Un anno e mezzo fa abbiamo intervistato Jouni Kantola, giornalista fiorentino-finlandese, riguardo all’elezione di Sanna Marin. Oggi, dopo due anni di governo e in concomitanza con la svolta storica della richiesta di ingresso della Finlandia nella NATO, l’abbiamo ricontattato per chiedergli della svolta nella politica di difesa della Finlandia.
ECOLO’: Per prima cosa, come giudichi questi quasi due anni e mezzo di governo della premier finlandese?
E’ difficile giudicare l’operato della premier finlandese e paragonare il lavoro del suo governo a quello dei governi precedenti a causa della pandemia: Marin ha iniziato il suo mandato come primo ministro pochi mesi prima del primo lockdown. Di conseguenza la quasi totalità del suo tempo come primo ministro è stata dedicata all’emergenza sanitaria. C’è poco di “normale” in questo e di paragonabile al lavoro dei suoi predecessori. Detto ciò, Marin ha dimostrato una leadership forte e ha guadagnato un buon consenso fra i cittadini. La disoccupazione è ai minimi storici e l’interesse internazionale nei confronti della Finlandia è tendenzialmente alto, paradossalmente anche grazie alla sua indiscutibilmente bella presenza.
ECOLO’: Parlando del motivo fondamentale di questa seconda intervista, come pensi che stia gestendo l’evoluzione del posizionamento del tuo paese nel panorama geopolitico attuale?
A mio parere la sta gestendo bene. In Finlandia nella politica estera il presidente della repubblica ha un ruolo importante e Marin ha gestito il cambiamento del nostro posizionamento geopolitico insieme con il presidente Niinistö e con il parlamento. E’ curioso che questo modello di gestione degli affari esteri abbia molto a che vedere con “finlandizzazione”, cioè la condizione di neutralità del paese necessaria per mantenere l’indipendenza nei confronti della Russia. Il garante dei nostri rapporti con la Russia dopo la seconda guerra mondiale è stato tradizionalmente il presidente della repubblica, una specie di “uomo approvato” da parte della Russia.
ECOLO’: Non pensi che invece che rafforzare la NATO sarebbe preferibile una forza di difesa europea, scelta che consentirebbe anche di ridurre invece che aumentare le spese militari nel continente?
No, non lo penso. La guerra d’invasione da parte dei russi in Ucraina ha rimosso ogni dubbio riguardo a cosa sia capace la Russia e, dall’altro lato, quale è il destino di un paese che non fa parte dell’alleanza NATO. Rimane solo. Noi finlandesi abbiamo già combattuto contro la Russia da soli nella seconda guerra mondiale e sinceramente se dovesse capitare di affrontare nuovamente la Russia in guerra non mi dispiacerebbe trovare qualche italiano, spagnolo, norvegese, inglese, danese etc accanto ad aiutarci. La NATO è la risposta concreta e credibile che esiste già. Sono a favore di rafforzare una difesa europea in linea con il peso economico dell’UE, però oggi, con Putin che si muove in questo modo, abbiamo bisogno di più garanzie immediate.
ECOLO’: Cosa ti aspetti che succederà ora in Finlandia, sul suo confine est e nella NATO?
Spero niente. L’obiettivo della Finlandia con l’ingresso nella NATO è il mantenimento dello status quo o il limitare al massimo possibili evoluzioni. Vogliamo mantenere la nostra democrazia, istituzioni e cultura e vediamo nella NATO il garante di questo. Non temiamo l’invasione da parte degli svedesi, tedeschi oppure americani, con cui condividiamo anche un patrimonio di valori comuni, istituzioni e idee. La nostra unica minaccia è la Russia. I russi possono essere dei grandi bugiardi, come abbiamo visto, e si ragiona male con uno Zar lanciato verso l’invasione. Ma i russi capiscono la forza: c’è un proverbio russo che si traduce “Prova con la baionetta. Se fosse morbido, spingi, se invece fosse duro, girati e vai via”. Ci tengo a dire che mia nonna dovette lasciare la sua bellissima casa di legno sulla riva del lago Laatokka in Carelia dopo la seconda guerra mondiale insieme a oltre 400.000 altri finlandesi. Dietro alle sue spalle, i russi si accomodarono in casa sua. Abbiamo una memoria. Possono passare tanti anni di pace, ma prima o poi partono all’attacco. Finché non fanno i conti con il loro passato e finché non osano chiedere la democrazia, giustizia, diritti civili e la verità, non ci possiamo fidare. Occorre prendere delle precauzioni.
