Ecoló ha presentato alcune proposte per il nuovo Piano Operativo Comunale (POC) di Sesto Fiorentino, che avrà il compito di individuare gli interventi da realizzare nei prossimi cinque anni a livello urbanistico. A questo link potete scaricare il file con tutte le nostre proposte, che possono essere riassunte in quattro linee di azione: il centro cittadino, Sesto “sotto il treno”, il sistema dei parchi, l’Osmannoro.
Il centro cittadino:
Sesto è una città relativamente giovane, e fino a due secoli fa non aveva un centro urbano definito, bensì si sviluppava attraverso una moltitudine di micro-borghi. La proposta di Ecolò coniuga tradizione e innovazione, e punta a valorizzare gli spazi pubblici, seguendo il positivo e fortunato caso di piazza IV Novembre, divenuta piazza popolare e fruita dalla cittadinanza. Oltre al centro, tutti i quartieri cosiddetti periferici (Neto, Quinto Basso, l’area Sud Ferrovia -Padule e Zambra- etc.), dove è prevalente l’edilizia residenziale ma c’è anche un’importante rete di spazi verdi, devono essere ripensati e integrati nel tessuto urbano. Proposte operative:
Sesto “sotto il treno”:
L’area “sotto il treno” è sicuramente fra le più interessanti dal punto di vista urbanistico, ma anche fra le più difficili. I quartieri di Padule, San Lorenzo, Zambra, fino ai più recenti insediamenti sorti lungo via Pasolini sono fra i meno compiuti del disegno urbano di Sesto. Questi quartieri meritano di essere dotati di servizi e spazi adeguati, e il modo di farlo secondo noi c’è. Proposte operative:
Il sistema dei parchi:
Per il sistema dei parchi, che comprende la Piana, le Colline e Monte Morello, Ecolò presenta numerosi proposte operative, che vanno dalla ridefinizione e tutela delle aree agricole intercluse e di margine alla costituzione di un Distretto Biologico integrato, in collaborazione con il comune di Calenzano e revisione del progetto di parco delle Colline e sua definizione in Parco Agricolo.
Tutto ciò dovrà essere adeguatamente monitorato da un apposito Sportello Verde multifunzionale, struttura tecnica che immaginiamo sentinella e “tutor” per gli abitanti del territorio per i temi ambientali, rurali, energetici e forestali. Abbiamo inoltre proposto la realizzazione di un nuovo ambiente umido nella porzione sud della Piana sestese ad ulteriore tutela ed accrescimento della biodiversità.
L’Osmannoro:
Tra le aree maggiormente problematiche vi è certamente quella industriale dell’Osmannoro, dove l’eccessiva crescita del tessuto urbano-industriale ha causato notevoli danni ambientali e sociali. La nostra proposta punta alla creazione di un distretto industriale sostenibile, facendo dell’Osmannoro il fiore all’occhiello della realtà economica della piana. Proposte operative:
Auspichiamo che le nostre proposte operative vengano accolte e trovino il giusto spazio nell’azione di governo del territorio. Se vogliamo portare avanti una reale transizione ecologica sono necessarie scelte di pianificazione urbana che segnino un cambio di passo. La città va restituita al territorio, un unico organismo in cui quartieri urbani, boschi, campagne e aree naturali devono essere progettati insieme per poter respirare e crescere.
Le recenti indagini della Dda di Firenze su sospette connivenze tra ‘ndrangheta, tessuto economico e politico hanno lambito le istituzioni regionali della Toscana (Giunta, Consiglio, Direzione Ambiente ed Energia), intaccando la fiducia dei cittadini verso queste, i propri rappresentanti e la trasparenza dei processi decisionali.
Per recuperare un rapporto di fiducia tra politica e cittadini e fare muro contro i tentativi di infiltrazione criminale, bisogna regolamentare le attività di lobby/rappresentanza di interessi particolari presso le istituzioni, di per sé componente legittima dei sistemi democratici, offrendo così ai cittadini e ad altri gruppi di interesse la possibilità di monitorare tali attività e l’operato dei decisori pubblici, al riparo da ogni ambiguità e opacità.
