quell’alfabeto, che sto ancora cercando di decifrare. Per il resto, chi amministra vive le stesse tragedie di tutti: in Comune si subiscono le decisioni della Regione, in Regione ci si lamenta del Governo, al Governo dicono che è colpa dell’Europa. Siamo tutte Davide contro Golia, alla fine anche il più indefesso ambientalista fa qualche compromesso per stare una società civile consumista e autodistruttiva. Cerco di restare lucida mantenendo le stesse abitudini di prima: mi muovo solo in bici o in treno, mangio vegetariano e locale, mi porto la borraccia anche ai convegni, non compro abiti fast fashion, vedo gli amici di sempre. Cerco di mettermi in discussione ogni giorno, chiedendomi se sto facendo davvero tutto il possibile.
La vostra lista ha scelto non solo di partecipare alle elezioni ma anche di partecipare al governo della città. A distanza di qualche mese dall’inizio della consiliatura pensi che sia stata una scommessa vinta?
Non si può dire dopo pochi mesi, potremo dircelo alla fine del mandato. Stiamo imbastendo tanti cantieri importanti: le comunità energetiche, l’obiettivo di Bologna carbon neutral entro il 2030, fare marcia indietro sul consumo di suolo, nuovi parchi e fasce boscate, sostegno alle persone fragili, aumentare le case popolari, i percorsi contro le discriminazioni, e naturalmente gli obiettivi sulla mobilità. Ci sono 32 milioni di Euro sul piatto per il finanziamento della rete ciclabile metropolitana e stiamo riavviando il progetto del Servizio Ferroviario Metropolitano, fermo dal 2013. Per ora il lavoro è trovare fondi, inserire voci di spesa nei bilanci, riorganizzare i settori perché si occupino di questi nuovi temi. Certo, Nessuna di queste cose si fa in sei mesi, ma ogni giorno bisogna aggiungere un pezzettino perché diventino una priorità politica condivisa, non solo da noi amministratori ma soprattutto dalle persone che rappresentiamo. Le due cose vanno assieme.
Sei stata accusata di aver appoggiato un progetto infrastrutturale antiecologico, quello del passante, come rispondi a questa critica?
Già, mentre cerchi di fare delle belle cose, provi a mettere una toppa alle scelte scellerate che sono state fatte nel passato, e non sempre si esce soddisfatte. Il capitolo dell’allargamento del Passante autostradale di Bologna è stato molto doloroso da vivere, entrando nei processi abbiamo trovato accordi già sottoscritti e un iter irreversibile, questo già prima delle elezioni. Si poteva fare senza di noi, senza alcuna compensazione ambientale, lasciando che si concludesse tutto entro il mandato precedente e uscendone con la faccia pulita, ma dal mio punto di vista, ben più responsabili. invece abbiamo voluto rinviare l’iter e includere le compensazioni nell’accordo di coalizione. Secondo qualcuno sarebbe stato meglio, politicamente, non essere coinvolti in quel voto. Io purtroppo sono una persona troppo pragmatica, penso che se c’è modo di migliorare un’opera dannosa, anche se politicamente ci si perde qualcosa, è giusto sporcarsi le mani. Per qualcuno aver ottenuto le fasce boscate e un impianto fotovoltaico capace di fornire energia pulita a 200 famiglie è stato inutile. Per me no, rimango contraria ad ogni autostrada, ma guardo in faccia la realtà e mi rende triste vedere arrivare critiche da gente che usa l’auto ben più di me.
Invece, anche se sono pochi mesi che lavori nell’istituzione comunale, c’è un risultato del quale sei orgogliosa?
La nascita di piazze e strade scolastiche, un risultato che è arrivato dopo anni di richieste, coinvolgimento delle comunità scolastiche, advocacy anche a livello nazionale, ma che si è concretizzato grazie alla convinzione del nostro Sindaco e della nostra Assessora, e che è entrato negli obiettivi di mandato come misura da estendere a tutte le scuole possibili. Spazi accoglienti e senza auto all’entrata e all’uscita da scuola. Perché la città è di tutte.
Dopo i primi lockdown molti amministratori ci hanno detto che “nulla sarebbe stato più come prima” in una narrativa che alludeva alla realizzazione di città più a misura di uomo (in sella o meno ad una bici). Ci pare che contrariamente a quanto stia avvenendo in altre città, come Parigi, in Italia non ci sia nessun cambiamento apprezzabile. Sei d’accordo?
Per Bologna fortunatamente non è così. Gli spostamenti in bici sono aumentati anche del 20/30% su alcune strade dove si sono fatti interventi e stiamo pianificando la città 30, l’abbassamento dei limiti di velocità e con il progetto Area Verde una continuità ciclopedonale tra tutte le aree verdi di Bologna. Il traffico auto è rimasto al di sotto dei livelli pre-covid, anche se purtroppo il trasporto pubblico non si è del tutto ripreso. Certo, a livello nazionale il Governo Draghi sta facendo molte marce indietro, tornando a politiche vecchissime e scoraggianti.
Qual è la singola cosa più importante che vorresti realizzare nei prossimi quattro anni?
Raddoppiare il numero di persone che si spostano in bici ogni giorno. Sembra una mia fissa, ma vuol dire meno incidenti, meno smog, persone più in salute, vuol dire aumentare la felicità collettiva.
Vorremmo farti anche una domanda un po’ più politica e generale. Secondo te cosa manca al movimento ecologista italiano per poter diventare efficace nell’azione come i partiti verdi della Germania o di altri paesi europei?
Purtroppo è semplice rispondere: manca la capacità di lavorare insieme, con meno protagonismo. Ognuno Purtroppo è semplice rispondere: manca la capacità di lavorare insieme, con meno protagonismo. Ognuno cerca il proprio palco e ci si accontenta di una enorme frammentazione. Serve spirito di servizio e pragmatismo.
A febbraio hai partecipato a Assemblea Ecologista a Firenze con un intervento molto applaudito. Cosa ti aspetti che possa diventare Assemblea Ecologista?
Spero che sia una piattaforma per creare un modo di fare politica riconoscibile ed efficace, ovviamente se si vuole essere efficaci bisogna produrre anche risultati misurabili e cambiare il modello di sviluppo. Sono sicura che in giro per l’Italia ci sono tante piccole esperienze che hanno bisogno solo della forza di un gruppo per emergere, come un vero movimento.
Grazie per il tuo tempo!
Il nodo dell’Alta Velocità a Firenze
Da dove nasce l’esigenza di realizzare a Firenze un passante ferroviario dedicato all’Alta Velocità (AV)?
Sulla linea AV Milano-Napoli, il nodo fiorentino rappresenta una strozzatura, dato che non permette la necessaria differenziazione dei traffici tra i treni AV, quelli a lunga percorrenza e regionali. Questa situazione provoca ritardi ai treni AV, soprattutto i molti che si devono fermare alla stazione di testa Santa Maria Novella, e penalizza in particolare i treni regionali che subiscono continui ritardi e cancellazioni perché costretti a dare la precedenza ai treni AV.
