Di Guido Scoccianti
Fanalino di coda da sempre di tutte le politiche, ultimo dei settori nella destinazione dei fondi e delle risorse, da molti sostanzialmente ignorata o quantomeno considerata tema da ‘sentimentali’, la tutela della biodiversità ancora oggi stenta ad essere riconosciuta per quello che in realtà è, cioè uno degli elementi chiave per la nostra sopravvivenza.
Qualcosa però potrebbe cominciare a cambiare.
Se a poco o nulla sono serviti i gridi di allarme negli ultimi decenni di biologi e naturalisti, nonostante la mole di dati raccolti che mostrano in modo inequivocabile la gravità della situazione, finalmente adesso cominciano a parlare dell’importanza della biodiversità anche gli economisti. Una voce tipicamente tenuta in maggior considerazione dai nostri politici.
Quali sono infatti i costi economici per la nostra società della distruzione di specie e habitat?
Come segnala la Commissione Europea nella presentazione della Strategia Europea sulla Biodiversità per il 2030:
“la perdita di biodiversità e il collasso degli ecosistemi sono una minaccia anche per le fondamenta della nostra economia e si prevede che i costi dell’inazione, già alti, aumenteranno. Si stima che dal 1997 al 2011 i cambiamenti nella copertura del suolo abbiano causato perdite pari a 3500-18500 miliardi di euro l’anno in servizi ecosistemici a livello mondiale e che il degrado del suolo sia costato 5500-10500 miliardi di euro l’anno“.
“l rapporto benefici/costi complessivi di un programma mondiale efficace per la conservazione della natura ancora allo stato selvatico è stimato ad almeno 100 a 1. Gli investimenti nel capitale naturale, ad esempio nel ripristino di habitat ricchi di carbonio e nell’agricoltura rispettosa del clima, sono considerati tra le cinque politiche più importanti di risanamento del bilancio in quanto offrono moltiplicatori economici elevati e un impatto positivo sul clima“.
Basta inoltre pensare, per esempio, a come il declino degli insetti impollinatori, se non controvertito, può mettere in ginocchio la nostra agricoltura e di conseguenza tutta la catena della produzione alimentare, per comprendere bene come la tutela della biodiversità è una sicurezza anche per noi stessi.
Per questo la tutela della biodiversità, insieme al contrasto ai cambiamenti climatici, dovrebbe essere oggi elemento fondamentale ed anzi guida di tutte le politiche, in particolare di quelle che determinano le azioni per la ripresa economica dopo la pandemia.
E’ con questa consapevolezza che proprio nella primavera del 2020, in piena esplosione della crisi pandemica, la Commissione Europea ha avuto la volontà e la forza di approvare una nuova Strategia dell’UE sulla Biodiversità per il 2030, Strategia che dovrebbe guidare i Paesi europei in un cammino rivoluzionario per quanto riguarda i rapporti fra uomo e natura, con l’obiettivo conclusivo di giungere nel 2050 ad una situazione in cui tutti gli ecosistemi del pianeta siano ripristinati, resilienti e adeguatamente protetti e dove sia applicato il principio del “guadagno netto”, cioè restituire alla natura più di quanto le sottraiamo. Un obiettivo molto ambizioso, forse irraggiungibile nella sua interezza, ma che deve essere l’elemento su cui costruire fin da oggi tutte le nostre politiche, con una serie di passaggi intermedi di azione e di verifica. La strategia europea al 2030 vuole essere il primo di questi passaggi intermedi, prefiggendosi il traguardo di riportare la biodiversità in Europa sulla via della ripresa entro il 2030, in linea con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, ed in connessione e sintonia con gli obiettivi di lotta ai cambiamenti climatici.
