Raccontare la città che resiste: memorie dal Meccanotessile. La nostra intervista a Enrico Tomassini

Enrico Tomassini, urbanista e dottorando presso l’Università La Sapienza, ci racconta la storia del Meccanotessile di Firenze, la creazione collettiva della Venere Biomeccanica e il valore della memoria urbana. Attraverso pratiche di rigenerazione e partecipazione, riflette su come trasformare spazi abbandonati in luoghi vivi e condivisi.

Ciao Enrico e grazie per il tempo che ci dedichi per questa intervista. Per prima cosa ci racconti qualcosa di te e del tuo lavoro?

Sono Enrico Tomassini, correntemente sto facendo un dottorato di ricerca in Ingegneria dell’Architettura e dell’Urbanistica Università della Sapienza, più nello specifico nel curriculum di studi urbani. Ho avuto la fortuna e possibilità di formarmi umanamente, politicamente e nella ricerca dentro e fuori Firenze, dentro e fuori Europa, ho una formazione interdisciplinare e da sempre sono appassionato di pratiche urbane, arte sociale, di territorio e di movimenti sociali dal basso. Mi piace lavorare sulle narrazioni, i processi nello spazio urbano, ed è a partire da un focus sugli anni a cavallo fra 90’ e 2000, che mi interrogo sul ruolo della memoria, nello spazio urbano e sociale di Firenze, intendendo, la memoria, come oggetto di studio ponte tra discipline, spazi e tempi. Dicevamo gli anni 2000, io nello specifico mi occupo di un movimento politico, culturale e creativo che attraversa la città di Firenze, che fra le molteplici azioni che porta avanti fra il 1999-2005, fra le varie attraversa lo spazio del Ex-Meccanotessile. Il movimento che studio, o meglio le biografie che in questo movimento si intrecciano, danno vita ad una varietà di esperienze sul territorio fiorentino e non solo. Mi chiedo cosa significhi tramandare un eredità culturale e perché sia importante creare processi virtuosi e partecipati nell’ambito della trasmissione delle competenze, conoscenze e storie che fanno riferimento ad un determinato contesto storico, o più propriamente per come la intendo io un contesto memoriale di comunità, detto anche patrimonio culturale. Gli studi sulla memoria, diversamente dagli studi storici guardano al passato come qualcosa di presente ovvero sempre ricostruito e reinventato nel presente. Esiste un’intima co-dipendenza tra le diverse temporalità, spazi ed immagini che abbiamo dei nostri ricordi. Il ricordo è necessario alla costruzione di comunità quindi alla costruzione di presenti e futuri possibili e desiderabili. 

Cos’è la Venere Biomeccanica, di cosa è frutto e perché questo tema ti sta a cuore?

La Venere Biomeccanica, è in primis una scultura, e solo in un secondo momento forse un monumento, certamente un monumento ungewollte, non voluto. I monumenti, anche nel loro senso più arcaico, sono negli occhi di chi li guarda, ovvero è nel presente che una comunità si riconosce e crea un oggetto memoriale, attraverso atti rituali e gesti che creano nuove possibilità di significato nel presente. Oggi non esistono molti luoghi di memoria reali, ovvero viventi, esistono monumenti storici, ma non monumenti incarnati e viventi. La Venere Biomeccanica, in questo senso è un’anomalia, soprattutto in una città come Firenze, estremamente storicizzata, patrimonializzata e turisticizzata, è difficile trovare oggetti e luoghi genuinamente memoriali. La Venere rappresenta un’idea, una possibilità altra di trasformazione dal basso della città. E’ un’anomalia in molti altri sensi, è un’opera collettiva, in un epoca sempre più individualizzata, che nasce da un’idea di mondo e di città diversa, è la testimonianza delle diversità che popolano una città, le sue storie ed anime spesso anche conflittuali. La Venere Biomeccanica nasce, nel 2003, nel 2021 è stata oggetto di una petizione per la sua salvaguardia al Meccanotessile. Viene realizzata, come prima opera di quello che avrebbe dovuto essere il CAC, il Centro di Arte Contemporanea di Firenze, che però non viene mai realizzato. Il periodo di gestazione dell’opera è relativamente lungo. Viene concepita quindi realizzata durante una riappropriazione creativa dello spazio di circa un mese nel 2003, ma l’idea che la sospinge e che attraversa quello che al tempo si faceva chiamare NetWip – Network in Progress – Odissea per lo spazio, prende forma in più fasi, fino ad essere realizzata e trasportata in parata per il centro di Firenze verso quella che sarà la prima 72ore antifascista techno della città. La Venere, ancora oggi, esercita un senso di attrazione per molte persone, appartiene a suo modo sia a chi l’ha costruita ed immaginata, sia a chi oggi si identifica con essa, con il simbolo ed il mito che l’ha investita al di là del desiderio specifico di chi l’ha realizzata, comunque una collettività. Come dice l’artista Maria Pecchioli nella petizione sopracita, la Venere rappresenta: 

  • Il potere generativo del lavoro condiviso
  • La spinta collettiva al bene comune
  • La possibilità di co-progettare e promuovere pratiche collettive di trasformazione urbana.  