A causa della congestione delle linee, inoltre, non è mai stato possibile utilizzare alcuni dei binari che attraversano da parte a parte e in superficie l’area metropolitana di Firenze per creare un vero e proprio Servizio ferroviario metropolitano cadenzato e capillare, sul modello delle S-Bahn tedesche, che integrato al sistema tranviario e dei bus potrebbe costituire una rete di trasporti locali efficiente per gli abitanti di Firenze e di tutta l’area metropolitana (ne abbiamo parlato in questo articolo).
Le scelte progettuali sul passante ferroviario fiorentino dell’Alta Velocità si caratterizzano per due punti fondamentali:
Difficile avere notizie ufficiali recenti sullo stato di avanzamento dei lavori: a maggio 2019 le opere risultavano completate per circa il 50%, con costi complessivi lievitati a 1 miliardo e 612 milioni di euro a fronte di un costo di 797 milioni e 370mila euro per le opere ancora da realizzare (Fonte: Analisi Costi Benefici del sottoattraversamento AV di Firenze, 31/07/2019, disponibile su www.mit.gov.it). Di tutto il progetto, ad oggi risulta ultimato lo ”scavalco” già in esercizio dal 2011 tra Rifredi e Castello (opera che permette ai binari AV di non interferire con i binari esistenti) ed è a buon punto il cantiere della stazione AV, mentre quasi niente è stato ancora fatto per lo scavo dei tunnel (di fatto a Campo di Marte è stato solo completato il “pozzo lancio fresa”, la fresa TBM è stata assemblata ma non ha mai iniziato a scavare).
Sono molti gli ostacoli che negli anni hanno rallentato e bloccato l’avanzamento dei lavori, che avrebbero dovuto concludersi entro il 2015, a partire da varie inchieste giudiziarie tra cui quella iniziata nel 2010 che ha riguardato lo smaltimento delle terre di scavo dei cantieri. Ai numerosi guai giudiziari si è aggiunta anche la grave crisi aziendale della ditta esecutrice dei lavori Nodavia, causata dal fallimento nel 2018 della sua capogruppo Condotte Spa. Nel 2019 l’appalto è stato quindi affidato a Infrarail Firenze Srl, società neo-costituita da RFI proprio allo scopo di portare a termine i lavori del nodo AV fiorentino.
Il Cantiere della nuova Stazione di Firenze Belfiore, nell’area degli Ex-Macelli [fonte: www.ifrfirenze.it]
Oggi ci troviamo a quasi vent’anni dal progetto Foster e l’area degli ex-Macelli di Firenze ospita ancora un cantiere da anni praticamente fermo, una voragine nel centro della città che finora ha inghiottito centinaia di milioni di euro (pagati in autofinanziamento da Rete Ferroviaria Italiana), per una stazione che ancora non ha visto la luce e il cui progetto è stato a più riprese rivisto e messo in discussione dalle stesse Ferrovie dello Stato.
Prima, nel 2011, con un nuovo accordo tra RFI, Regione Toscana, Provincia e Comune di Firenze, è stato eliminato dal progetto il completamento di varie stazioni del Servizio Ferroviario Metropolitano (fra queste ad esempio le stazioni Circondaria e Perfetti-Ricasoli). Il completamento doveva essere a carico di RFI, che ha indennizzato il Comune di Firenze con circa 70 milioni, congelando di fatto il progetto di rafforzamento del Servizio Ferroviario Metropolitano che era strettamente collegato a quello del nodo AV. In particolare è stata stralciata la previsione della stazione Circondaria, che doveva sorgere in superficie in corrispondenza della stazione sotterranea Belfiore e consentire quindi un raccordo tra passeggeri dell’Alta Velocità, dei treni regionali e del servizio metropolitano.
Poi, nel 2016, le Ferrovie hanno addirittura inaspettatamente rimesso in discussione l’intero progetto dell’alta velocità nel nodo fiorentino. Le esperienze delle altre stazioni sotterranee per l’alta velocità realizzate e già in funzione (Bologna, Roma Tiburtina, Torino Porta Susa) avevano infatti dimostrato che la nuova stazione AV avrebbe avuto costi di gestione troppo alti rispetto al volume di passeggeri previsto. Tenendo conto anche dei miglioramenti tecnologici raggiunti negli ultimi anni che hanno permesso una migliore gestione del traffico ferroviario e della volontà espressa da Trenitalia e NTV di continuare ad usare Firenze SMN come stazione principale per i loro treni alta velocità, la stazione Belfiore e il sottoattraversamento sono diventate agli occhi delle Ferrovie due opere su cui non valeva più la pena puntare.
In questo scenario, qual è stata la posizione di Regione Toscana e Comune di Firenze?
La Regione, va detto, ha sempre mantenuto una posizione coerente e prima con Enrico Rossi e poi con Eugenio Giani ha continuato a sostenere la necessità del progetto originario (tunnel per l’alta velocità, stazione sotterranea per treni AV e stazione Circondaria di superficie per treni regionali), vista la necessità di separare grazie ai tunnel il traffico regionale da quello AV.
Più confusa la posizione del Comune di Firenze, con il Sindaco Nardella che ha prima ribadito la necessità di mantenere fede al progetto originario, per poi abbracciare la nuova proposta di Ferrovie secondo cui Santa Maria Novella doveva rimanere il terminale principale per i treni AV, con una nuova stazione Belfiore ridimensionata rispetto al progetto iniziale e con funzione di “hub ferro/gomma” con la presenza di stalli per bus interurbani e turistici e la fermata di alcuni treni alta velocità.
Un importante contributo al dibattito, soprattutto alla luce del dietrofront di Ferrovie, si è aggiunto nel 2019 con la pubblicazione dell’Analisi Costi Benefici del sottoattraversamento AV di Firenze, commissionata dall’allora Ministro dei Trasporti Danilo Toninelli e curata dal gruppo di lavoro guidato dal professor Marco Ponti. L’analisi ha dato un responso sostanzialmente favorevole al completamento delle opere, sostenendo che porterebbe complessivamente benefici maggiori dei costi, consentendo ai treni AV che transitano dal nodo di Firenze di risparmiare tempo, ed ai treni regionali e metropolitani di aumentare la propria offerta in modo significativo. Completare i lavori, inoltre, sarebbe ormai preferibile rispetto all’opzione di abbandonarli, dato anche che in tal caso dovrebbero essere ripristinate tutte le aree attualmente interessate dai cantieri.
Questo non vuol dire tuttavia che dal rapporto sia uscito un giudizio in assoluto positivo per l’opera, e su questo pesa soprattutto il fatto che non sia stato possibile nell’analisi prendere in considerazione vere alternative: le scelte a favore del sottoattraversamento e di ubicare la stazione in una zona relativamente centrale di Firenze infatti hanno di fatto imposto al progetto vincoli determinanti, ad esempio escludendo per la stazione possibili altre localizzazioni come Campo di Marte o l’area a monte di Rifredi che secondo gli stessi autori avrebbero probabilmente dato risultati migliori.