È vero che la Toscana è stata precursore nell’ambito della normativa sulla trasparenza dell’attività politica e amministrativa, in particolare con la Legge regionale 18 gennaio 2002, n. 5, ma l’esperienza applicativa ne ha rese evidenti le lacune.
Perciò rivolgiamo un appello al Presidente, ai vicepresidenti e ai Consiglieri regionali tutti, affinché il Consiglio modifichi la Legge regionale 18 gennaio 2002, n. 5 per regolare con maggiore trasparenza e puntualità i rapporti istituzionali con i gruppi di pressione/lobby, in particolare prevedendo l’obbligo per i Consiglieri regionali, gli Assessori regionali, i Dirigenti della macchina amministrativa e i membri del relativo staff di rendere pubblici i dettagli degli incontri con organizzazioni o liberi professionisti nell’esercizio delle proprie funzioni, e la tenuta di un registro pubblico degli accessi alle sedi istituzionali.
Solo una piena presa di coscienza e l’immediata capacità di reazione da parte di cittadini e istituzioni potranno mettere al riparo la nostra Toscana da infiltrazioni malavitose e pressioni illecite su economia e politica. Non possiamo rimandare neanche di un minuto.
Da un’idea di Volt Toscana, col sostegno di Ecolobby e di Ecolò.
Potete firmare l’appello a questo link.
La raccolta firme è aperta all’adesione di tutte le realtà politiche e associative e a tutti i privati cittadini che hanno a cuore la nostra Regione. Grazie
Spett.le REGIONE TOSCANA Direzione Ambiente ed Energia
Gentilissimi,
vi scriviamo a proposito del progetto che dovrete giudicare di parco eolico a Villore.
Non vogliamo entrare nello specifico della vicenda, che non ci compete.
Vi chiediamo però di valutare i seguenti aspetti di tipo generale, che vediamo troppo spesso non tenuti di conto.
Certi che terrete in debito conto di questi importanti aspetti,
Vi porgiamo
Cordiali Saluti
Associazione ECOLO’ Firenze
Associazione ECOLOBBY
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[2] Lo studio originale è disponibile qui: https://www.ourenergypolicy.org/wp-content/uploads/2014/06/turbines.pdf
[3] Un riassunto in italiano è disponibile qui: https://www.rinnovabili.it/energia/eolico/eolico-ciclo-di-vita-turbina-666/
[4] Ovviamente la tecnologica di produzione dell’eolico è in forte evoluzione ma recenti studi confermano questo dato: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0959652620334302
Apprendiamo con profondo dolore che oggi pomeriggio è venuta a mancare Elena Pulcini, compagna di viaggio nella nostra esperienza nei Verdi Fiorentini.
Filosofa sociale all’Università di Firenze è sempre stata attenta ai temi delle trasformazioni dei legami sociali. Nel nostro comune cammino ha portato con sé competenza, rispetto e un forte imperativo nel cercare di coniugare i grandi temi e l’ecologia.
La ricordiamo con le sue parole:
“C’è un nesso tra responsabilità e sostenibilità che ci coinvolge anche sul piano individuale. Oggi non possiamo più soltanto delegare, come facciamo con il voto, ma dobbiamo farci carico in prima persona di quello che sta succedendo, se non vogliamo rischiare di perdere il futuro. Stiamo rischiando la perdita del mondo, come diceva Hannah Arendt e oggi ci si chiede come sia possibile che l’azione umana sia sfociata in questo paradosso incredibile, che è quello di aver creato le condizioni della propria distruzione.”
Il 9 Marzo alla Camera dei deputati è stata costituita una nuova componente del gruppo misto: “FacciamoEco”. Ad animarla Lorenzo Fioramonti (ex ministro dell’istruzione proveniente da M5S), Rossella Muroni (già presidente di Legambiente, uscita da LEU) e Alessandro Fusacchia (eletto con +Europa). L’intento dei tre parlamentari è quello di riportare in parlamento le istanze ecologiste mettendole al centro del dibattito e fungendo da tramite tra le istituzioni, la società civile e l’associazionismo ecologista.