Foto: Enrico Tomassini

Quali progetti hai in mente per l’ex-Meccanotessile, per la valorizzazione della storia del sito e del percorso che ha portato alla creazione della Venere Biomeccanica?

Io personalmente non mi occupo della memoria del sito in quanto tale, credo ci siano persone ben più competenti di me a tal riguardo in primis i testimoni di quell’epoca. Credo che però inevitabilmente, occupandomi della memoria della Venere, sia necessario contestualizzare la sua creazione dentro quella profonda metamorfosi sociale ed urbana che rende le fabbriche dei luoghi sospesi nel tempo, vuoti che aspettano di essere significati. Non è un caso che la Venere venga realizzata dentro un ex plesso industriale, come non è un caso che per evocare un passato o dare spazio ai desideri degli abitanti si debba prevedere dei vuoti e non solo dei pieni, ovvero luoghi di sospensione e contemplazione. Credo che, in senso di co-appartenenza, sia la Venere che il Meccanotessile siano patrimonio di questa città e che nei percorsi di valorizzazione patrimoniale si debba mettere l’accento sull’inclusività dei percorsi e sull’importanza di interagire con le comunità di riferimento per le modalità stesse. Da un punto di vista normativo faccio riferimento alla Carta di Faro – Legge Quadro Europea che in riferimento alla tutela dei patrimoni culturali riconosce il diritto all’eredità culturale come diritto alla partecipazione alla vita culturale di una società, come riportato dalla carta dei Diritti dell’Uomo.  

Credo che un progetto importante e necessario sarebbe la messa in atto di un uso temporaneo degli spazi del meccanotessile in vista delle diverse fasi di cantierizzazione previste, che non avranno un esito definitivo ancora per alcuni anni. Sono pratiche molto comuni ad oggi e molto praticate in Francia, Germania e in alcuni casi anche in Italia. Ma ormai di uso temporaneo e in fattispecie di riuso del patrimonio ex-industriale, di processi partecipati di cantierizzazione, si parla già dagli inizi degli anni ‘90 (del resto il paesaggio post-industriale è una caratteristica di tutte le economie e democrazie avanzate Europee).   

Il senso di un uso temporaneo, di una pianificazione transcalare, iterattiva di sviluppo urbano, per più fasi e di dialogo, di questa portata, è di rendere i processi di trasformazione urbana il più possibile occasioni di democrazia e parte integrante della democraticità di una città: per democrazia si intende anche la possibilità di accesso di uno spazio, il suo uso, il suo non essere escluso dalla vita di tutti i giorni, il suo essere trasformabile ed abitabile. Nella mia opinione, rispetto anche alla questione memoriale del sito, sarebbe importante durante questa fase determinare, insieme alle varie comunità interessate, i vincoli da anteporre alla trasformazione ovvero una serie di indirizzi da dare per la preservazione delle memorie lì presenti e credo che artiste ed architette, cittadini, potrebbero dare certamente delle indicazioni progettuali interessanti. Per preservazione delle memorie, non si deve pensare ad una tutela tradizionale e preservativa ma anche a momenti di elaborazione delle stesse, elaborazione di tracce. Se vogliamo preservare delle memorie collettive, dobbiamo salvarle dall’oblio, ma non per accumulare tutte le tracce in modo archivistico e in un senso cumulativo. Dobbiamo creare processi  inclusivi di costruzione del ‘patrimonio’ in cui si vuole evocare una dimensione di un passato vivo che si ricostruisce nel presente per propositi ad esso attinenti, a partire dalle persone che vi prendono parte. La costruzione di patrimonio dal basso, permette effettivamente di attivare un carattere bellissimo del fare memoria ovvero di intessitura e nutrimento delle relazioni sociali.  

Credo che a questo riguardo sarebbe importante accedere alla Legge sulla Partecipazione Toscana, l.r. 46/2013, quindi accedere alle risorse necessarie per costruire davvero un percorso di dibattito e partecipazione intorno alle sorti della preservazione, racconto e messa in opera delle memorie passate nel presente e per il presente. Nello specifico, il processo di partecipazione potrebbe essere sia a monte dell’uso temporaneo o nell’indirizzo dell’uso temporaneo stesso. Rispetto al mio interesse particolare, sarebbe interessante definire nel processo di partecipazione come preservare la memoria che la Venere rappresenta. Queste memorie che sono un bene comune di questa città possono diventare occasioni di socialità e democrazia nelle fasi pre-cantierizzazione e chissà magari determinando degli usi anche simultaneamente alle stesse, magari proponendo dei veri e propri usi a lungo termine per la cittadinanza. 