Ponti & C. nel loro rapporto hanno poi evidenziato alcune condizioni fondamentali, senza le quali verrebbe replicato l’attuale assetto del traffico ferroviario sfavorevole per i treni regionali e quindi l’intera opera perderebbe molti dei benefici che ne giustificano l’esistenza: la realizzazione, in corrispondenza della stazione Belfiore, della stazione di superficie Circondaria per treni regionali e metropolitani; la realizzazione di un collegamento tra Belfiore/Circondaria e SMN (tramite tapis roulant o people mover); lo spostamento da SMN a Belfiore di tutti i treni AV che fermano a Firenze, non solo di alcuni di essi.
Le nostre proposte
Stupisce come si parli ancora troppo poco nel dibattito cittadino e regionale di un’opera così importante, nel bene e nel male, come quella del nodo fiorentino dell’Alta Velocità: una grande opera con effetti potenzialmente molto positivi sulla mobilità metropolitana e regionale, rilevante dal punto di vista urbanistico ma anche molto impattante dal punto di vista ambientale.
Da anni ormai sui giornali escono regolarmente dichiarazioni da parte del Comune o della Regione che comunicano l’imminente ripresa dei lavori, ma la project review annunciata fin dal 2016 ad oggi non risulta sia mai stata conclusa né tantomeno pubblicata, quindi rimane un grosso interrogativo: i lavori riprenderanno (se riprenderanno) per realizzare cosa?
Come Ecoló siamo fermamente contrari ad esempio alla proposta presentata nel 2017 da Ferrovie e sostenuta dal Comune di Firenze, di ultimare la stazione Belfiore trasformandola in un centro di smistamento treno/gomma con la fermata solo di alcuni treni AV e gli stalli per bus extraurbani. Si tratta di una proposta incongruente sotto tanti punti di vista. Innanzitutto non esiste nessuna valutazione dell’impatto sul traffico di un hub per gli autobus in una zona così centrale della città. Poi, assecondare le richieste di NTV e Trenitalia continuando ad utilizzare SMN per la maggior parte dei treni Alta Velocità, significherebbe lasciare poche capacità residue per incrementare i servizi regionali e compromettere la possibilità di istituire un vero Servizio Ferroviario Metropolitano. Infine, la proposta non prevede la realizzazione della stazione Circondaria, quindi di un interscambio tra treni regionali e AV/bus extraurbani.
Per fortuna, dalle notizie che riportano gli esiti dei più recenti incontri tra i rappresentanti del Gruppo Ferrovie, il Presidente della Regione Toscana Giani e il Sindaco di Firenze Nardella, sembrerebbe (il condizionale è d’obbligo) che questa posizione sia stata almeno in parte superata e che sia tornata sul tavolo la proposta di realizzare anche la stazione Circondaria per i treni regionali, insieme alla connessione tramite people mover della nuova stazione con SMN.
Dal punto di vista dei cittadini dell’area metropolitana, l’accettabilità di un’opera come quella del nodo fiorentino dell’Alta Velocità, impattante dal punto di vista ambientale e urbanistico, dovrebbe essere misurata tenendo in giusta considerazione le ricadute del progetto a livello locale. Per questo motivo, come Ecoló riteniamo che la realizzazione di un vero e proprio Servizio Ferroviario Metropolitano debba essere inserito come condizione irrinunciabile all’interno degli accordi tra RFI e le amministrazioni locali, qualunque sia la soluzione tecnica adottata (sottoattraversamento o alternativa di superficie) per realizzare il passante AV fiorentino.
In realtà ci chiediamo perché non sia mai stato preso seriamente in considerazione lo studio dell’alternativa di superficie al passante ferroviario AV. Un’opzione che, a lavori ancora da iniziare, avrebbe potuto rappresentare un’alternativa ad un’opera che presenta criticità significative dal punto di vista ambientale (interferenza con la falda, gestione delle terre da scavo) e di sicurezza (stabilità degli edifici sotto cui i tunnel saranno scavati).
D’altra parte però, anche in considerazione dello stato di avanzamento dei lavori, crediamo che la scelta di completare il sottoattraversamento sia da considerarsi ormai preferibile rispetto a rinunciare ad un’opera potenzialmente molto vantaggiosa per migliorare la mobilità ferroviaria regionale e metropolitana, purché:
Siamo convinti che una delle principali soluzioni per migliorare la mobilità a Firenze sia rafforzare i suoi collegamenti via treno, prioritariamente quelli che la connettono al resto dell’area metropolitana e all’intera regione, ed il passante AV di Firenze e le opere connesse potrebbero permettere di fare un grande passo in avanti in questa direzione. Crediamo che senza le due condizioni sopra indicate, tuttavia, venga meno l’unica vera giustificazione, almeno dal punto di vista dei cittadini di Firenze, per realizzarlo: l’opportunità di sviluppare un efficiente servizio di treni metropolitani di cui la città avrebbe urgentemente bisogno.
Firenze ha un poco invidiabile primato: confrontata con le altre maggiori città italiane, l’area metropolitana fiorentina ha il più alto tasso di motorizzazione a livello nazionale, con 768 auto ogni 1.000 abitanti. Se consideriamo solo il territorio comunale di Firenze, tuttavia, questo tasso scende sotto la media delle grandi città italiane (Fonte: Kyoto Club e CNR-IIA, Rapporto Mobilitaria 2020. https://iia.cnr.it/mobilitaria-2020/). Questi dati indicano evidentemente che abbiamo un problema legato all’eccessivo ricorso alla mobilità privata: più ancora che a livello cittadino, questa tendenza riguarda soprattutto gli abitanti dell’area vasta intorno a Firenze.
La piana fiorentina è attraversata da parte a parte, nelle sue principali direttrici, da binari ferroviari. Dovrebbe quindi essere strategico per Firenze considerare come priorità la creazione di un vero e proprio Servizio Ferroviario Metropolitano (SFM), attraverso il quale sviluppare al meglio una mobilità integrata in tutto il territorio provinciale, con treni frequenti e puntuali che collegano tutte le fermate presenti ad esempio sulle linee tra Firenze ed Empoli, Campi Bisenzio, Prato, Borgo San Lorenzo, Pontassieve. Un servizio che permetta di andare da Campo di Marte a Rifredi in 8 minuti con treni che fermano ogni 5 minuti.
SFM e TAV
L’idea di un Servizio Ferroviario Metropolitano a Firenze è sempre andata di pari passo al progetto del passante ferroviario dell’Alta Velocità.
I due progetti sono, nei fatti, intrinsecamente collegati per motivi strutturali: la rete ferroviaria fiorentina, allo stato attuale, non permette lo sviluppo di un SFM con cadenzamento adeguato fra tutte le stazioni interessate. Lo spostamento dei treni ad Alta Velocità al passante sotterraneo permetterebbe invece, senza grandi interventi sulla rete di superficie, di dedicare alcuni binari ai treni locali.
Già nei primi accordi stipulati fra le Ferrovie, Regione Toscana e Comune di Firenze emergeva chiaramente l’idea, parallelamente alla realizzazione del sottoattraversamento, di sfruttare la maggiore disponibilità di binari in superficie per rinforzare su Firenze le linee ferroviarie locali riattivando vecchie stazioni in disuso e realizzandone nuove. Ciò che non tutti sanno, però, è che è stata la giunta Renzi nel 2011 a chiedere a Ferrovie di stralciare dagli accordi la previsione del SFM, e da questa scelta il Comune di Firenze anche con l’attuale sindaco Nardella non è mai tornata (almeno ufficialmente) indietro.