Presi dall’entusiasmo per l’elezione di Sanna Marin in Finlandia abbiamo intervistato Jouni Kantola, giornalista fiorentino-finlandese e co-amministratore di Berta Film, un’azienda produttrice e distributrice di film documentari e fiction.
ECOLO’ : In Italia ci facciamo spesso prendere da ubriacature di entusiasmo esterofilo, Zapatero, Hollande, Tsipras, che effetto ti fa vedere oggi tanto entusiasmo sulla stampa italiana riguardo alla nuova premier del tuo paese?
Jouni Kantola: L’entusiasmo riguardo al governo finlandese, una coalizione dove i cinque partiti della maggioranza sono tutti guidati da donne, quattro delle quali sotto i 35 anni di età, è stato un entusiasmo mondiale, penso che l’Italia non potesse mancare all’appello. È importante però capire e riconoscere che non si tratta di una messinscena populista: la parità di genere in Finlandia viene da lontano. Nel 1906, la Finlandia fu il secondo paese nel mondo dopo l’Australia a introdurre il suffragio alle donne. La generazione detta ‘millenials’, di cui fanno parte le quattro donne che attualmente guidano i partiti del governo finlandese, è cresciuta con la Presidente Tarja Halonen, che fu la prima donna a ricoprire questa carica dal 2000 al 2012. La parità di genere in Finlandia è nei fatti. C’è un consenso diffuso in Finlandia sul fatto che che Sanna Marin e le sue colleghe ministre occupino le loro cariche politiche non perché sono donne, ma perché sono le persone più qualificate che la nazione ha a disposizione al momento.
ECOLO’ : Vuoi raccontarci qualcosa di Sanna Marin? Come è arrivata così giovane a fare la premier?
Sanna Marin è qualificata, tosta e intelligente. Ha una laurea in scienze dell’amministrazione e ha militato nei giovani del Partito Socialdemocratico Finlandese. Nel 2012 è stata eletta nel Consiglio comunale di Tampere, la terza città Finlandese. Come presidentessa del Consiglio comunale di Tampere dimostra le sue capacità di dirigere gruppi politici, talvolta molto discordanti, arrivando a risultati concreti e comprensibili per i cittadini. Alcune di queste sedute del Consiglio comunale, trasmesse live via internet, diventano virali e aumentano la sua visibilità nazionale. Membro del parlamento finlandese dal 2015 e ministro dei trasporti e delle telecomunicazioni della Finlandia dal 2019, aveva già ricoperto il ruolo di primo ministro durante la malattia del ex-presidente Antti Rinne. Nella vita privata è sposata con un figlio; è cresciuta come figlia di una coppia gay, ovvero due mamme. Nella sua infanzia ha subito una povertà insolita nel contesto finlandese e di conseguenza ha una particolare attenzione riguardo a questioni di povertà. Sulla mappa politica destra-sinistra, Sanna Martin è sulla sinistra anche all’interno del suo stesso partito dei Socialdemocratici.
ECOLO’ : Cosa ti aspetti che possa fare Sanna Marin, al di là del potere simbolico del suo successo, per migliorare la situazione della Finlandia?
JK: Lei deve governare e garantire che il programma di governo sia realizzato, è questo il suo mestiere. La sfida è notevole, perché un pezzo fondamentale del suo governo, il Partito di Centro Finlandese, è in contrapposizione con gli altri elementi della coalizione sulle politiche ambientali e sul mercato di lavoro. Inoltre, eredita una difficile situazione nel mercato di lavoro dal governo precedente di centrodestra, dove i lavoratori hanno dovuto affrontare molti sacrifici. Il programma di governo c’è però, ed è firmato da tutta la coalizione. Lei può essere la garante di questo programma, dovrà riuscire a fare in modo che i voti dei cittadini alle elezioni di Aprile 2019 si traducano in atti.