Conosciamo bene le qualità e l’impegno ecologista di Rossella Muroni e Lorenzo Fioramonti e abbiamo conosciuto Alessandro Fusacchia per il suo impegno con “Priorità alla scuola”, quindi non possiamo che salutare con entusiasmo questa iniziativa. Da tempo sentivamo la necessità di una rappresentanza del mondo ecologista in parlamento, con la scomparsa dei Verdi dal parlamento italiano oltre 10 anni fa, nessuno ha rappresentato in modo centrale ed esclusivo i temi e le priorità ecologiche.
Per poter costituire ex novo una componente parlamentare alla Camera è necessario radunare un gruppo di almeno 10 onorevoli. In caso contrario è possibile costituirla anche con un minimo di tre deputati, se ci si appoggia a un simbolo presentato alle più recenti elezioni politiche nazionali. FacciamoEco, inizialmente costituita solo da tre deputati, ha scelto di cercare la collaborazione della Federazione dei Verdi, che si era presentata alle ultime politiche in una coalizione chiamata “Insieme”.
Molti di noi provengono dai Verdi italiani e quindi uno degli aspetti che ci interessa di questa iniziativa è proprio la relazione con la Federazione dei Verdi. FacciamoEco entrerà nella Federazione? Entrerà in “Europa Verde” (un contenitore partorito da un processo politico tutt’altro che trasparente e inclusivo dalla stessa Federazione)? C’è il rischio che venga fagocitato da un modo di fare politica dal quale ci siamo convintamente allontanati?
Oppure FacciamoEco raccoglierà associazioni e individui sul territorio per costituire una “federazione di associazioni”? Un movimento di persone ed esperienze che dialogherà alla pari con la Federazione dei Verdi per giungere a costituire un nuovo partito? E in che modo e attraverso quali strumenti sarà possibile farlo? I contatti che abbiamo avuto con i protagonisti di questo processo non hanno ancora sciolto tutti questi dubbi.
D’altro canto, Ecoló è un’associazione di persone in carne e ossa che operano sul territorio con l’ambizione di essere un tassello del futuro partito ecologista italiano, perciò l’occasione offerta da Muroni-Fioramonti-Fusacchia sembra troppo preziosa per non provare a dare il nostro contribuito allo sviluppo e alla riuscita dell’iniziativa. Se FacciamoEco riuscirà a innescare un processo inclusivo di aggregazione delle realtà ecologiste italiane, noi ci saremo.
Buon lavoro FacciamoEco!
Exctinction Rebellion è il movimento globale che non vuole arrendersi all’idea che il collasso ecologico sia inevitabile. Nato tre anni fa in Regno Unito si è diffuso in Italia e oggi è presente anche a Firenze. Gaia Pedrolli e Alberto Distefano, entrambi attivisti di XR Firenze, ce ne svelano la filosofia e la modalità d’azione.
Ecoló: XR è nato nel Regno Unito nel 2018, qual è lo stato del movimento oggi in Europa e nel mondo?
XR: Il movimento è in continua crescita, attualmente ha più di 1200 gruppi locali in 75 paesi. In Italia ci sono circa 30 gruppi locali. L’organizzazione di XR ci ha permesso di rimanere attivi anche durante i lockdown, spostando in parte l’attività sul web per programmare azioni sul territorio quando sarebbero diventate possibili. Malgrado le difficoltà logistiche è stata organizzata una Ribellione internazionale a settembre/ottobre che ha coinvolto tutti i paesi in cui l’organizzazione è presente.
Anche in questo momento siamo attivi sia online, con iniziative di informazione/formazione, sia sul territorio programmando e realizzando azioni.
In Toscana, oltre a partecipare alla Ribellione di ottobre a Roma, in questi mesi abbiamo organizzato una campagna per la tutela del Parco di Migliarino-San Rossore, nata per la revisione del PIT Regionale, delle iniziative per la chiusura delle cave nelle Apuane e stiamo progettando una campagna per l’istituzione di Assemblee cittadine sull’utilizzo dei fondi Next Generation EU nella nostra regione.
Ecoló: Uno dei concetti chiave alla base delle vostre rivendicazioni è l’affermazione di una cultura rigenerativa, potresti spiegarci meglio di cosa si tratta?