Che cos’è un Servizio Ferroviario Metropolitano
Un Servizio Ferroviario Metropolitano, come quello realizzabile a Firenze, ha delle caratteristiche precise che lo distinguono sia dalla metropolitana che dal servizio ferroviario regionale:
In Europa sono note l’esperienza della RER parigina, delle S-BHAN tedesche e in Italia il passante ferroviario di Milano e Torino.
Un treno S-BHAN a Berlino.
Le stazioni di Firenze
Il progetto di un Servizio Ferroviario Metropolitano per Firenze dovrebbe prevedere l’utilizzo e il potenziamento di tutte le stazioni ferroviarie del territorio comunale.
Nel piano del nodo dell’Alta Velocità Fiorentina anteriore al 2011 era prevista, insieme alla realizzazione del sottoattraversamento e della “Foster” (Stazione AV Firenze Belfiore), la costruzione o l’ammodernamento delle stazioni: San Salvi, Le Cure, Circondaria, Dalmazia, Perfetti-Ricasoli, Peretola, Quaracchi, Osmannoro.
La rete di stazioni metropolitane di Firenze così come immaginate al 2011. [Fonte: Nostra elaborazione su Piante RFI.]
Fin da subito l’idea di una stazione a San Salvi è stata abbandonata da RFI perché troppo vicina a Firenze Campo di Marte. È stata invece costruita, ma non è mai entrata in funzione, la stazione Perfetti-Ricasoli, in una posizione strategica fra Nuovo Pignone e Nuova Scuola dei Carabinieri. Restano sulla carta Dalmazia, Quaracchi, Campi e Osmannoro, cruciali se si pensa a come il SFM collegherebbe in modo ecologico, conveniente e veloce alcune tra le zone residenziali e produttive principali dell’area metropolitana.
Fondamentale in particolare rimane la costruzione della stazione Circondaria, strettamente legata al completamento della Stazione AV Belfiore e opera necessaria per permettere un collegamento tra treni regionali e locali e Alta Velocità. Arrivando con l’Alta Velocità alla Stazione Belfiore, sarebbe sufficiente salire al piano superiore e prendere un treno regionale per arrivare a Santa Maria Novella, avendo a disposizione un treno ogni 5 minuti, oppure prendere treni per Prato, Pisa o Arezzo. I passeggeri dell’AV diretti a Firenze potrebbero raggiungere il centro storico in un attimo, quelli diretti in Toscana troverebbero coincidenze immediatamente.
Dopo l’accantonamento da parte dell’ex sindaco Renzi nel 2011, tuttavia, la stazione Circondaria non è mai stata costruita ed è sparita per anni dal dibattito sul nodo dell’Alta Velocità: oggi sembra finalmente essere tornata sul tavolo delle trattative tra Comune, Regione e Ferrovie, insieme all’idea di un collegamento veloce tramite People Mover tra Circondaria/Belfiore e la Stazione SMN. Non è stato tuttavia reso ancora pubblico nessun progetto, né per la stazione Circondaria né per l’ipotetico servizio navetta con la Stazione SMN.
La situazione attuale
Al momento le stazioni esistenti nell’area fiorentina sono collegate tramite i treni regionali, con differenze sostanziali fra le varie stazioni. Per esempio, la tratta Rifredi-SMN è pienamente servita con 120 treni regionali al giorno (6 mediamente ogni ora), mentre ci sono solo 16 treni al giorno da Le Piagge e 31 da Castello. E se è vero che ci sono mediamente tre treni l’ora per andare da Campo di Marte a Santa Maria Novella, ci sono meno di 20 treni il giorno che portano da Campo di Marte a Rifredi permettendo di aggirare il centro e collegando due quartieri popolosi.
Per dare un’idea, al momento con i bus (ad es. linea 20) ci vogliono 35-40 minuti per coprire questo tragitto, mentre in treno sono al massimo 10 minuti con fermata a Statuto, dove si può prendere il tram per il centro o per Careggi. Non ultima, resta sottoutilizzata la vecchia linea Faentina che potrebbe servire sia il Mugello che le Cure: al momento sulla linea transita meno di un treno l’ora e nelle ore centrali della mattina non si muove una foglia.
Le nostre proposte
Crediamo fortemente che il Servizio Ferroviario Metropolitano debba essere portato avanti come progetto cardine per una mobilità integrata, che veda treni, bus e tram (insieme alla rete delle piste ciclabili al progetto della bicipolitana ed ai servizi di bike sharing) lavorare tutti insieme con l’obiettivo di ridurre al minimo gli spostamenti con i mezzi motorizzati privati.
Il Servizio Ferroviario Metropolitano è cruciale:
Per questo siamo convinti che il Comune debba fare marcia indietro rispetto alle decisioni del 2011. Parallelamente alla realizzazione del passante AV di Firenze, la stazione Circondaria deve essere portata a termine, perché è uno dei tasselli indispensabili per un servizio Ferroviario Metropolitano.
Inoltre dovrebbe essere subito attivata la stazione di Perfetti-Ricasoli e rafforzato il cadenzamento della linea Faentina, attraverso un treno circolare, con attestamento a Campo di Marte e frequenze ogni 30’.
Nel grafico riportiamo un’ipotesi di massima realizzata a partire dalle analisi prodotte da AMT – Associazione per gli studi sulla Mobilità e i Trasporti in Toscana (ogni eventuale errore è imputabile soltanto a noi). Un progetto preciso avrebbe bisogno di tener conto della riorganizzazione del sistema regionale ma anche questo schema di massima rende chiare le potenzialità del progetto. Si vedono le 5 linee del SFM che collegano tutto il nord della città metropolitana. Questi treni, assieme ai regionali di più lunga percorrenza, garantiscono cadenze molto frequenti, di 5’ nella “cintura” e di 7′ e 30” verso SMN (numeri in rosso). In nero sono invece riportate le cadenze sulle direttrici dei treni regionali, 12′ da SMN a CM. Stessa cadenza fra Empoli e Circondaria.
Fonte: Nostra rielaborazione a partire da materiale AMT.
In queste settimane abbiamo messo a disposizione dei sestesi uno strumento per suggerirci che cosa pensano che manchi nel programma di coalizione. Un sesto punto da aggiungere ai nostri cinque. Abbiamo ricevuto mail, messaggi telefonici e a voce. Vi raccontiamo brevemente cosa ci hanno suggerito i sestesi e perché abbiamo deciso di dedicare il Sesto Punto a treno e bici.
Nei “sesti punti” c’è la richiesta di una migliore raccolta dei rifiuti porta-a-porta. Un sistema che deve essere perfezionato per mettere tutti i cittadini in grado di differenziare correttamente ed evitare i disagi che si verificano in alcune zone come Neto e Zambra.