D’altronde tutela della biodiversità e tutela del clima sono strettamente interconnessi. La biodiversità ha un ruolo fondamentale nel sequestro e nell’immagazzinamento del carbonio. E’ facile pensare in questo senso alle foreste, ma anche altri ecosistemi hanno importanti ruoli. Per esempio le torbiere, che a livello globale contengono più di 550 giga tonnellate di carbonio e sono capaci di sequestrare 0.37 giga tonnellate di CO2 all’anno, e, come le torbiere, i suoli fertili in genere. Inoltre fondamentale è il ruolo del fitoplancton marino nell’accumulare CO2 rimuovendola dall’atmosfera.
Nello stesso tempo, la conservazione della biodiversità naturale rende gli ecosistemi maggiormente resilienti agli impatti da cambiamento climatico e inoltre ci offre soluzioni ‘nature-based’ che possono, e dovrebbero, svolgere un ruolo fondamentale nel contrasto al cambiamento climatico ed ai suoi effetti.
Non è un caso che, nel giugno 2021, è stato pubblicato un primo rapporto congiunto fra i due maggiori organismi internazionali che si occupano rispettivamente di clima e di biodiversità, cioè l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) e l’IPBES (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services), rapporto in cui si sottolinea l’importanza e la necessità di affrontare insieme la crisi climatica e la crisi della biodiversità congiuntamente ai loro combinati impatti sociali.
Allo stesso modo, tornando ai rapporti fra economia e biodiversità, un istituto come il World Economic Forum, ad oggi non proprio avvezzo a posizioni ecologiste e difficilmente tacciabile di posizioni ecologiste preconcette, ha pubblicato nel 2020 un dossier dall’eloquente titolo di ‘Nature risk rising: Why the crisis engulfing Nature matters for business and the economy’, in cui si sottolinea come più di metà del Prodotto Interno Lordo mondiale (44 miliardi di dollari) dipende in modo determinante dalla natura e dai suoi servizi ed è quindi esposto a rischio dalla perdita di capitale naturale.
E’ anche per questo che gli obiettivi della Strategia Europea sulla Biodiversità per il 2030 sono obiettivi che non ci possiamo permettere di perdere ed è importante notare che non sono solo obiettivi di ‘conservazione’ degli ecosistemi che ancora sopravvivono, ma anche di ripristino e ricreazione di ambienti che sono stati deteriorati. Uno degli obiettivi principali della strategia è infatti il ripristino di vaste superfici di ecosistemi degradati e ricchi di carbonio, obiettivo che coincide perfettamente con l’impegno che l’ONU ha voluto lanciare con la dichiarazione del decennio 2020-2030 come ‘Decade on Ecosystem restoration’.
E’ evidente che per raggiungere questi obiettivi ci vogliono volontà, scelte precise e anche destinazioni adeguate di fondi e risorse, nella consapevolezza però che questi fondi e risorse, se ben utilizzati, ci eviteranno disastrose e ben più alte perdite economiche, dovute alla depauperazione dei servizi ecosistemici.
Per iniziare a tutelare davvero la biodiversità, attraverso una svolta nelle politiche internazionali e locali, dovrebbe essere sufficiente la motivazione che anche tutte le altre forme di vita animale e vegetale di questo pianeta hanno diritto a continuare ad esistere, o almeno la considerazione che lasciare ai nostri figli un mondo senza biodiversità significa lasciare un mondo privo di gran parte della sua bellezza. Ma se ancora questo non fosse sufficiente, forse ci potrà far cambiare idea il fatto che senza biodiversità a crollare saranno la stessa nostra economia e con essa i già traballanti equilibri sociali. Lo sapremo nei prossimi anni.
La politica, a tutti i suoi livelli ed in modo coordinato, deve oggi fare una scelta, e deve farlo tenendo ben chiaro che, se così non sarà, non avremo un altro decennio a disposizione per recuperare ciò che non avremo fatto da qui al 2030, perché molto di tutto questo non sarà più recuperabile e saremo destinati a vivere sempre più poveri in un mondo sempre più povero, più insalubre, più inospitale, orfano di quella bellezza che rende la vita degna di essere vissuta.
Data di pubblicazione: 23 Dicembre 2021
Autore: Redazione