ECOLO’ : La Finlandia ambisce a emissioni nette zero di C02 entro il 2035, credi che l’impegno del nuovo governo sui temi ecologisti sia credibile?
JK: La Finlandia può sfruttare dei sink biosferici importanti grazie al suo patrimonio forestale che la favorisce nel tentativo di emissioni nette zero, però per arrivare a tale scopo entro 2035, dovremmo vedere cambiamenti radicali subito e su tutti i settori chiave della società: industria, logistica e produzione del riscaldamento ed energia elettrica. Il cambiamento non è stato avviato ancora e perciò le dichiarazioni del governo al giorno di oggi non sono credibili. Detto questo, le elezioni erano ad Aprile 2019 e il termine del governo scade Aprile 2023. Il saldo totale di questa ambizione va visto al termine del mandato, ma è certamente urgente che questo governo passi all’azione.
ECOLO’ : Pensi che il ruolo della donna sia così diverso nella società finlandese rispetto a quella italiana? Oltre a motivi culturali, credi che ci sia qualcosa che le istituzioni potrebbero fare?
JK: L’occupazione femminile in Italia è intorno al50%, penultimo posto in Europa. In Finlandia l’occupazione femminile è intorno al 70%, in crescita. Credo che ci sia l’imbarazzo della scelta fra le politiche che le istituzioni potrebbero mettere in atto per migliorare la parità di genere in questo paese, ma non sono esperto di questa materia. Certamente la gestione dei figli nella coppia e il sostegno reciproco che la società può garantire per entrambi i sessi per evitare l’emarginazione a causa della maternità è fondamentale. Le istituzioni però non esistono in astratto, ma riflettono la cultura e valori del paese. Ecco perché non si scappa: in un contesto in cui la donna non è considerata degna di rappresentare Dio o di partecipare alla massoneria, dove vogliamo andare? Non credo che sia un caso che uno dei fenomeni culturali più importanti di questo decennio – #metoo – ha avuto molta meno visibilità in Italia rispetto a tanti altri paesi dell’Occidente. L’Italia è talmente “sottosviluppata” in materia di pari opportunità che la gente non ha nemmeno capito le sfumature e l’importanza del messaggio #metoo. Si tratta di un contesto troppo distante da quel movimento, qua si sta ancora aspettando di conoscere le prime ortopediche e preti donna. In Finlandia i mezzi di comunicazione di massa sono passati alla lingua genere neutro e monitorano che nelle notizie si dia rappresentanza in pari misura per entrambi i sessi.
ECOLO’ : Come italiani viviamo sempre il complesso di essere culturalmente arretrati rispetto ai paesi scandinavi. Tralasciando il cibo e il vino, c’è qualcosa in cui ti pare che il nostro paese riesca a fare meglio rispetto alla Finlandia?
JK: Io adoro l’Italia e ho scelto di vivere e far crescere i miei figli qua invece che in Finlandia. Credo che questa scelta abbia a che vedere con la qualità di vita, che non si riduce ai soli parametri di indicatori statistici. Italia e Grecia hanno contribuito alla cultura di questo continente in tale misura che possono camminare testa alta ancora a lungo; nonostante le tante difficoltà che ci sono nel paese, bisogna ricordare che ci sono anche tanti centri di eccellenza, innovazione e creatività. Mi rattrista però vedere l’Italia sprecare le sue risorse – come donne, giovani, ricchezze naturali – grazie ai tanti corrotti, vecchi bunga bunga e l’illusione dell’ ‘uomo forte’. Stento a paragonare i due paesi tra di loro, perché le variabili sono troppe e si cade facilmente nella trappola dei luoghi comuni. Però posso dire che in Italia la rete ferroviaria è più avanzata che in Finlandia, dove alta velocità vera non esiste. Avete una cultura urbana squisita con delle città una più bella dell’altra a dimensione umana – grazie all’architettura dei secoli passati. Credo che nella robotica siate avanti e chiaramente nei tradizionali settori italiani come la moda e gastronomia. C’è poi una condivisione intergenerazionale bella in Italia, coi nonni onnipresenti. Noi Finlandesi siamo sparpagliati ovunque nel paese e come si lascia il nido materno all’età di diciott’anni, i legami familiari si rompono spesso troppo bruscamente.
