Cosa c’è dietro la morte di Luana d’Orazio?

La mattina del 3 maggio Luana, operaia tessile, termina la sua vita per un incidente mentre lavorava all’orditoio, macchinario utilizzato per distribuire i filati e comporre così il tessuto nella successiva fase di tessitura.

Luana aveva 22 anni, un figlio piccolo, tanti sogni che cercava di portare avanti grazie al lavoro che svolgeva, da circa un anno, nel distretto tessile della provincia di Prato, il più grande d’Europa. Casi come questo “fanno notizia” ma il problema delle morti sul lavoro è quotidiano, anche in settori, come quello della moda che continua a crescere a ritmi importanti e che, soprattutto nell’est asiatico, presenta condizioni di salute e sicurezza e rispetto dei diritti sociali fortemente critiche.


Tutto ciò suscita in noi delle domande, tentativi di capire perché siamo arrivati a questo punto e come se ne può uscire. Abbiamo chiesto qualche impressione a Francesca Rulli, CEO di Process Factory e founder di 4sustainability, marchio che attesta il rispetto di standard di sostenibilità ambientale e sociale nella filiera moda.

Ecoló: Ciao Francesca, grazie per la tua disponibilità. La notizia della morte di Luana d’Orazio ha sconvolto un po’ tutti. Al di là del giudizio del caso specifico che verrà accertato e che non spetta a noi dare, possiamo pensare che sia stata una fatalità? Quanto è diffuso il problema del rispetto delle condizioni di sicurezza nelle lavorazioni tessili?

Francesca Rulli: Per nostra fortuna, la normativa italiana – il Decreto 81/2008, in particolare – è largamente applicata e rispettata. L’aspetto che ci preoccupa è più che altro quello culturale. La norma è presidiata infatti in modo diverso a seconda delle professionalità presenti in azienda: esistono aziende dalla grande responsabilità in cui le nomine sono forti, altamente professionali e quindi anche l’attenzione dell’imprenditore e dei suoi dipendenti sono elevate, perché si investe in formazione e controlli. C’è ancora una quota di aziende, però, in cui questo tema della sicurezza è visto ancora e soltanto sotto il profilo della compliance: metto in ordine “le carte” per sentirmi a posto sul piano formale, ma non investo sulla cultura, sulla formazione, sui controlli, sulle responsabilità… In questi casi, può capitare ciò che si vorrebbe non capitasse mai e che invece è capitato di recente in alcune aziende del settore tessile, come hanno riportato i media. La sfida è riuscire a far in modo che le regole esistenti siano vissute in azienda non come meri adempimenti di legge, ma come una responsabilità e un impegno: in gioco, c’è la sicurezza dei lavoratori.

Francesca Rulli CEO di Process Factory

Ecoló: Quali possono essere le soluzioni per evitare situazioni come queste? Servono più controlli? Considerato anche che le due vittime che ci sono state nel distretto tessile pratese nei primi mesi dell’anno erano poco più che ventenni, serve investire di più nella formazione dei lavoratori?

FR: Io direi proprio di sì, la formazione è fondamentale e i controlli lo sono altrettanto. C’è da diffondere una cultura e un’attenzione a queste tematiche che passa proprio dai comportamenti delle persone, dai controlli dei supervisori o dei capi reparto, dagli aggiornamenti normativi, dalla verifica di macchinari… Tutto ha spesso a che fare con i ritmi di lavoro a cui sono sottoposte le persone, ritmi che portano spesso a trascurare alcuni fattori non irrilevanti di rischi. “Ho sempre fatto così”, “Tanto, cosa vuoi che succeda?”… E la tragedia è lì, in agguato.

Ecoló: Le aziende della filiera sono spesso sotto forte pressione per la richiesta dei grandi marchi di ottenere bassi costi di produzione e lavorazione, questo influenza la capacità di garantire il rispetto delle condizioni di sicurezza e di impatto ambientale per le piccole aziende del settore?

FR: Non possiamo generalizzare perché dipende da committente a committente, ma in linea di massima direi di sì. Ci sono marchi fortemente impegnati anche nel controllo delle loro filiere, ma molti altri che, guardando solo alla leva del profitto e quindi all’abbattimento del prezzo, sottopongono le filiere a una pressione veramente importante. Questo non giustifica, naturalmente, la ricerca del risparmio in laddove c’è in gioco la sicurezza delle persone o la tutela dell’ambiente, ma certo, può essere una causa. I livelli di responsabilità, in questo caso, sono due: del cliente che tira al minimo il prezzo di produzione, ma anche quello dell’azienda che pur di prendere l’ordine e mantenere il livello produttivo prova a risparmiare su temi che sono invece fondamentali per la sostenibilità e il buon andamento del business, nel rispetto dell’uomo e dell’ambiente. È un tema su cui c’è un’attenzione crescente… Noi per primi ci spendiamo ogni giorno per aiutare le imprese della filiera a sistematizzare i controlli, le procedure, gli strumenti più idonei a performare bene nel rispetto dell’ambiente e delle persone. E a crescere integrando etica e business, che poi significa adottare un modello di sviluppo autenticamente sostenibile. Tutto questo si scontra ancora con logiche di mercato fortemente orientate al profitto. Noi spingiamo perché tale paradigma cambi velocemente e la distribuzione del valore, piano piano, cominci a toccare tutte le filiere.

