
Laura Sparavigna, giovane Assessora al Personale, Efficienza amministrativa, Anagrafe, Protezione civile, Servizi informativi, Smart city e Innovazione, Intelligenza artificiale al Comune di Firenze è fra le promotrici dell’iniziativa del Comune che concede ai cittadini stranieri che abbiano completato un ciclo scolastico in Italia e ne facciano domanda la cittadinanza onoraria. Un’iniziativa che ha suscitato apprezzamenti ma anche critiche riguardo, ad esempio, al rischio che si possano alimentare false aspettative. In questa intervista l’Assessora ci spiega come è nata l’idea e perché potrebbe essere l’inizio di un processo di cambiamento importante.
Grazie Assessora per aver accettato di rispondere alle nostre domande. Per prima cosa vorremmo chiederti com’è nata l’iniziativa dello Ius Scholae a livello comunale?
È nata da un’urgenza sociale che sentivamo da tempo: davanti ai ragazzi e alle ragazze che arrivano da lontano o che sono nati qui ma con genitori stranieri, che crescono nei nostri quartieri, studiano nelle nostre scuole e condividono le nostre strade, non possiamo più restare con le mani in mano, in attesa di una riforma del parlamento. Stavolta abbiamo seguito un principio semplice: stessi banchi, stessa scuola, stessi diritti. Firenze ha voluto lanciare un segnale forte ed essere una dei primi comuni a conferire lo ius scholae – sulle orme delle proposte di legge per la riforma della cittadinanza di questi anni – per dire con chiarezza: “Questi ragazzi e queste ragazze fanno già parte della nostra comunità”.
Quali riflessioni o sollecitazioni vi hanno portato a promuovere questa delibera?
Per noi la scuola non è soltanto un luogo di apprendimento, ma il primo vero laboratorio di integrazione. Se impari la nostra lingua, conosci la nostra storia e cresci accanto ai tuoi compagni, perché non riconoscere ufficialmente la tua appartenenza?
In attesa di un intervento risolutivo a livello nazionale, la nostra città sceglie di prendere posizione come ha già fatto per altre questioni di civiltà come la lotta contro la tampon tax o a sostegno del registro delle unioni civili.
In cosa consiste concretamente questa misura?
La cittadinanza onoraria è un riconoscimento simbolico con cui il Comune di Firenze esprime il proprio impegno per l’inclusione sociale dei minori stranieri. Pur non avendo valore giuridico, rappresenta un atto di riconoscimento per chi è cresciuto e ha studiato nel nostro territorio, promuovendo un senso di appartenenza alla comunità.
Possono fare domanda i minori stranieri residenti a Firenze, che abbiano frequentato almeno cinque anni di scuola italiana e conseguito almeno uno (o più) dei seguenti titoli: diploma conclusivo del primo ciclo d’istruzione (diploma di secondaria di I grado), diploma conclusivo della scuola secondaria di secondo grado (diploma di secondaria di II grado), attestato di qualifica professionale di terzo livello EQF (qualifica professionale, al termine di un percorso triennale IeFP presso Istituzioni Scolastiche o Agenzie Formative accreditate), diploma professionale di quarto livello EQF (diploma professionale, al termine di un ulteriore quarto anno di un corso IeFP presso Istituzioni Scolastiche o Agenzie Formative accreditate).
La procedura è interamente online – SPID, CIE o CNS – e per il 2025 la finestra per le domande va dal 25 marzo all’11 maggio. Facile, veloce e digitale: perché l’inclusione non si arena nei moduli cartacei.» Chiuso il periodo di presentazione delle domande, queste saranno riesaminate e poi ci sarà la festa di consegna della cittadinanza onoraria al salone dei 500.
C’è il rischio di creare aspettative che non trovano riscontri in maggiori diritti?
Sì, dato che la cittadinanza onoraria non ha valore legale e non conferisce diritti giuridici. Per dirlo con parole chiare: è un riconoscimento “solo” simbolico, senza valore legale. Ma è proprio questo il punto: scuotere le coscienze. Meglio un segnale forte oggi che il silenzio di Stato domani. Puntiamo a far nascere da qui una spinta politica verso una riforma nazionale del diritto di cittadinanza.
Come si pone l’amministrazione rispetto a questo rischio? E qual è la posizione delle organizzazioni di migranti coinvolte?
L’Amministrazione è consapevole del carattere simbolico dell’iniziativa e la considera un passo importante verso una maggiore inclusione. Le organizzazioni e le scuole del territorio hanno accolto positivamente il provvedimento, vedendolo come un riconoscimento morale per le nuove generazioni. Inoltre, essendo il primo riconoscimento di questo genere in Italia molti ne hanno riconosciuto l’opportunità e provato un certo orgoglio.
Come vi collocate rispetto alla posizione del governo e alla proposta di referendum sulla cittadinanza?
Siamo molto critici rispetto all’esecutivo nazionale, che ha una visione molto restrittiva del diritto alla cittadinanza. Recentemente, formazioni politiche giovanili legate alla maggioranza di governo hanno attaccato duramente la Sindaca e la nostra iniziativa, con striscioni razzisti e antistorici, che condanniamo duramente. Il referendum sulla cittadinanza che si terrà nei giorni dell’8 e 9 giugno è una grande opportunità di semplificare l’accesso alla cittadinanza italiana per chi da 5 anni risiede e lavora nel nostro Paese, e lo sosteniamo convintamente.
Pensa che in futuro si possa “forzare” la legge, come fatto in passato sul riconoscimento dei figli di coppie omogenitoriali?
Tecnicamente al momento non ci sono spazi normativi per farlo. Ma iniziative simboliche come questa creano pressione politica per una riforma nazionale. Lo ius scholae è stato evocato persino da forze di destra: speriamo davvero che, prima o poi, venga regolamentato a livello statale
Esistono margini per un riconoscimento che vada oltre il solo valore simbolico?
Paradossalmente in Parlamento potrebbe essere cercata una maggioranza in tal senso, ma questo governo si muove in direzione totalmente contraria per meri fini ideologici. Pertanto difficilmente vedremo cambiare le regole nel corso di questa legislatura. Quella della cittadinanza è un’esigenza di milioni di persone che crescono, studiano e lavorano in Italia, ai quali non possiamo più negare i diritti di cittadinanza. Per la coesione stessa del Paese, si tratta di un tema di cui dovrebbero essere coscienti tutte le forze politiche.
Chi cresce, studia e lavora qui merita di non restare sempre “straniero”. È una questione di coesione: non è più rinviabile.
Grazie per il suo tempo Assessora e buon laovoro.