XR: La cultura rigenerativa è uno dei cardini di XR. L’attuale sistema politico-economico sta distruggendo la vita sulla terra ed è profondamente ingiusto, però tutti ne siamo parte, e se vogliamo davvero creare un mondo adatto alle generazioni future è necessario agire per il cambiamento, un cambiamento che coinvolga anche ciascuno di noi. La cultura rigenerativa si manifesta in quattro dimensioni: la prima è prendersi cura di sé stessi; la seconda è prendersi cura uno dell’altra (anche durante le azioni); la terza riguarda le modalità con cui interagiamo con la comunità, in primis la nostra comunità di Extinction Rebellion ma anche la comunità a cui apparteniamo; la quarta è la connessione con la natura, un aspetto fondativo del nostro movimento.
Crediamo che sia fondamentale modificare il modo di cui ci rapportiamo gli uni con gli altri, per questo non solo le nostre azioni sono sempre nonviolente ma tutto ciò che contraddistingue il movimento: come comunichiamo, come siamo organizzati, come agiamo.
Ecoló: Quali strumenti di lotta e protesta ritenete siano più efficaci per contrastare il cambiamento climatico?
XR: Ci teniamo a sottolineare che non esiste solo la crisi climatica, ma che siamo in mezzo ad un’altra crisi, interconnessa con quella climatica e se possibile ancor più grave: la drammatica riduzione della biodiversità. Vanno affrontate entrambe con grande urgenza. Decenni di attivismo ecologista hanno purtroppo dimostrato che le strategie finora adottate non sono riuscite a risolvere il problema: la crisi climatica ed ecologica stanno accelerando e niente sembra arrestarle. Questo perché, per quanto ampie e diffuse, le azioni portate avanti finora non sono riuscite a incidere significativamente sulle scelte politiche. Ci sono stati dei successi locali, ed anche alcuni successi globali, ma non si è riusciti a incidere veramente sui processi che sono alla base di queste crisi. Noi pensiamo che la crisi sia anche una crisi politica, di rappresentanza, in cui i politici sono troppo condizionati dalla ricerca del consenso e dagli obiettivi a breve termine. C’è però una speranza: ricerche socio-politiche hanno dimostrato che laddove i movimenti di protesta sono riusciti a coinvolgere attivamente una percentuale significativa della popolazione (si parla di almeno il 3,5% della popolazione) è stato possibile modificare radicalmente lo status quo, e questo ha funzionato più efficacemente per movimenti che hanno scelto di adottare la disobbedienza civile nonviolenta. Anche per queste ragioni, oltre che per un’adesione ai valori della nonviolenza, Extinction Rebellion ha deciso di utilizzare l’azione diretta nonviolenta come strumento di pressione sui governi e di acquisizione dell’appoggio della popolazione.
Ecoló: XR parla spesso di ecofascismo, ma cosa intendete con questo termine?
XR: Sappiamo che se non si interviene radicalmente e repentinamente le crisi climatica ed ecologica avranno effetti sempre più devastanti, e determineranno drammatiche conseguenze sociali ed economiche, come stiamo già sperimentando con l’attuale crisi pandemica.
Questo sovrapporsi di emergenze produce paura e angoscia verso il futuro, e potrebbe indurre le persone ad andare nel panico e a reclamare interventi decisi ed autoritari, interventi che a loro volta acuirebbero i contrasti sociali rendendo la transizione ecologica invisa alla popolazione. A questo ci si riferisce con ecofascismo, la situazione che viene presentata ad esempio nella distopia rappresentata dalla serie TV “La barriera”.
Extinction Rebellion pensa invece che a queste crisi le società debbano rispondere con più democrazia, modificando dal basso il sistema tossico che le ha determinate, adottando scelte condivise e rispettando il principio della giustizia climatica ed ecologica. È quanto già Alex Langer pensava un quarto di secolo fa quando affermava che “la conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile”.
Ecoló: Come prende decisioni Extinction Rebellion? Come garantisce democrazia e trasparenza?
XR: Il modello organizzativo di Extinction Rebellion si basa su autonomia e decentralizzazione. Creiamo collettivamente le strutture di cui abbiamo bisogno, all’interno delle quali esistono dei ruoli chiari e definiti. Per cercare di contrastare gli effetti tossici del potere i ruoli di responsabilità vengono ricoperti solo per un periodo di tempo definito, solitamente sei mesi, e poi ci si alterna a rotazione.