Ma c’è anche la richiesta di realizzare una città con più spazi verdi nei quali sia possibile socializzare. Più alberi e una maggiore attenzione all’educazione ambientale, all’alimentazione delle nostre mense e agli animali. C’è la richiesta di una città che possa essere vissuta pienamente da tutti, dove anche anziani o chi si muove in carrozzina possa godersi una passeggiata nei boschi di Monte Morello. C’è la voglia di includere e accogliere chi arriva da lontano.
I due temi che emergono con maggiore frequenza sono comunque: la gestione del verde e la necessità di un miglioramento del porta-a-porta. Ci rinfranca sapere che guardiamo dalla parte giusta. Questi infatti sono anche i primi due dei nostri cinque punti!
Non è stato facile scegliere che cosa indicare come sesto punto. Ma analizzando tutti i messaggi abbiamo concluso che il tema che merita di essere il protagonista del nostro sesto punto è la mobilità. Moltissimi messaggi riguardano la necessità di facilitare e proteggere chi si muove a piedi e in bici nella città. Questo è un tema che non compare nei nostri cinque punti e che invece i sestesi ci indicano come prioritario. Dobbiamo ascoltarli, l’amministrazione che governerà Sesto nei prossimi cinque anni dovrà avviare una riflessione profonda sulla richiesta di più mobilità dolce.
Per questo il nostro sesto punto si chiama “#tuttaSestoinTreno”. Vogliamo ottenere che con un biglietto o abbonamento ATAF i sestesi possano muoversi verso Firenze senza dover prendere l’auto o dover fare un biglietto apposito.Questo avviene già per chi si muove fra le stazioni del comune di Firenze. Deve essere esteso anche a Sesto (senza richiedere un sovrapprezzo di 15 euro nell’abbonamento come avviene oggi con l’abbonamento Unico Metropolitano!).
Facilitare l’uso del treno significa ridurre il numero delle auto in circolazione a beneficio della salute e sicurezza di tutti. Per i sestesi il treno deve diventare il mezzo più comodo per muoversi verso il centro di Firenze. Per facilitarlo, oltre ad abbassarne il costo, servirà anche rendere più agilmente raggiungibile la stazione di Sesto aumentando il numero degli stalli per il parcheggio delle bici, completando la rete di piste ciclabili e estendendo il servizio di bike sharing operante a Firenze a tutto il territorio del comune di Sesto.
Un sesto punto semplice da realizzare ma che potrà migliorare la vivibilità della nostra città.
Grazie a tuti quelli che si sono presi la briga di scriverci. Continuerà ad essere possibile mandarci suggerimenti utilizzando questo indirizzo.
L’idea di questa intervista ci è venuta mentre programmavamo i nostri prossimo viaggi di lavoro, in particolare un viaggio molto lungo, in Cile. Malgrado la scusa dei “viaggi di lavoro”, rimane il fatto che l’impatto di un volo è elevato, in particolare quello di un volo intercontinentale. Abbiamo chiesto a Francesco Capezzuoli di Italian Climate Network alcuni chiarimenti.
Paolo & Samuele: La prima domanda è: quanto inquino andando in aereo dall’Italia a Santiago del Cile?
Francesco Capezzuoli: Per calcolare le emissioni dei propri viaggi in aereo, esistono molti strumenti online direttamente fruibili dagli utenti che adottano metodologie di calcolo differenti. Personalmente utilizzo quello della ICAO (International Civil Aviation Organisation), un’agenzia ONU con sede a Montréal (Canada).
Ad esempio, se volassi da Roma per partecipare alla prossima COP25, che si terrà a Santiago del Cile il prossimo dicembre, emetterei 1.254,4 kg di CO2 (contando andata e ritorno). Una quantità emessa normalmente in due mesi da un cittadino italiano medio (considerate che se tutti emettessero tanta CO2 quanto un italiano medio avremmo bisogno di 3 pianeti per essere sostenibili!).
P&S: In rete si leggono statistiche riguardo al contributo dei viaggi aerei alle emissioni totali di CO2, sembra essere poca cosa, fra il 2 e il 3% del totale, perché è importante minimizzare l’uso dell’aereo?
FC: Sì, è vero. Ad esempio, le emissioni dirette dovute all’aviazione ammontano al 3% delle emissioni climalteranti europee. Tuttavia, le emissioni dovute all’aviazione civile cresceranno molto più rapidamente rispetto ad altre fonti. Al 2020, le emissioni globali relative all’aviazione aumenteranno del 70% rispetto ai livelli del 2005 e la stessa ICAO prevede che al 2040 triplicheranno almeno.
Altro punto: le emissioni rilasciate ad alta quota contribuiscono in maggior misura a quelle rilasciate “a terra”. Stando al meteorologo Luca Mercalli, questo impatto è misurabile al 5% del contributo al riscaldamento globale.
Infine c’è un dato secondo me molto significativo, circa l’85% della popolazione mondiale non ha mai viaggiato in aereo. Questo sembra essere un esempio perfetto di come il 15% più ricco della popolazione impatti sul mondo in maniera molto più che proporzionale rispetto alla sua numerosità.
P&S: Visto che in tanti andranno in vacanza nelle prossime settimane, puoi dirci qual è il modo meno impattante di spostarsi?
FC: Come abbiamo visto, i passeggeri e i voli dell’aviazione civile cresceranno ogni anno sempre più, occorre perciò fermarci un attimo e riflettere. È proprio indispensabile imbarcarsi su un aereo per godersi le vacanze? Esistono alternative molto meno inquinanti che permettono di raggiungere luoghi bellissimi, spesso vicino a noi ma completamente ignorati.
Questo grafico della EEA mostra l’impatto in termini di CO2 di un km percorso da un passeggero con vari mezzi di trasporto, e l’aereo risulta essere il mezzo di gran lunga più inquinante anche in termini climalteranti rispetto agli altri: il settore emette da 14 a 40 volte più CO2 rispetto ai treni, per chilometro percorso!
Purtroppo il mercato ci tenta continuamente con un’offerta di voli low cost continentali ed extracontinentali che permettono di visitare luoghi sì meravigliosi ma che in futuro non saranno più come li conosciamo (uno su tutti: la barriera corallina). È paradossale che esista già una “corsa” per visitare bellezze destinate a scomparire nei prossimi decenni, e che questa corsa sia parte del problema.
P&S: Spesso si legge della possibilità di compensare le emissioni degli spostamenti in aereo. Di cosa si tratta?
FC: Il meccanismo funziona così:
1 – calcolo le emissioni (in t o kg di CO2) dovute ai miei viaggi;
2 – acquisto di tasca mia qualcosa che permette di assorbire o di evitare l’emissione di una quantità di CO2 almeno pari a quella che ho emesso.
Che siano crediti di carbonio certificati o piantumazioni di nuovi alberi il risultato dovrà essere la compensazione delle emissioni.
P&S: Una delle critiche che viene fatta a chi vola pagando una compensazione per la CO2 emessa è che questo meccanismo sia un po’ come la compravendita delle indulgenze nel XVI secolo. I ricchi fanno scelte sbagliate e poi, pagando, si lavano la coscienza. In questo modo i comportamenti impattanti sono incentivati e non ridotti. Sei d’accordo?
