Gli ultimi giorni di resistenza contro l’espansione della miniera di carbone in Germania raccontati dal fotografo Michele Borzoni.
Abbiamo intervistato Michele Borzoni, fotografo del collettivo TerraProject, che ha passato gli ultimi otto giorni dell’occupazione della fattoria di Lützerath nel Nordreno Vestfalia.
Ecoló: Ciao Michele, grazie per la disponibilità, per prima cosa ci dici chi sei?
Michele: Sono un fotografo di TerraProject, collettivo fondato nel 2006 da Simone Donati, Pietro Paolini, Rocco Rorandelli e me. Un collettivo di fotografia documentaria. In questi anni ci siamo occupati di raccontare tematiche sociali, ambientali, non prettamente ecologiste, ci siamo interessati al paesaggio, soprattutto italiano, e a storie legate all’attualità.
Ecoló: La scorsa settimana sei andato in Germania come mai?
Michele: Insieme a Rocco Rorandelli, con cui lavoro nel collettivo, abbiamo cominciato a immaginare un nuovo progetto a lungo termine sull’attivismo ambientale più radicale. Quindi abbiamo cominciato a seguire, per esempio, i movimenti e le azioni di disobbedienza civile di Ultima Generazione, che in questi ultimi mesi stanno agendo in Italia. Rocco era già stato in Germania l’anno scorso per conto di una rivista svizzera per raccontare l’espansione di miniere di carbone nella Germania occidentale. Seguendo quella storia, e le notizie che venivano da Lützerath, abbiamo capito che all’inizio di gennaio avrebbero sgomberato il villaggio. Non sapevamo esattamente quando, ma avevamo capito che sarebbe successo i primi di gennaio. Quindi ho deciso di andare e di raccontare quest’ultimo pezzo di disobbedienza civile che rappresenta un’esperienza molto forte del movimento ecologista europeo.
Ecoló: Che cos’è Lützerath?
Michele: Lützerath era una vecchia fattoria, occupata, con il consenso del proprietario, costretto a vendere la sua proprietà alla compagnia energetica tedesca RWE che ha espropriato questo terreno. Da due anni e mezzo questo gruppo di attivisti, molto numerosi, molto giovani, aveva occupato la fattoria per evitare che la miniera di carbone si espandesse in quella direzione.
Ecoló: Quando sei arrivato che situazione hai trovato?
Quando sono arrivato erano gli ultimi giorni dell’occupazione di questa fattoria, c’erano 400-500 persone dentro, quasi tutti giovanissimi. Erano giorni che costruivano barricate per fortificare gli ingressi al villaggio. Erano barricate vere. Utilizzavano qualsiasi cosa trovassero per costruire trincee e muri con lo scopo di evitare che la polizia entrasse dentro a sgomberarli.
Ecoló: Chi sono gli occupanti?
Quando entro vedo una generazione di giovanissimi di 18 -20 anni, tutti incappucciati, col volto coperto, che costruiscono barricate. Ho pensato di trovarmi in un contesto anarchico insurrezionalista di estrema sinistra, molto simile a situazioni complicate viste in Italia. Dopo poco che ho cominciato a fotografarli mi sono reso conto che non era esattamente così. C’era sicuramente una parte proveniente dai movimenti di sinistra e centri sociali di tutta la Germania, ma anche un buon numero dai gruppi ambientalisti, era un’unione di questi due mondi.
Ecoló: che tipo di accoglienza hai ricevuto?
Michele: Sono stato accolto bene, erano apertissimi alla stampa, molto diversamente dal movimento dei black bloc. Molto accoglienti sia nella comunità stessa, sia nei confronti della stampa. Questa cosa mi ha molto impressionato. Pensavo di trovarmi in un ambiente molto difficile da fotografare; non è stato così. Molti di loro, comprensibilmente, non volevano essere riconosciuti in volto perciò si coprivano, per altri non era un problema nemmeno essere riconosciuti. Quello che mi ha colpito era il desiderio di volersi raccontare, e spiegare quello che stava succedendo, che era una battaglia, una vera battaglia, per far sopravvivere questo pezzo di terra, per evitare che la miniera si espandesse. Una battaglia condotta in una forma non violenta.