Le decisioni non vengono prese in un regime assembleare, ma ogni struttura ha piena responsabilità del proprio mandato e totale autonomia relativamente alle modalità per raggiungerlo, purché si muova all’interno dei valori di Extinction Rebellion. Le diverse strutture interagiscono fra loro al fine di conseguire gli obiettivi del movimento. È un’organizazione non orizzontale, ma a rete, con tanti cerchi autonomi che interagiscono fra loro, che favorisce l’assunzione di responsabilità, l’autonomia e la crescita di consapevolezza di ciascuno.
Ecoló: In cosa differisce da Fridays For Future e in che rapporto sono i due movimenti?
XR: Fridays For Future è un movimento che nasce fra gli studenti delle scuole superiori, che agiscono soprattutto attraverso gli scioperi del venerdì. Extinction Rebellion è un movimento al quale partecipano persone delle più diverse fasce di età, e dove ognuno apporta il proprio contributo in base a quelle che sono le propria disponibilità di tempo, le proprie inclinazioni e la propria propensione al rischio. Al cuore dell’attività di Extinction Rebellion c’è la disobbedienza civile che si esercita attraverso le azioni dirette nonviolente, ma anche chi non è disponibile a partecipare a questo tipo di iniziative può dare il proprio contributo, sostenendo chi partecipa alle azioni, svolgendo attività di promozione per allargare le fila del movimento, facendo presentazioni per aumentare la consapevolezza della popolazione sulla gravità dell’emergenza che stiamo attraversando. In Extinction Rebellion c’è posto per tutti quelli che aderiscono ai valori del movimento.
Ecoló: Cosa rimproveri alla politica dei partiti in Italia e in Europa?
XR: Sono sotto gli occhi di tutti i decenni di inazione nei confronti dell’emergenza climatica ed ecologica, che le hanno rese sempre più gravi e difficili da risolvere. La democrazia rappresentativa così come la conosciamo ha fallito e non è riuscita ad affrontare la sfida più grande, malgrado le roadmap e le COP che si sono susseguite di anno in anno, che hanno saputo produrre solo vuoti accordi non vincolanti.
È un sistema che produce enormi disuguaglianze e ingiustizie, ma la politica non ha mai espresso la volontà di metterlo minimamente in discussione, perché affonda le proprie fondamenta in una cultura estrattivista e patriarcale basata sulla competizione, la conquista e l’oppressione dell’altro.
Siamo tutti parte e all’interno di questo sistema tossico, e riteniamo che nessun singolo individuo sia da incolpare o biasimare, ma che siano da cambiare alla radice le strutture della società e i pilastri del potere.
Ecoló: Cosa dobbiamo aspettarci da voi in Italia e a Firenze per il prossimo futuro?
XR: Ci vedrete per le strade in occasione della ribellione di primavera, a partire dal Global Climate Strike del 19 marzo indetto da Fridays For Future, al quale parteciperemo alla nostra maniera.
In questo periodo stiamo organizzando un’assemblea di cittadini a livello toscano, in collaborazione con altre realtà dell’ecologismo locale e con organizzazioni che promuovono la democrazia partecipativa, al fine di permettere ai cittadini di dire la loro sulla destinazione dei fondi Next Generation EU che verranno spesi nel nostro territorio.
Ecoló: Grazie del vostro tempo!
Gaia Pedrolli è insegnante e attivista di Extinction Rebellion. Alberto Distefano è medico e attivista di Extinction Rebellion.
Spauracchio elettorale della destra, proposta in modo spesso non convinto dalla sinistra l’imposta patrimoniale rimane un tabù per il sistema fiscale italiano. Per cercare di capire e andare oltre gli slogan abbiamo intervistato Letizia Ravagli, ricercatrice dell’IRPET e fra gli autori del recente studio “È giunto il momento di una patrimoniale?”
Ecoló: Ciao Letizia, grazie per la tua disponibilità. La patrimoniale è spesso usata come spauracchio dalla destra, talvolta proposta, con poca convinzione dalla sinistra, la “tassa sui ricchi” rimane per tanti un oggetto misterioso. Ci puoi per prima cosa spiegare cosa si intende veramente quando si parla di “imposta patrimoniale”?