Ecoló: Quello che vediamo in Italia ci tocca da vicino, ma sappiamo bene che in altri paesi del mondo le condizioni di lavoro sono anche peggiori. Cosa ci puoi dire su questo e secondo te il settore come sta affrontando queste problematiche? 

FR: Come dicevo, l’Italia è tra le realtà più avanzate sul piano normativo – addirittura un altro pianeta, se il confronto lo facciamo con i paesi in via di sviluppo dove mancano le condizioni minime per parlare di responsabilità sociale, di diritti umani, di uguaglianza, di sicurezza… e quindi anche di macchinari all’avanguardia. Se il tema è poi quello della tutela ambientale, sono tante le aree del mondo in cui il concetto di depurazione o di riduzione delle emissioni in atmosfera si applica solo a poche realtà eccellenti isolate. In Italia no, in Italia il numero di imprese che ha avviato in qualche forma la trasformazione del proprio modello di business verso la sostenibilità – grazie al contesto favorevole, alla lungimiranza dell’imprenditore… – sono sempre più numerose. Ma guai ad abbassare la guardia: ci sono distretti in cui bisogna ancora investire su materie come l’antincendio, la formazione, la cultura dei lavoratori… Resta tanto da fare anche da noi.

Ecoló: Gli standard del commercio internazionale e i requisiti sulle merci possono essere un possibile strumento di controllo? Come mai aspetti di sostenibilità ambientale e sociale non fanno parte di questi standard?

FR: Non siamo arrivati ancora a questo punto, ma ci sono dei segnali incoraggianti. È in corso di definizione, infatti, la due diligence legislation[1], votata a marzo scorso dal Parlamento Europeo e relativa alla due diligence delle imprese in materia di diritti umani e ambiente. Lanciata un anno fa dal commissario UE della giustizia Didier Reynders, l’iniziativa comporterà l’obbligo per i paesi membri di dare evidenza della trasparenza delle filiere, arrivando a monitorarne i requisiti ambientali e sociali, appunto, il rispetto dei diritti umani, della sicurezza, dell’impatto ambientale.

Questo sul fronte normativo. Di iniziative volontarie da parte di molti grandi brand sulle proprie filiere globali possiamo già contarne diverse da anni, ma è chiaro che non potremo assistere a un vero cambio sistemico finché non ci sarà una legge uguale per tutti. La due diligence legislation potrebbe essere un fattore non trascurabile di cambiamento proprio perché interesserà le filiere globali: se l’azienda ha sede in Europa ma si approvvigiona ovunque, nel mondo, dovrà dare evidenza del rispetto dei requisiti ambientali e sociali della filiera da cui si approvvigiona.

Ecoló: Per concludere, cosa è 4sustainability e come, con le vostre attività, cercate di portare quel cambiamento di cui ci hai parlato? Quale prospettiva vedi per i prossimi anni?

FR: 4sustainability è un protocollo, un sistema di implementazione di filiera basato su sei dimensioni di sostenibilità e concepito per supportare l’impresa nella realizzazione di un modello di business sostenibile e quindi nella verifica di tutti i requisiti ambientali e sociali necessari per poterlo definire tale. Partendo da una fotografia iniziale, il protocollo consente di mettere a punto un serie di procedure, regole di implementazione e misurazione relative all’impatto sociale e ambientale del proprio sistema produttivo per dimostrare un miglioramento continuo nel tempo. Al momento, con nostra grande soddisfazione, vediamo che in Italia sono tantissime le aziende che hanno voglia di scommettere su questo e si stanno mettendo in discussione, aziende che, partendo da performance ambientali e sociali già molto buone, vogliono continuare a crescere, a innovare, a cercare soluzioni per ridurre il proprio impatto ambientale e migliorare le condizioni sociali. Dal nostro osservatorio – principalmente italiano, ma con numeri interessanti anche a livello globale – vediamo che questo trend è già in essere e che alcuni grandi nomi della moda stanno facendo da apripista. Pochi, purtroppo, ma volenterosi! Mi riferisco per lo più a gruppi internazionali che hanno dedicato budget e risorse importanti per trainare e formare le filiere mondo, sviluppando sistemi di controllo e in alcuni casi anche di riconoscimento. Noi, con loro, ci diamo da fare sulla filiera perché questo si realizzi e sia monitorato e misurato costantemente, con un sistema trasparente di condivisione dei risultati a marchio 4sustainability.

Un’ultima considerazione voglio farla sul tema dell’educazione alla responsabilità, che negli ultimi 30-40 anni ci siamo persi, troppo occupati a guardare solo al profitto. Fare sostenibilità – evitando incidenti come quello drammatico in cui ha perso la vita Luana – significa invece recuperare i principi della responsabilità: nelle famiglie, nella scuola, in azienda… L’etica nel business nasce da qui, è ciò che porta le imprese (e gli individui) a immaginare un modello operativo diverso che si rivela anche, peraltro, il più efficace sul piano delle performance.


[1] http://www.vita.it/it/article/2021/04/27/governance-societaria-sostenibile-un-passo-avanti/159140/

Ecologia economia sostenibile Non Profit

Data di pubblicazione: 26 Maggio 2021

Autore: Redazione

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