ECOLO’ : grazie mille Jouni per il tuo tempo!
Abbiamo incontrato Beatrice e Michele, due fra i fondatori e leader di Ultima Generazione, un gruppo di attivisti ecologisti convinti che serva creare un’avanguardia consapevole, disposta a rischiare il proprio benessere e la propria libertà, per innescare il cambiamento necessario. Michele è fra gli arrestati in Aprile a seguito di una manifestazione di fronte a un Eni store a Roma.
Ecoló: Ciao, ci parlate un po’ di voi e di come siete arrivati in Ultima Generazione?
Michele: Non so quanto è importante chi sono: una persona abbastanza comune, ho studiato filosofia e insegnato nelle scuole. Gli ultimi mesi li ho passati in montagna, con degli amici, a costruire una comunità agricola. L’esperienza in montagna mi ha aiutato a concentrarmi sul necessario. Sotto il monte Rosa, in montagna, con il freddo, si fa una vita basata sulle necessità in cui si taglia tutto quello che non è strettamente necessario. Ma mentre ero lì, pur nel posto più bello del mondo, continuavo a vedere i segni di come stiamo mandando tutto a puttane, le nostre speranze, quelle delle prossime generazioni, lo vedevo nei boschi conciati male, negli alberi ammalati. Mi sono reso conto che per me quel posto bellissimo non sarebbe potuto essere “casa” finché non avessi affrontato il problema. Così ho rinunciato ad altre ambizioni, come quella di fare un dottorato, e ho co-fondato Ultima Generazione. Ora vivo a Roma perché qui c’è il governo e ci sono le persone con cui dobbiamo parlare.
Beatrice: io ho 29 anni e sono una veterinaria, mi sono laureata nel 2018 e ho conosciuto Extinction Rebellion (XR) nel 2019 quando ho iniziato a realizzare che non avrei potuto avere una vita normale. La mia vita ha avuto un’accelerazione l’anno scorso, dopo la prima ondata del Covid. A quei tempi avevo deciso di iscrivermi ad una scuola di specializzazione. Per la paura di affrontare il futuro mi stavo aggrappando al modello classico in cui cerchi un lavoro un po’ più stabile per avere uno stipendio un po’ più alto. Ma la situazione era diventata ridicola perché stavo facendo una vita assurda: lavoravo 10 ore al giorno per pagare la scuola di specializzazione, solo nei ritagli di tempo riuscivo ad occuparmi di XR, il tutto forse per riuscire un domani ad avere una vita leggermente migliore. Quando siamo andati in montagna, mi sono liberata di tutto ciò che non era essenziale e ho iniziato a liberarmi dalle ansie che sono in realtà autocostruite e non ci permettono di vedere e dare priorità a ciò che è importante ed essenziale.
Ecoló: Nella nostra percezione il vostro movimento è quasi sovrapponibile a Extinction Rebellion, cosa distingue Ultima Generazione e XR?
Michele: Ultima Generazione nasce dentro XR. Il 60% di noi sono stati o sono ancora parte di XR. Dentro XR abbiamo sentito l’esigenza di avere maggiore autonomia nelle strutture organizzative e operative. Ma non solo: con il tempo sono emerse anche delle priorità e una visione differenti rispetto al progetto di XR. C’è stata, quindi, la necessità di creare un’identità differente, questo è avvenuto circa un mese e mezzo fa.
Ecoló: L’esigenza, quindi, è quella di avere strumenti differenti?
