Il Tirreno ha pubblicato un reportage sul consumo di suolo nella Piana fiorentina. Un approfondimento meritorio da cui emerge un quadro preoccupante. Ma la classifica comparsa sulle pagine del quotidiano lo scorso lunedì 21 novembre fa apparire troppo virtuosi comuni, come quello di Firenze, che pur avendo un territorio già saturo a inizio anni 2000 hanno continuato a costruire in questi anni.
La percentuale riportata da Il Tirreno fa riferimento agli ettari costruiti in più oltre a quelli consumati fino al 2006. In una classifica del genere un comune con 99 ettari su 100 di superficie consumata nel 2006, che avesse consumato anche l’ultimo ettaro disponibile, esaurendo completamente il suo territorio, con un consumo del 100%, risulterebbe più virtuoso del comune di Scandici che, seppur ha consumato 17 ettari di terreno negli ultimi 15 anni, ha un consumo totale di suolo attorno al 25%.
Secondo noi il modo corretto di rappresentare il problema è un altro.
In primo luogo bisogna chiederci in che misura i comuni si sono allontanati dalla prospettiva di consumo zero di suolo. Cioè quanti ettari sono stati consumati in più. Purtroppo il trend è di un maggior consumo di suolo per tutti (quinta colonna della tabella). In secondo luogo occorre domandarci quale percentuale del suolo non ancora consumato nel 2006 è stato sottratto alle sue funzioni ecosistemiche.
Il grafico sotto riporta i valori per comune, mettendo a confronto la misura riportata da Il Tirreno (in blu) con la misura del consumo percentuale di suolo libero (in verde).
Come si inverte il trend? Secondo Ecolo’ è inevitabile, con l’evolvere di un sistema sociale ed economico, che emergano esigenze di consumo di suolo. Nuove scuole, nuove insfrastrutture per il trasporto, nuove esigenze per abitazioni e produzione. Per questo motivo le amministrazione dovrebbero adottare un piano di rinaturalizzazione e ricomplessizzazione ecologica di aree all’interno dei propri territori che riportino in attivo il conto del suolo riguadagnato alle sue funzioni naturali.
Troppo spesso la strategia di riduzione di consumo di suolo è vissuta come una resistenza alla tendenza divoratrice del mercato. Dobbiamo portare nelle istituzione una visione che ribalta la logica e che vede nelle rinaturalizzazione di parte del territorio all’interno delle città un obiettivo strategico fondamentale. Per il pianeta, per la persone che lo abitano.
Come riportato nel dossier ISPRA 2021 ‘Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici – Edizione 2021’, in Italia nel solo anno 2020 nuove coperture artificiali hanno riguardato altri 56.7 kmq, in media quindi 15 ettari al giorno. Il nostro paese perde quasi 2 mq di suolo ogni secondo. La crescita delle superfici artificiali è solo in parte ricompensata dalla ricostituzione e dal ripristino di aree naturali, che si attesta attualmente intorno a soli 5 kmq all’anno. Dobbiamo quindi da una parte ridurre drasticamente il nuovo consumo di suolo, fino ad azzerarlo, e dall’altra far crescere il recupero e la ricreazione di spazi e territori naturali. Purtroppo, nonostante tanti proclami e nonostante indicazioni forti in tal senso anche dalle Istituzioni internazionali (le Nazioni Unite hanno intitolato il decennio 2021-2030 come Decade on Ecosystem Restoration per sottolineare la necessità e l’urgenza di un’azione su questo piano), i segnali positivi continuano ad essere pochi.
A venti anni dal Social Forum Europeo, Firenze ha accolto un importante incontro di convergenza tra centinaia di attivisti, in rappresentanza di più di 150 organizzazioni italiane, europee e internazionali, per discutere di come darsi maggiore forza ed efficacia di fronte alle grandi sfide dell’oggi: la guerra nel nostro continente, il collasso climatico e ambientale, l’inaudita crescita della diseguaglianza, il consenso popolare alla destra estrema, lo svuotamento della democrazia.
Anche Ecolò ha partecipato, attraverso Assemblea Ecologista, la rete di associazioni locali ecologiste di cui fa parte.
Qui in basso riportiamo il discorso per intero.
“Sono Caterina Arciprete, rappresento Assemblea Ecologista, una realtà nata nel 2022 dalla rete tra associazioni politiche ecologiste locali che hanno un comune alcuni aspetti: un forte radicamento locale, il guardare il mondo da una prospettiva ecologista e l’essere orfani di una rappresentanza a livello nazionale che abbia le competenze e la credibilità di costruire – piuttosto che postulare – la transizione ecologica.
Oggi sono 20 anni dal Social Forum Europeo, ma sono anche 50 anni dalla Conferenza di Stoccolma che si è tenuta nel 1972: quella conferenza è stata la prima dell’ONU sull’ambiente umano che metteva sul tavolo due fatti: 1) siamo tutti interdipendenti; 2) ora non vediamo ancora gli effetti, ma stiamo sfruttando l’ambiente in un modo che non è sostenibile e che ci condurrà a scenari catastrofici. Dobbiamo agire.
A 50 anni dalla Conferenza di Stoccolma ed a 20 anni dal Social Forum Europeo, il bilancio è molto negativo.
Per noi il mondo più naturale di rispondere alla domanda: da “come vincere le destre”, è riformularla in “come portare al governo una visione ecologista” visto che anche negli anni passati scelte sbagliate sono state fatte a destra e a sinistra, e proprio dentro quest’ultima abbiamo visto il dramma e l’inutilità dell’aver messo in contrapposizione temi come diritto alla salute e diritto a lavoro. Tutto ciò sempre in chiave estremamente antropocentrica, non riconoscendo mai il diritto alla natura di esistere.
Oggi le evidenze ci fanno capire chiaramente che l’unica prospettiva che guarda al futuro è una prospettiva di tipo ecologista che declina nella sua azione tre aspetti: l’importanza della diversità (la forza di un ecosistema dipende dalla diversità delle specie al suo interno), la legge dell’interdipendenza, la consapevolezza che le risorse sono limitate.
Una prospettiva ecologista, quindi, non è limitata alla visione ambientalista, ma si pone come cornice di metodo e direzione. Una prospettiva ecologista – e progressista – non è fatta dalla somma delle battaglie dei comitati e delle lotte, ma dall’integrazione delle diverse istanze in un’ottica di equilibrio, interdipendenza e valorizzazione della diversità.
Pertanto, è un lavoro faticoso, fatto di dialogo, apertura, cura, concertazione, empatia.
Crediamo che i tempi siano maturi, la necessità della transizione ecologica si sta palesando nelle sue manifestazioni più drammatiche e sta diventando un “valore”, soprattutto tra i ragazzi e le ragazze più giovani. Quindi a noi la responsabilità, da un lato di portare questa visione e questi valori in tutti i luoghi della vita pubblica e della società riappropriandosi di luoghi e spazi lasciati alle destre, dall’altro di lavorare incessantemente affinché la politica faccia un salto, ovvero smetta di tenere insieme i particolari in un equilibrismo precario e di facciata a crei un equilibrio reale tra persone e l’ambiente in cui viviamo.”