FC: La compensazione non è di certo la soluzione, viviamo in un mondo finito e ad un certo punto lo spazio per compensare finirà. Senz’altro aiuta a guadagnare tempo ed a gestire le emissioni di viaggi difficili da evitare, come quelli di lavoro.
La compensazione viene usata da tantissimi operatori economici in tutto il mondo, anche multinazionali, e sono nate attività che fanno impresa con le attività di compensazione e dei crediti di carbonio (come le fiorentine Treedom e Carbon Sink).
P&S: Personalmente, sapendo come vengono usati molti dei soldi donati per progetti di sviluppo, rimane il dubbio che questa cifra non serva realmente a compensare le emissioni. Come posso essere sicuro dell’utilizzo dei soldi che verso?
FC: È un dubbio legittimo. Il consiglio è di rivolgersi a operatori che garantiscono autorevolezza e soprattutto tracciabilità delle azioni a cui il compensatore, ovvero il pagante, contribuisce. Ecco tre consigli:
P&S: Il sito www.co2.myclimate.org mi dice che se volo da Firenze a Parigi emetto 460 kg di CO2 e che posso compensare versando 10€. Questo numero ci stupisce, mi sembra molto basso, se davvero è così economico compensare le nostre emissioni di CO2 perché le emissioni continuano ad aumentare?
FC: Il motivo per cui il costo della compensazione è così basso è che ad oggi in pochi si pogono il problema di compensare. Questo fa si che esistano molti modi di farlo a basso costo. Piantare degli alberi in zone meno ricche del mondo, per esempio. Ma se tutti compensassimo per tutta la CO2 che emettiamo allora non sarebbe facile trovare un modo economico per compensare. I costi aumenterebbero molto.
Al contempo la popolazione e il PIL, in gran parte dei paesi in via di sviluppo in Africa e in Asia, sono destinati ad aumentare nei prossimi decenni con tutto ciò che questo comporta: più viaggi, più aerei per trasportare passeggeri e quindi più emissioni. Al tempo stesso bisogna riflettere sul fatto che il carburante degli aerei non rientra nell’Accordo di Parigi sul clima e, per giunta, grazie a un accordo del 1944 (Convenzione di Chicago) non è tassabile, e anzi il trasporto aereo beneficia di importanti incentivi che rendono l’uso di tale mezzo particolarmente conveniente. Un volo low cost costa mediamente 3 – 4 centesimi di euro al km, contro i 10 di un treno ad alta velocità e i 25 di un’automobile.
In uno studio condotto dal governo olandese, si afferma che una misura fiscale atta a tassare il kerosene degli aeromobili (ca 0,33 €/litro di carburante) ridurrebbe del 10-11% le emissioni di CO2 dell’aviazione senza impattare negativamente sul mercato del lavoro del settore.
P&S: Grazie e buone vacanze!
Paolo Pinzuti è un ciclista, un viaggiatore, ma di lavoro fa l’editore e si occupa di marketing e di comunicazione per Bikeitalia.it. Era stato anche candidato come indipendente nelle liste di Europa Verde alle ultime elezioni europee. L’abbiamo intervistato.
Ecoló: Ciao Paolo, grazie per la tua disponibilità per questa intervista. Ci racconti come hai fatto a far diventare la bicicletta il tuo lavoro?
Paolo Pinzuti. Nel 2011 io e Pinar, mia moglie, abbiamo lasciato il lavoro e siamo partiti per un viaggio in bicicletta di 4 mesi in sud America. Con bici e tenda, abbiamo girato per l’Argentina, il Cile, la Bolivia e il Perù. Per raccontare questa esperienza ho aperto un blog. Finito il viaggio ho continuato a scrivere di bici, cicloturismo, ciclabilità urbana, sicurezza sul mio blog, che nel 2013 è diventato una testata giornalistica, bikeitalia.it. La gestione della rivista ha reso necessario l’apertura di una società, Bikenomist srl, che oggi dà lavoro a 8 persone e fa comunicazione, organizza corsi di formazione e fa consulenza sulla mobilità urbana e sul cicloturismo.
Ecoló. La bici, oltre ad essere il tuo lavoro, è ancora una passione? Riesci a goderti un’escursione o un viaggio? Quest’estate ad esempio dove ti ha portato la tua bicicletta?
PP. La bici per me è parte integrante della vita, come lo sono i pantaloni o le scarpe. Pedalare, oltre a essere una forma di trasporto estremamente efficiente, è anche piacevole per lo spirito e per il fisico e per questo non vi rinuncerei mai. Quest’estate mi sono concesso delle pause di tre giorni con dei bei giri in bicicletta sulle Dolomiti, in alta Val di Susa e sulla Francigena in Toscana.
Ecoló. Questa primavera sei stato candidato alle elezioni europee per Europa Verde. Come è successo?
PP. Nel suo ultimo discorso da presidente degli USA, Obama disse una cosa che mi ha colpito molto: “se non vi piacciono i vostri rappresentanti nelle istituzioni è inutile lamentarsi: candidatevi e diventate voi i rappresentanti nelle istituzioni.“. Nauseato dal basso livello della politica italiana e dalla mancanza di un’agenda politica ambientalista, ho pensato che fosse mia responsabilità provarci e dare il mio contributo. Ho presentato la mia disponibilità alla candidatura, che è stata accettata.
Ecoló. Qual è il tuo bilancio della tua avventura elettorale? Lo rifaresti?
PP. 1.500 preferenze non sono molte, ma per un outsider della politica non sono da buttare via. Il bilancio comunque per me è positivo perché ho avuto modo di incontrare molte persone bellissime che hanno voglia di fare “cose” per raddrizzare la politica, il mondo e l’ambiente. Lo rifarei a occhi chiusi perché è stata una delle esperienze più intense della mia vita. Ma non so se lo rifarò.
Ecoló. Secondo te cosa manca al movimento ecologista italiano per poter diventare efficace nell’azione come i partiti verdi della Germania o di altri paesi europei?
PP. È una domanda difficile a cui ho pensato più volte e credo che non esista una risposta univoca perché è un insieme di fattori. Credo che il peccato originale sia una sorta di intellettualismo di fondo che parla (giustamente) di ambiente, ma che poi non è presente sul territorio per “fare” ambiente in modo coerente e continuativo facendosi conoscere dalla “base” coinvolgendola e includendola.
Ecoló. Torniamo alla bici, qual è il singolo intervento, in qualche città italiana, che suggeriresti come esempio virtuoso da imitare per favorire gli spostamenti in bici?
PP. Le persone vanno in bicicletta quando si trovano in un ambiente sicuro e una città è sicura per chi va in bici quando non si corre il rischio di essere investiti dall’automobilista distratto o incosciente di turno. Per questo occorre limitare la velocità d’uso delle auto, ma anche il suo utilizzo. Se ci pensiamo, le piste ciclabili altro non sono che pezzi di strada che sono stati interdetti alle auto. La moderazione del traffico è la chiave. E se vuoi un esempio, Reggio Emilia è più che calzante.
Ecoló. Grazie per il tuo tempo, buona strada!