Michele: Ci sono due questioni fondamentali. Per prima cosa c’è un tema organizzativo. XR ha una struttura molto decentralizzata e orizzontale. Questo approccio ha dei pregi, ma rende difficile creare un’unità in grado di sostenere un piano strategico comune. Esiste un rischio di frammentazione e dispersione sul territorio che noi vogliamo evitare. Ci ispiriamo al funzionamento delle campagne elettorali americane, dove c’è un nucleo centrale di poche persone e tante persone che si attivano seguendo indicazioni chiare e semplici. Per esempio, guardiamo con interesse alla prima campagna elettorale di Bernie Sanders in cui 10 persone hanno mobilitato e dato direttive molto chiare a centomila persone. Persone che avevano istruzioni. Questo è il tipo di modello che vorremmo seguire.
C’è poi un aspetto culturale. XR ha fatto un lavoro eccezionale recuperando la modalità della disobbedienza civile e l’ha veicolata a migliaia di persone. Però bisogna anche ammettere che le pratiche di XR in molti casi si fa fatica a chiamarle veramente disobbedienza civile. Noi siamo convinti che per mobilitare più persone, che magari abbracceranno modalità di lotta meno radicali, c’è bisogno di una minoranza di persone disposte a tutto e che hanno una visione chiara di qual è il tipo di sacrificio che questo richiede.
Se non mobilitiamo una minoranza di persone che sono disposte al sacrificio, così come successo ai nostri nonni o come succede in tanti luoghi nel sud del mondo dove i movimenti di disobbedienza civile sono in grado di rovesciare dittatori, allora sarà difficile che tantissime persone possano essere ispirate a fare un passo avanti. Questo è quello che stiamo cercando di realizzare con Ultima Generazione e una rete di altri novi movimenti nazionali sparsi per l’Europa.
Ecoló: Hai fatto riferimento ad altri paesi, quindi Ultima Generazione è collegata ad altre realtà nel mondo?
Beatrice: Sì, siamo una rete di 10 movimenti europei, ci chiamiamo A22 perché esistiamo dal mese scorso, Aprile 2022, abbiamo dato vita ad azioni sincrone di disobbedienza civile coordinata e ad oggi condividiamo sia il supporto finanziario che la comunicazione e le richieste, siamo una rete che fornisce supporto.
Ecoló: Avete parlato di strumenti più estremi rispetto a quelli di XR. Il nostro punto di vista è che la non violenza sia un elemento fondante della visione ecologista. Vorremmo chiedervi se condividete questa visione e se all’interno di Ultima Generazione c’è un dibattito riguardo all’utilizzo di strumenti come il sabotaggio.
Michele: Non so se esiste un dibattito, non prendiamo queste decisioni in modo orizzontale. Posso dirti quello che penso io. Su questo riprendo la visione di XR che ha redatto un manuale riguardo la possibilità di danneggiare una proprietà privata. Ci sono regole molto strette che lo prevedono a patto che si prendano una serie di precauzioni: non solo deve essere certo che nessuno si farà male, ma deve anche essere garantito che nessuno si spaventerà.
Beatrice: Ovviamente noi non prendiamo in considerazione né pianifichiamo azioni violente. Per noi la non-violenza è un elemento strategico della nostra azione. Il sabotaggio però può rientrare fra le tattiche non violente. In Germania, ad esempio, ci sono stati attivisti che hanno chiuso, senza danneggiarli, dei rubinetti della rete di petrolio, non so se è sabotaggio, ma sicuramente non è violenza. Non stai nemmeno manomettendo un’infrastruttura in modo permanente. Ma ovviamente che cosa sia violento è anche una valutazione soggettiva, anche un blocco stradale può essere considerato una forma di violenza da parte di qualcuno.
Ecoló: Noi contestiamo ai partiti tradizionali la mancanza di responsabilità verso le comunità che dovrebbero rappresentare. Per noi la relazione dialettica e responsabile fra leadership e comunità è un valore da recuperare. Volete dirci di più su questa idea di modello organizzativo in cui un gruppo ristretto dà direttive? Perché ci vediamo delle criticità.