Letizia Ravagli: Una patrimoniale è un prelievo imposto sul possesso di patrimonio. Può gravare su un singolo cespite, come una casa o un deposito bancario, o sull’intero patrimonio di un individuo o di una famiglia. Può essere proporzionale o progressiva rispetto al valore del patrimonio, di natura ricorrente o straordinaria.
Ecoló: Qual è la logica economica che giustifica questo prelievo?
LR: Dal punto di vista economico, l’imposizione di una patrimoniale è giustificabile da ragioni di equità. L’imposta sul patrimonio è, infatti, un modo per ridurre la disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza tra gli individui. Nelle fasi di grave crisi economica, come quella che stiamo vivendo dopo l’insorgere della pandemia da Covid-19, una patrimoniale può essere giustificata come soluzione di emergenza per reperire risorse pubbliche.
Ecoló: Alcuni dicono che la patrimoniale è ingiusta perché i risparmi sono reddito non speso e il reddito è già stato tassato al momento in cui viene percepito. Sei d’accordo?
LR: Una patrimoniale genera una doppia imposizione, ma questo non significa che sia ingiusta. Nei paesi in cui la tassazione sul reddito personale non redistribuisce adeguatamente le risorse dai ricchi ai poveri e dove le imposte sui redditi da capitale sono basse una patrimoniale può rendere l’intero sistema fiscale più equo.
Ecoló: In Italia è mai esistita una qualche forma di prelievo sui patrimoni? Cosa succede negli altri paese del mondo?
LR: In Italia esistono molteplici imposte sul patrimonio, tra le quali l’IMU-l’imposta municipale sugli immobili- e l’imposta di bollo su depositi, conti correnti e attività finanziarie. Complessivamente, generano un gettito di circa 43,6 miliardi di euro, pari al 2,5% del PIL. Non esiste, invece, un’ imposta sulla ricchezza totale netta individuale. Non va molto diversamente negli altri paesi europei che impongono patrimoniali sui singoli cespiti ma solo in tre casi- Norvegia, Spagna e Svizzera- prevedono un’imposta sulla ricchezza totale netta individuale.
Ecoló: La proposta di patrimoniale è stata spesso avanzata per porre un freno alla crescente disuguaglianza. Ci puoi dare un’idea di come sia realmente cambiata la disuguaglianza negli ultimi anni in Italia e in Toscana in particolare?
LR: Quello che abbiamo più volte osservato nei nostri studi è che, in Italia, la crisi economica del 2008 ha avuto effetti diseguali sui redditi delle famiglie, colpendo le più povere in misura maggiore rispetto alle più ricche. La fase di leggera ripresa degli ultimi anni, prima della pandemia, all’opposto ha favorito più i ricchi che i poveri. La disuguaglianza è, quindi, cresciuta e questo anche in Toscana, una regione che da sempre si è contraddistinta per livelli di disuguaglianza contenuti.
Ecoló: Nello studio che avete da poco pubblicato valutate più di un’ipotesi di imposta patrimoniale in che modo differiscono l’una dall’altra? In come modo sono considerati gli immobili e in particolare la “prima casa”?
LR: Ne abbiamo valutate tre. Due sono state proposte in seguito alla crisi economica generata dalla pandemia. Quella di Guido Ortona, professore di politica economica dell’Università del Piemonte Orientale, prevede un aumento dell’attuale imposta di bollo sulle attività finanziarie ed una sua rimodulazione in una prima aliquota attorno allo 0,05% ed una seconda dell’1% per la parte più ricca della popolazione. La proposta dei parlamentari Orfini e Fratoianni, presentata con un emendamento, non approvato, alla legge di bilancio per il 2021, è un’imposta sulla ricchezza complessiva netta, inclusiva del valore della prima casa, che prevede un’aliquota minima dello 0,2% fino ad arrivare al 2% oltre i 50 milioni di euro. Prima della pandemia, l’economista Thomas Piketty aveva proposto un’imposta patrimoniale sulla ricchezza globale con un’aliquota dell’1% tra 1 milione e 5 milioni di euro e del 2% per livelli superiori.
Ecoló: Quali sarebbero gli effetti sulla diseguaglianza di queste tre alternative?