Linda Maggiori, educatrice, scrittrice, blogger vive con la sua famiglia a Faenza cercando di avere il minor impatto possibile sul pianeta. Fra i suoi libri “Vivo senz’auto” e “Impatto Zero. Vademecum per famiglie a rifiuti zero”. Una persona da ascoltare, soprattutto quando ci chiediamo come sia possibile ridurre la nostra impronta ecologica.
Ecoló: Ciao Linda, grazie per aver accettato di rispondere alle nostre domande. Abbiamo letto in giro nella rete che la tua famiglia vive a impatto zero, è vero? Cosa significa esattamente questa affermazione?
Linda Maggiori: Quasi zero! Vuol dire che cerchiamo di ridurre il nostro “peso carbonico” sull’ambiente, con tante piccole azioni quotidiane: riduciamo i nostri consumi, e quindi i rifiuti, compriamo quasi unicamente sfuso e alla spina, autoproduciamo, compriamo locale e bio, riduciamo carne e latticini (io sono vegana, mio marito vegetariano, i bambini mangiano talvolta carne dai nonni). Da 10 anni ormai non abbiamo auto privata e ci muoviamo prevalentemente con bici, piedi, e mezzi pubblici. Abbiamo da poco ristrutturato un vecchio appartamento in condominio, rendendolo carbon free, tutto elettrico, portandolo da classe G a classe A3…insomma, proviamo a fare la nostra parte!
Ecoló: Immaginiamo che, partendo dal modello di vita e di consumo al quale siamo abituati, si tratti di un percorso lungo, come è iniziato?
LM: Da un incidente che mise a rischio la nostra vita e quella dei nostri bambini. Eravamo in auto, guidavo io, pioveva, un’auto sbandò e ci venne contro, scontro frontale. Per un attimo pensai che era tutto finito. Lo schianto, le lamiere contorte, il silenzio spettrale. Quando sentii piangere i bambini e capii che non erano morti, la vita riprese a scorrere. Da quell’incidente non solo siamo sopravvissuti ma rinati. Abbiamo deciso che non avremmo ricomprato l’auto. Che avremmo provato a fare senza. Da lì, da quel momento, quella prima grande privazione è diventata la nostra forza, la nostra missione e battaglia. Abbiamo creato la rete delle famiglie senz’auto, abbiamo approfondito i danni della motorizzazione privata, partecipato a lotte e petizioni e manifestazioni. Abbiamo testimoniato, siamo stati intervistati…poi abbiamo volto il nostro sguardo verso ogni aspetto della nostra vita, dai rifiuti all’alimentazione, all’energia, cambiando poco alla volta, mettendoci alla prova, passo dopo passo, con entusiasmo, ironia e voglia di mettersi in gioco. Un tempo io e mio marito non sapevamo che strada percorrere, eravamo un po’ allo sbando. La lotta per un mondo migliore è ora la nostra strada, e ci ha fatto crescere anche come coppia.
Ecoló: C’è stata quale rinuncia particolarmente faticosa o ci sono stati momenti di scoraggiamento?
LM: Sicuramente tanti momenti di fatica, così come in ogni lotta e come in ogni salita. Cambiare il mondo dal basso, marciare controcorrente, non è una cosa semplice. La cosa più brutta è stato il senso di isolamento e di incomprensione, che abbiamo vissuto per tanto tempo, soprattutto qui nella nostra cittadina. Essere additati come estremisti, solo perché volevamo cose che altrove sono la norma (ad esempio chiudere al traffico selvaggio una stradina davanti alla scuola). La cosa più brutta è quando scopri che quelli che credevi amici non ti difendono, e si vergognano di te, e hanno paura di starti troppo vicino, perché temono di essere additati a loro volta estremisti. Questi sono stati momenti durissimi e credo che ce ne saranno altri. Ma ormai abbiamo le spalle abbastanza larghe per sopportarli, abbiamo inoltre creato un bel gruppo di attivisti e stretto vero amicizie. Inoltre sappiamo che tanti come noi vivono lo stesso ostracismo in altre zone d’Italia. Un’altra cosa pratica che ci dispiace, è il fatto che molti luoghi turistici montani non siano raggiungibili con navette e treni. E quindi spesso dobbiamo rinunciarci. Non è giusto! Quando vediamo foto di luoghi meravigliosi, come le colline di Castelluccio di Norcia, invase da colonne di automobilisti in cerca di selfie, mi viene rabbia e sconforto. La natura dovrebbe essere raggiunta solo a piedi bici o mezzi pubblici. Da noi invece è il contrario. Chi ha l’auto può andare ovunque, e chi non ha l’auto deve rinunciare a molte mete (almeno qui in Italia).
Ecoló: C’è qualcosa che vorreste eliminare dalla vostra vita ma non riuscite ancora a farlo?
LM: Tanti piccoli miglioramenti sono necessari, vorrei comprare molto meno formaggio, (di cui però i miei figli vanno pazzi), fare un orto migliore, scoprire più ricette…. Infine, vorrei usare meno il cellulare, ma è davvero molto molto difficile.
Ecoló: La crisi sanitaria di questi mesi ha messo a nudo tante fragilità della nostra organizzazione economica e sociale, le tue scelte di vita sono state più difficili durante il lockdown?
LM: In parte si e in parte no. E’ stato faticoso (impossibile direi) tenere i bambini in casa in modo forzato, in condominio, visto che ho sempre abituato i miei bambini a star molto fuori. In realtà uscivano e giocavano coi bambini del condominio nel cortile di sotto, ma lo spazio era poco e sempre qualche vicino anziano brontolava. Siamo stati anche multati per aver messo piede nel parco a fianco casa. Io credo che ci sia stata un’esagerazione delle norme ristrettive, soprattutto contro i bambini, che all’estero non ho notato (molti figli dei miei amici tedeschi o svizzeri potevano uscire a giocare senza essere multati nei parchi). Io credo che questa esagerazione sia legata alla nostra cultura italiana. Una cultura che da decenni considera i bambini degli “intralci”, da togliere dalle strade, dalle città, e chiudere in luoghi “protetti”. Una cultura che si è esacerbata con l’emergenza. Una cultura lontana dall’oudoor education. Abbiamo paura dell’aria, del freddo, del sole, della pioggia…Abbiamo paranoie igieniche ma non ci interessiamo dell’inquinamento che provoca una pulizia eccessiva. Durante il lockdown sentivo la mia vicina vantarsi perché puliva ogni giorno con litri di candeggina…Altro problema del lockdown: gli orti urbani e i mercatini bio e locali erano chiusi e così dovevo recarmi al supermercato. Ma poi col Gas ci siamo organizzati con consegne a domicilio e il fatto di fare molta autoproduzione ci ha sicuramente aiutato!
Ecoló: Alcuni dicono che la singola azione che può diminuire l’impatto ambientale di una famiglia è non fare figli. A voi, che avete quattro figli, sarà capitato di dover rispondere a chi ti chiedeva se non ti sentivate in contraddizione con il vostro essere ecologisti. Come rispondi a questa domanda?