Michele: È un tema fondamentale. Secondo noi non si può decentralizzare in modo efficace se prima non hai costruito un’organizzazione centrale e un piano. Un’organizzazione basata su molti gruppi autonomi finisce sistematicamente per cadere nel meccanismo del doppio conflitto. Ci si trova in disaccordo su qualcosa, ma non siamo nemmeno d’accordo su chi debba risolvere questo conflitto prendendo una decisione. Questa è un’esperienza raccontata molto efficacemente nel testo “La tirannia dell’assenza di struttura” scritto da Jo Freeman, una femminista e scrittrice americana. I grandi movimenti di resistenza civile non si basavano su assemblee, ma su una leadership. Il problema non è il leader ma quando questi si sconnettono dalla loro comunità. La questione è quindi chi è il leader e se è degno e ha l’umiltà per svolgere quel ruolo. Il ruolo non è fare il leader d’azienda, ma mettere in pratica un piano. Le persone che si avvicinano a Ultima Generazione credono nel progetto e si fidano della leadership e… sorpresa, sorpresa… non hanno voglia di fare 40 assemblee a settimana per definire il progetto. La gente ha voglia di lavorare al progetto. L’idea che “nessuno può dirmi cosa devo fare nel mio spazio” non è un’idea popolare, è un’idea borghese.
Beatrice: vorrei parlare della mia esperienza. Anche XR in realtà ha un modello semi-centralizzato in cui il gruppo strategico ha definito una serie di cose. In Italia non c’è mai stato un gruppo strategico sicuramente anche a causa della pandemia. Noi pensiamo che questa mancanza abbia in parte limitato l’efficacia dell’azione di XR Italia. La sensazione è che ogni gruppo proceda in ordine sparso. Ancora oggi ci troviamo di fronte a questo problema perché, ora che siamo fuori e cerchiamo di lavorare con XR, non riusciamo ad avere un interlocutore che sia in grado di prendere decisioni riguardo ad azioni comuni. Noi abbiamo poco tempo, due anni, e non possiamo aspettare un mese per ogni decisione. Anche se personalmente mi sento scomoda in questa posizione di leadership, devo dire che apprezzo sempre di più i pregi che la nostra organizzazione porta con sé.
È anche importante per me che in questo modo la dinamica di potere è esplicitata. In tutti i movimenti orizzontali il potere di prendere certe decisioni c’è. Anche quando non è esplicitato ed anche quando è esercitato non prendendo una decisione. Non ne faccio una questione di cattiva fede. Ma occorre riconoscere che spesso nelle organizzazioni orizzontali esiste una leadership implicita che prende decisioni senza assumersi la responsabilità del ruolo. Quando ci confrontiamo con tutti i comitati e i collettivi marxisti e di estrema sinistra questo è particolarmente evidente. C’è sempre questo feticismo della decisione collettiva in assemblea e poi nella sostanza ti ritrovi quattro persone, generalmente uomini di mezza età, che parlano 25 minuti a testa e la maggior parte della gente sta zitta. Questo per me non è potere diffuso. È una centralizzazione mascherata che unita alla disorganizzazione finisce anche per essere completamente inconcludente.
Ecoló: Quindi esiste un gruppo strategico. Come funzionate?
Michele: ad oggi siamo quattro. È difficile trovare qualcuno che sia disposto ad assumere un impegno di 12 ore al giorno.
Beatrice: per quanto mi riguarda il mio ruolo nel gruppo strategico è dovuto principalmente alla disponibilità di tempo. Siamo persone che hanno deciso di cancellare la propria vita per dedicarsi a questo.
Ecoló: Come si sostiene economicamente un gruppo di persone che lavorano a tempo pieno come militanti?
Michele: Abbiamo un crowdfunding, la gestione finanziaria è centralizzata fra i 10 movimenti. Inoltre lavoriamo a stretto contatto con finanziatori e influencer. Ci sono sempre più persone che stanno capendo quanto è grave la situazione. Ma viste anche le spese legali che dovremo affrontare ci serve l’aiuto di tutti e invitiamo chi legge a darci una mano (in fondo all’articolo trovate il link).
Ecoló: Vorremmo chiedervi proprio delle vicende giudiziarie che coinvolgono tre di voi di cui sorprendentemente si è parlato pochissimo sui media. Volete spiegarci cosa è successo?