LR: Secondo le nostre simulazioni, condotte attraverso il modello di micro simulazione fiscale dell’Irpet Microreg, la proposta di Ortona genererebbe un gettito di circa 28 miliardi, a cui contribuirebbe meno della metà delle famiglie italiane, con una esazione media di 2.194 euro. La proposta di Orfini e Fratoianni ricadrebbe su una più bassa proporzione di famiglie, il 18%, che pagherebbero in media 4.221 euro, e raccoglierebbe 19 miliardi. L’imposta proposta da Piketty sarebbe molto più concentrata sui ricchi. Solo il 6,6% delle famiglie italiane la pagherebbe, con un’imposta media di 16.905 euro all’anno, con gettito attorno ai 29 miliardi.
Ecoló: Al di là dell’effetto sulla diseguaglianza un’imposta di questo tipo ha altri effetti, più o meno desiderabili? Pensiamo ad esempio all’incentivo al risparmio o al tema dell’uguaglianza delle opportunità?
LR: Tra gli effetti desiderabili c’è sicuramente sull’eguaglianza delle opportunità, soprattutto se si pensa alle patrimoniali imposte sulle successioni di ricchezza di generazione in generazione. D’altra parte, molti sono anche i “contro” all’introduzione di una patrimoniale, dalla distorsione sulle decisioni di risparmio degli individui, ai vincoli di liquidità dei contribuenti. Un’istituzione non coordinata, almeno a livello europeo, rischierebbe una fuga dei capitali all’estero e l’espatrio fiscale.
Ecoló: Dal vostro studio sembra che la vostra preferenza sia per un’imposta poco più che simbolica. Ma allora quali strumenti si possono usare per combattere la disuguaglianza se la patrimoniale non è efficace allo scopo?
LR: Una patrimoniale progressiva applicata alle grandi ricchezza sarebbe senz’altro giusta per ragioni di equità. Riteniamo però difficile che possa, da sola, risolvere il problema della disuguaglianza e, soprattutto, quello della tenuta dei conti pubblici. Per combattere la disuguaglianza, oltre alla patrimoniale, tutto il sistema di imposte e benefici dovrebbe essere riformato, dall’Irpef ai trasferimenti alle famiglie. Prima ancora di questo, servono maggiori tutele per i lavoratori svantaggiati e investimenti per una vera ripresa del ciclo economico.
Ecoló: Grazie per la tua disponibilità Letizia.
Paolo Pinzuti è un ciclista, un viaggiatore, ma di lavoro fa l’editore e si occupa di marketing e di comunicazione per Bikeitalia.it. Era stato anche candidato come indipendente nelle liste di Europa Verde alle ultime elezioni europee. L’abbiamo intervistato.
Ecoló: Ciao Paolo, grazie per la tua disponibilità per questa intervista. Ci racconti come hai fatto a far diventare la bicicletta il tuo lavoro?
Paolo Pinzuti. Nel 2011 io e Pinar, mia moglie, abbiamo lasciato il lavoro e siamo partiti per un viaggio in bicicletta di 4 mesi in sud America. Con bici e tenda, abbiamo girato per l’Argentina, il Cile, la Bolivia e il Perù. Per raccontare questa esperienza ho aperto un blog. Finito il viaggio ho continuato a scrivere di bici, cicloturismo, ciclabilità urbana, sicurezza sul mio blog, che nel 2013 è diventato una testata giornalistica, bikeitalia.it. La gestione della rivista ha reso necessario l’apertura di una società, Bikenomist srl, che oggi dà lavoro a 8 persone e fa comunicazione, organizza corsi di formazione e fa consulenza sulla mobilità urbana e sul cicloturismo.
Ecoló. La bici, oltre ad essere il tuo lavoro, è ancora una passione? Riesci a goderti un’escursione o un viaggio? Quest’estate ad esempio dove ti ha portato la tua bicicletta?
PP. La bici per me è parte integrante della vita, come lo sono i pantaloni o le scarpe. Pedalare, oltre a essere una forma di trasporto estremamente efficiente, è anche piacevole per lo spirito e per il fisico e per questo non vi rinuncerei mai. Quest’estate mi sono concesso delle pause di tre giorni con dei bei giri in bicicletta sulle Dolomiti, in alta Val di Susa e sulla Francigena in Toscana.