Come fare a rendere partecipato il percorso di riappropriazione fisica o culturale di uno spazio pubblico abbandonato? Quanta importanza ricopre e quali strumenti ritieni più importanti?

Uno strumento di attivazione possibile del processo, a cui sto pensando, è la Legge sulla Partecipazione Toscana, l.r. 46/2013. Il percorso di partecipazione dovrebbe accompagnare la definizione di una progettualità di un uso temporaneo con lo scopo di preservare, nel modo più inclusivo possibile le memorie, quindi la centralità fondamentale di cui anche oggi può essere interessato il plesso del Meccanotessile. Ci vogliono strumenti e risorse adeguate, ci vogliono persone e società, dedite al processo stesso dell’uso temporaneo, al suo coordinamento e curatela. Gli usi temporanei, quelli che molti chiamano rigenerazione a base culturale, che altri preferiscono chiamare rigenerazione dal basso, possono essere un’occasione importante per la città, soprattutto se i loro esiti, quelli che sono usi pionieri possono essere integrati negli sviluppi di progetto finale. Gli usi temporanei sanno intercettare i bisogni emergenti della cittadinanza, dandogli spazio e tempo; possono essere strumenti di costruzione di affezione ai luoghi, di appropriazione degli stessi, quindi luoghi vissuti, curati, luoghi di progettualità nel presente per il futuro dei quartieri. Bisogna saper valorizzare le intelligenze vive di un territorio e dargli una cornice di senso. La riappropriazione consiste nel voler sottrarre da uno stato di abbandono un plesso e renderlo attraversabile, pubblico, significa più radicalmente sottrarlo dalle dinamiche di produzione di spazio che determinano lo sviluppo urbano odierno, che spesso ai bisogni sociali antepone ragioni economiche. In generale, è possibile in queste circostanze, quando lo sviluppo urbano viene promosso su base pubblica e con investimento pubblico, catturare il surplus di rendita prodotto, ovvero fare in modo che il differenziale dei costi/prezzi prodotti possa essere distribuito e vada a migliorare la qualità del progetto senza intaccare il mercato degli affitti, se non in maniera marginale e con l’obiettivo di migliorare la qualità degli spazi prodotti. Quando ci si impegna in progetti come questi sarebbe ottimo, già a monte del processo, pensare già agli effetti negativi di impatto sociale ed ambientale del progetto, così non solo da evitarli ma  trasformarli in occasioni positive per la città. Il come è da indagare nei moltissimi esempi a nostra disposizione, che variano molto da contesto a contesto ma che possono essere sempre strumento per valorizzare e rendere centrale la società civile nel processo.

Conosci altri percorsi che hanno avuto un esito positivo e che possono essere di ispirazione per strutture presenti sul nostro territorio?

Ce ne sono moltissimi, ma dipende sempre dalla capacità recettiva delle amministrazioni rispetto alle proposte che arrivano dal basso. C’è un esempio a cui sono molto affezionato ancora oggi in itinere. E’ un esempio Berlinese, nel particolare si tratta del progetto di Haus Der Statistik, un progetto di rigenerazione in cui la società civile ha potuto partecipare dopo aver manifestato interesse per le trasformazioni di un edificio che può essere considerato monumentale, in maniera rappresentativa, alle riunioni degli stakeholders di progetto in particolare la cosiddetta Koop5, avendo fino ad un potere di veto nelle riunioni che stanno determinando gli usi futuri legati alla formazione, all’arte, alla produzione culturale, all’alloggio a prezzo sociale e molto altro. 

Foto presa da: https://www.korientation.de/haus-der-statistik/

All’interno del progetto sono stati sperimentati degli usi pionieri, alcuni dei quali, ad uso temporaneo finito, avranno modo di rimanere attivi, in certi casi seguendo delle turnazioni negli enti, associazioni che li gestiranno. L’uso pioniere, o temporaneo, ha determinato una partecipazione attiva della cittadinanza nel presente della cantierizzazione e ne garantisce l’inclusione a conti fatti e lavori finiti. Credo che al momento, facendo tesoro del know how già presente sul territorio rispetto a questa tipologia di progetti, sia possibile avere le premesse per formalizzare un processo di questo tipo, dando risposta alle esigenze ed urgenze sociali presenti sul territorio, per esempio l’esigenza di includere, preservare e valorizzare le memorie dell’ex-meccanotessile. 

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Data di pubblicazione: 14 Febbraio 2025

Autore: Redazione

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