Moltissime volte ci sollevano questa critica. In parte è vero, ammettiamo che a rigor di logica avremmo dovuto fare meno figli, ma come si sa, certe cose non sempre sono totalmente razionali 😉 In fondo poi, è un dilemma abbastanza ipocrita, soprattutto nei paesi ricchi. In Italia e in quasi tutti i paesi occidentali il tasso di natalità è sotto zero, eppure sono paesi che inquinano moltissimo. Ciò vuol dire che le emissioni dell’occidente non sono causate dalla sovrappopolazione (si fanno pochissimi bambini), ma dagli stili di vita esagerati. Come spiega bene Carola Rackete, ≪Il vero problema è il massiccio sfruttamento delle risorse, e non perché ci sono troppe persone sulla Terra ma perché una minima parte di loro ne utilizza troppe.” Pensiamo che ci sono più animali di allevamento che esseri umani, e per lo più destinati agli abitanti del Nord del mondo, che soffrono di malattie dovute a iperalimentazione. Le Nazioni Unite stimano che la popolazione mondiale toccherà i 9,8 miliardi nel 2050 per poi iniziare naturalmente a scendere. La terra avrà cibo per tutti, ma non potrà sfamarci se continueremo a mangiare carne a ritmi forsennati.
Con programmi di emancipazione, salute e istruzione per donne e bambini, aumentando i servizi sanitari, con l’estirpazione del fenomeno dei matrimoni precoci e del lavoro minorile, si riuscirà a fermare la bomba demografica nei paesi poveri. Al contempo però, il modello occidentale, consumista ed energivoro non può essere un modello da seguire per chi esce dalla povertà.
Ecoló: Vorremmo chiederti anche della tua esperienza di giornalista e scrittrice ecologista, come mai secondo te il pensiero ecologista fa così fatica ad affermarsi in Italia?
LM: L’Italia era un paese povero, è uscito dalla guerra con una gran voglia di riprendersi, e si è buttata a capofitto nelle braccia delle lobby delle auto, del cemento e delle strade, che hanno trasformato a loro immagine le città, tagliando per sempre mezzi pubblici, rotaie… I politici di destra e sinistra per decenni se ne sono strafregati dell’ambiente, della qualità urbana, pensando solo alla ripresa economica. La cultura ha fatto il resto. Una cultura estremamente familista, che tende a privilegiare il privato al pubblico, gli interessi egoistici al bene comune, una cultura che esalta la superficialità e l’ostentazione ma non si preoccupa delle conseguenze profonde delle azioni, una cultura politica basata sempre sul do ut des, sullo scambio voto-favori, sul ricatto occupazionale, sul ricatto delle lobby. Per questo quei pochi sindaci coraggiosi dopo poco venivano fatti fuori (vedi Fazio Fabbrini a Siena). Una politica poco coraggiosa, sempre balbettante, che invece di educare al bene comune, seguiva gli interessi di pancia e il populismo. La fissa per l’igiene ha creato terreno fertile per il radicamento dell’usa e getta in plastica. La fobia dei luoghi aperti e degli agenti atmosferici, uniti a una martellante pubblicità della grande industria automobilistica, ha forgiato coscienze e abitudini, rendendo gli italiani schiavi delle auto, incapaci di fare pochi km a piedi. E sappiamo che le abitudini, una volta prese, sono dure a morire e modellano la mente e la percezione di ogni cosa. Per questo ora è tremendamente difficile parlare di ambiente, rispetto della natura, zone pedonali, riduzione di auto e rifiuti. Viene sentito come un attacco ad abitudini radicate, un attacco a vitali diritti e si invoca sempre la libertà “di vivere come ci pare”. Non si viene mai compresi, come ecologisti, si viene additati come sognatori (se va bene) estremisti talebani (se va male). Se si vuole essere votati, bisogna fare buon viso a cattivo gioco, mai dire troppo e mai essere schietti. Ci si scontra con una mentalità radicata da decenni, che vede il progresso come distruttore di natura e la natura come un luogo da dominare, da sfruttare e da cui scappare.
Ecoló: Infine tre domande sulla tua esperienza con i Verdi dell’Emilia Romagna, come mai hai deciso di dare il tuo contributo alle ultime elezioni regionali?
LM: Credevo fosse giusto, in un periodo di crisi ambientale e climatica, fare un passo in più rispetto al semplice attivismo, volevo mettermi in gioco nella politica, pensavo di poter cambiare qualcosa. Non mi piaceva l’alleanza con Bonaccini, ma tutti dicevano che era il meno peggio…e mi sono fidata.
Ecoló: Sei pentita? O è stata un’esperienza che rifaresti?
Molto pentita e non lo rifarei mai più. Ho vissuto mesi molto duri. Io sono sempre stata abituata a dire quel che penso, con rispetto, ma senza finzione. In campagna elettorale, non potevo dire la mia idea, non potevo fare critiche a Bonaccini sulle sue prese di posizioni antiecologiste (autostrade, aereoporti, trivelle), perché si era in coalizione e bisognava “andarci piano”. Ma io non sopportavo queste finzioni, questi finti sorrisi, queste passerelle e comizi, sono sempre stata attivista e certe cose le denunciavo lo stesso. I verdi locali mi hanno tolto la possibilità di scrivere sulla pagina FB locale, evitavano di condividere ogni mio pensiero, si sono persino rifiutati di attaccare i manifesti col mio volto per una stupida gelosia….A parte alcuni gruppi locali fantastici (di Rimini, di Forlì), da parte del regionale, ho percepito molta freddezza verso i nuovi. In seguito ad un commento critico che scrissi su Bonaccini su FB, sono stata richiamata, mi hanno chiesto immediate scuse, altrimenti Bonaccini avrebbe annullato una conferenza stampa. Una situazione surreale. Io al telefono dovevo chiedere scusa a Bonaccini o lui avrebbe annullato una conferenza stampa (con gente che veniva dalla Francia apposta). E’ stato un mese molto faticoso e umiliante, mi sembrava di vivere un incubo, in cui volevo urlare ma non potevo. Eravamo tutti molto stanchi in famiglia. Ho capito che fingere non è il mio mestiere e la politica (almeno come è intesa qui da noi) non fa per me. Mi sono ributtata a capofitto nell’attivismo, nella Fiab, in XR, strafelice della libertà ritrovata. Ho deciso di non far più parte di alcun partito, ma lottare con passione come attivista. Credo di essere molto più utile (e serena) così. Ho trovato gente meravigliosa nelle associazioni, e sono davvero felice.
Ecoló: Cosa pensi che manchi al movimento ecologista italiano per fare un salto di qualità ed assomigliare ai movimenti del nord Europa?
LM: Non sono una buona analista politica, né esperta dei Verdi Europei, però vi posso parlare della mia esperienza. Credo che qui in Italia manchi da una parte molto coraggio nei Verdi, (tentennano troppo, inoltre le alleanze fatte col PD sono suicidi politici e di credibilità) e dall’altra parte, come già detto, manca molta sensibilità ambientale da parte della gente. I Verdi da quel che ho visto, mi pare che siano ancora troppo legati a logiche vecchie di partito, di calcoli e piccole gelosie. Devono assomigliare di più ad un’associazione, con meno gerarchia, più libertà, dare più spazio ai giovani, essere più coraggiosi.
Ecoló: Grazie del tuo tempo a presto!