Ecoló: Hai parlato di barricate, realmente si trattava di battaglia non-violenta?
Michele: Sì, questo ci tengo a dirlo. Qualche giornale in Italia ha parlato di scontri, non è la verità. Era un gruppo molto arrabbiato, molto resistente, che ha fatto fino all’ultimo disobbedienza civile non violenta per resistere.
Ecoló: Eri presente quando è avvenuto lo sgombero?
Michele: In un modo del tutto inaspettato la stampa era libera di raccontare tutto quello che succedeva. C’era un servizio della polizia che accompagnava i giornalisti nel villaggio, faceva loro fare tutto quello che volevano, quindi ho potuto assistere allo sgombero.
Sono stati richiamati migliaia di poliziotti da tutta la Germania per lo sgombero che è avvenuto per lo più in modo non violento. La violenza c’è stata nella manifestazione del 14 gennaio, una manifestazione aperta, quando Lützerath era già persa. Son arrivate 30 mila persone che hanno cercato di entrare simbolicamente dentro Lützerath che ovviamente non sono riuscite a causa della massiccia presenza delle forze dell’ordine.
È qui che ci sono state cariche della polizia verso manifestanti non violenti che cercavano di rientrare nella fattoria. E’ rimasta una manifestazione non violenta ma le persone cercavano, passo dopo passo, di sfondare i cordoni a protezione di Lützerath.
Ecoló: ti ha colpito che la manifestazione non sia degenearata?
Michele: Sì, mi ha colpito la non violenza perché penso che in Italia dopo 10 minuti sarebbe successo il finimondo. Per la maggior parte degli attivisti l’atteggiamento non era ostile nei confronti della polizia. L’obiettivo non era sconfiggere la polizia, ma evitare che il villaggio fosse evacuato. L’obiettivo era: resistere all’espansione della miniera. Un atteggiamento piuttosto diverso rispetto a quello che ho visto in esperienza radicali in Italia, dove le forze dell’ordine diventano esse stesse l’antagonista.
Ecoló: pensi che sia un tratto distintivo dei movimenti ecologisti?
Michele: Non lo so, in Germania c’è un grande rispetto, in generale. E quindi nonostante ci fosse un conflitto c’era comunque rispetto, a parte nella manifestazione finale che è finita male, con le cariche della polizia sui manifestanti fermi che avanzavano un passo alla volta. Nessuno lanciava niente, Solo mota, non sassi, ma mota, mele e gavettoni.
Ecoló: Hai colto risentimento verso i Verdi tedeschi che, dopo tutto, sono parte del governo e potrebbero fare di più per evitare che si continui a usare carbone?
Michele: C’erano dei cartelli, striscioni contro i Verdi, che evidentemente avevano tradito la causa, questo sì, però devo dire non mi sono soffermato troppo a discutere le scelte politiche. Nei giorni in cui ero io lì, quello che ho avvertito è che l’unica impellente urgenza era quella che la polizia non prendesse quel luogo, non interessava niente di altro. Loro insegnavano alla gente delle tecniche di resistenza civile. Facevano dei workshop riguardo a come rendere complicato essere sgomberati, resistendo in modo non violento.
Ecoló: Per riuscire a tenere sotto controllo una situazione del genere c’era un’organizzazione verticizzata?
Michele: Sicuramente non era una situazione improvvisata. C’erano assemblee, era tutto ben organizzato. Però devo dire che a me l’organizzazione sembrava molto orizzontale, anche se devo dire che, soprattutto per via della lingua, non avevo gli strumenti per capire esattamente tutto quello che succedeva. Probabilmente occorre anche seguire il movimento più a lungo per capirne sia le radici, ma anche come andrà, come continuerà, perché non è finita. Perché la battaglia è persa ma non è finita, il movimento di Lützerath non andrà perso.
La rete tranviaria fiorentina, che sarà completata con il prolungamento verso Bagno a Ripoli e con la linea 4 per le Piagge, esclude la zona sud di Firenze e lascia irrisolto il problema del traffico proveniente dal Chianti (comprese le circa 25mila vetture che ogni giorno arrivano dalla Firenze-Siena).