Beatrice: abbiamo fatto una serie di azioni contro l’ENI. Abbiamo iniziato dall’Eur e poi ci siamo spostati verso gli ENI Store sparsi per Roma. Sono azioni di imbrattamento e microdanneggiamento. Questo danneggiamento alla vetrina, ad esempio, è stato fatto in modo simbolico evitando accuratamente una crepa che avrebbe potuto far crollare la vetrina e far male a qualcuno. Un’azione simbolica che vuole mostrare anche la sproporzione fra i danni che possiamo fare a ENI a confronto con i danni che ENI fa a noi.
Michele: Siamo stati arrestati Io, Laura e Chloe, il 20 Aprile. Andremo a processo il 15 Settembre.
Ecoló: Che cosa vi contestano?
Michele: Violenza privata, danneggiamento e possesso illecito di armi. L’unica sensata è la seconda. È vero, c’è stato un danneggiamento. Violenza privata assolutamente no. Armi… non so. Se esci di casa con uno scalpello, scalfisci una vetrina e lo appoggi a terra quando si avvicina qualcuno è un possesso illecito di armi? Vorrei far notare che non è ENI che ci ha denunciato. Il PM ha chiesto l’obbligo di firma tre volte alla settimana ma il giudice ha rifiutato.
Devo anche dire che sono rimasto colpito da quanto il giudice mi ha fatto parlare della crisi climatica: mi sono sentito ascoltato.
Beatrice: l’arresto non è arrivato alla prima azione ma alla quarta. All’inizio ci sono stati solo fermi e denunce. Si è verificato quanto già successo a febbraio quando siamo andati ripetutamente ad imbrattare il ministero della transizione ecologica fino a che le forza dell’ordine hanno reagito. Credo che la frustrazione che innesca la reazione sia in buona misura ottenuta attraverso una ripetizione prolungata dell’azione di protesta.
Michele: Vorrei aggiungere che questa nostra esperienza con l’arresto e il processo è solo un barlume di quello che è per noi la disobbedienza civile. Noi in occidente concepiamo la non violenza come una forma pacifica e difensiva. Non è così. I grandi modelli di disobbedienza civile sono piazza Tahrir e la Marcia dei bambini fra Birmingham e Selma del 1963. Disobbedienza civile non è fare una manifestazione ogni sei mesi e poi tornare nel proprio mondo di privilegi. Avremo bisogno di tante persone che non hanno paura. Le grandi rivoluzioni sono state fatte da persone che erano consapevoli dei rischi che correvano.
I nostri figli in Italia rischiano di morire di fame in ogni caso. E noi stiamo qui a dire a noi stessi che non possiamo rinunciare ai nostri privilegi?
Ultima Generazione ha richieste molto chiare per il governo e per le sue aziende, ma non proponiamo una retorica in cui loro sono cattivi e gli altri sono buoni. Il conflitto è orizzontale. Io sono qui a scagliarmi contro l’opinione pubblica ipocrita della sinistra e degli ambientalisti che fanno una marcia ogni sei mesi. Dovrebbero guardare i propri figli e dire loro: “tu stai per morire e io faccio una marcia ogni sei mesi e firmo le petizioni”. Noi non diciamo “quanto è cattivo Draghi”, noi consideriamo veri assassini delle generazioni future i cittadini e soprattutto quelli politicamente attivi che non prendono sul serio la drammaticità della situazione.
Non stiamo veramente combattendo, sono tutte scuse. Hannah Arendt diceva “ci sono due cose che fai davanti a un genocidio: o ti ribelli o sei complice”.
La maggior parte degli attivisti oggi è complice.
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È possibile sostenere Ultima Generazione con una donazione a questo link: https://www.produzionidalbasso.com/project/ultima-generazione-assemblee-ora/ .
A22 è una rete di movimenti europei diffusa in 10 paesi:
ITALIA https://www.ultima-generazione.com/
INGHILTERRA https://juststopoil.org/
GERMANIA https://letztegeneration.de/
CANADA https://save-old-growth.ca/
AUSTRALIA https://fireproof.news/
STATI UNITI https://www.declareemergency.org/
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