Sarebbe importante in questa fase discutere della fattibilità di un collegamento tramviario in direzione Chianti. Dare ai fiorentini un’alternativa all’auto è una priorità assoluta se vogliamo, nel giro di pochi anni, abbattere sostanzialmente l’impatto ambientale della nostra comunità.
Allo stesso tempo è importante valutare attentamente quali sarebbero i costi ambientali ed economici dell’opera.
In realtà la Tramvia del Chianti è già esistita, in esercizio dal 1890 al 1935, aveva due capolinea a Firenze, piazza Beccaria e Porta Romana. Sul Poggio Imperiale la linea da piazza Beccaria si si ricongiungeva con il troncone proveniente dal capolinea di Porta Romana. Proseguiva poi per via del Gelsomino – creata appositamente -, le Due Strade, il Galluzzo e Bottai (sotto la Certosa), Tavarnuzze, Falciani. A Falciani si biforcava: a destra il convoglio iniziava la salita per giungere a San Casciano, dove si trovava uno dei due capolinea di arrivo; a sinistra continuava per il Ferrone e il passo dei Pecorai fino a Greve, l’altro capolinea.
Anche all’epoca la costruzione della linea fu preceduta da accese polemiche politiche. Si trattava infatti di un intervento importante, che prevedeva costi significativi e impatti sul territorio non trascurabili.
Famosa la polemica dell’architetto Poggi, ideatore del viale dei Colli. A suo avviso il passaggio della tramvia avrebbe rovinato l’estetica del viale. Tuttavia il favore delle comunità di Greve e San Casciano, e soprattutto l’intervento dell’allora deputato Sidney Sonnino, orientarono la provincia di Firenze alla definitiva approvazione del progetto.
Nel 1917 la Sita avviò un servizio di collegamento motorizzato tra Firenze, Siena e Volterra, con fermate intermedie presso San Casciano. Nei primi anni ’30 la sua concorrenza era ormai insostenibile per costi e tempi di percorrenza. La società di gestione della Tramvia del Chianti fallì e il servizio fu definitivamente soppresso nel 1935.
Nel 2015 uno studio di fattibilità ha rielaborato quella tratta in chiave moderna per valutarne la fattibilità. Il progetto assomiglia molto alla vecchia linea in funzione all’inizio del secolo scorso. La linea avrebbe la funzione di collegare il Galluzzo con il centro di Firenze passando anche dall’ingresso sulla Firenze-Siena e dall’uscita Grassina della A1.
La linea ipotizzata nello studio realizzato dallo studio Aleph prevedeva un solo binario nel tratto finale fra le Due strade e Tavarnuzze e il capolinea in via Paolo Uccello, dove si congiungerebbe alla linea 1 proveniente da Scandicci.
Nel corso della discussione, poco conosciuta al pubblico, che seguì la presentazione del progetto emersero alcune criticità. La prima riguarda il binario unico, che tende ad essere una soluzione poco apprezzata dai collaudatori di linee tramviarie. Altri due importanti interrogativi riguardano la possibilità di non dover sostituire l’alberatura di viale Aleardi e la gestibilità del capolinea alla fermata Paolo Uccello per la quale potrebbe non essere sufficiente lo spazio disponibile.
Al netto di tali difficoltà, la necessità di collegare il Chianti con Firenze, con mezzi che non siano le auto, appare sempre più necessaria. Si tratta di un dibattito interessante e soprattutto urgente che andrebbe sicuramente ripreso nella prossima consiliatura.
Tra le alternative, si potrebbe valutare la possibilità di non avere il capolinea al sud dell’Arno ma di congiungere a Porta al Prato la linea del Chianti con la linea proveniente dalle Piagge.
Senza voler ignorare le questioni tecniche, la volontà di Ecolo’ è sicuramente quella di far tornare questi temi centrali nella progettazione politica circa il futuro della città.”
Le foto del progetto sono gentile concessione di AMToscana, Stefano Ginanneschi.