Ecoló. Questa primavera sei stato candidato alle elezioni europee per Europa Verde. Come è successo?
PP. Nel suo ultimo discorso da presidente degli USA, Obama disse una cosa che mi ha colpito molto: “se non vi piacciono i vostri rappresentanti nelle istituzioni è inutile lamentarsi: candidatevi e diventate voi i rappresentanti nelle istituzioni.“. Nauseato dal basso livello della politica italiana e dalla mancanza di un’agenda politica ambientalista, ho pensato che fosse mia responsabilità provarci e dare il mio contributo. Ho presentato la mia disponibilità alla candidatura, che è stata accettata.
Ecoló. Qual è il tuo bilancio della tua avventura elettorale? Lo rifaresti?
PP. 1.500 preferenze non sono molte, ma per un outsider della politica non sono da buttare via. Il bilancio comunque per me è positivo perché ho avuto modo di incontrare molte persone bellissime che hanno voglia di fare “cose” per raddrizzare la politica, il mondo e l’ambiente. Lo rifarei a occhi chiusi perché è stata una delle esperienze più intense della mia vita. Ma non so se lo rifarò.
Ecoló. Secondo te cosa manca al movimento ecologista italiano per poter diventare efficace nell’azione come i partiti verdi della Germania o di altri paesi europei?
PP. È una domanda difficile a cui ho pensato più volte e credo che non esista una risposta univoca perché è un insieme di fattori. Credo che il peccato originale sia una sorta di intellettualismo di fondo che parla (giustamente) di ambiente, ma che poi non è presente sul territorio per “fare” ambiente in modo coerente e continuativo facendosi conoscere dalla “base” coinvolgendola e includendola.
Ecoló. Torniamo alla bici, qual è il singolo intervento, in qualche città italiana, che suggeriresti come esempio virtuoso da imitare per favorire gli spostamenti in bici?
PP. Le persone vanno in bicicletta quando si trovano in un ambiente sicuro e una città è sicura per chi va in bici quando non si corre il rischio di essere investiti dall’automobilista distratto o incosciente di turno. Per questo occorre limitare la velocità d’uso delle auto, ma anche il suo utilizzo. Se ci pensiamo, le piste ciclabili altro non sono che pezzi di strada che sono stati interdetti alle auto. La moderazione del traffico è la chiave. E se vuoi un esempio, Reggio Emilia è più che calzante.
Ecoló. Grazie per il tuo tempo, buona strada!
Alle forze politiche,
Al Goveno,
Con la presente siamo a ricordarvi che non abbiamo più tempo.
La svolta ecologica del sistema economico, della mobilità, della produzione e del consumo, deve essere attuata adesso.
L’Italia è gravemente in ritardo e le azioni di questa legislatura saranno decisive.
Per fare queste cose, non c’è niente di nuovo da inventare.
Serve mettere in atto le proposte e le soluzioni che arrivano dalla comunità scientifica.
Ascoltare figure autorevoli, quali Annalisa Corrado, Daniela Ducato, Sergio Ferraris, Luca Mercalli, Gianni Silvestrini e molti altri e molte altre.
Collaborare con realtà della società civile che da anni spingono verso il cambiamento, come ASviS, Legambiente, Greenpeace, WWF, Lipu, QualeEnergia, Coordinamento Free, Italia Solare, Anev, FIAB, Forum Disuguaglianze e Diversità, le ragazze e i ragazzi di Fridays For Future ed Exctinction Rebellion.
Ci aspettiamo che facciate sul serio, stavolta.
Confidando in una vostra seria presa in considerazione e risposta,
porgiamo cordiali saluti.
Vi invitiamo a copiare e incollare questo messaggio e inviarlo ai presidenti dei gruppi parlamentari che sostengono la maggioranza:
Camera
GELMINI_M@CAMERA.IT (Forza Italia)
BOSCHI_M@CAMERA.IT (Italia Viva)
MOLINARI_R@CAMERA.IT (Lega)
FORNARO_F@CAMERA.IT (LeU)
CRIPPA_D@CAMERA.IT (5S)
DELRIO_G@CAMERA.IT (PD)
SCHULLIAN_M@CAMERA.IT (Misto)
Senato
annamaria.bernini@senato.it (Forza Italia)
davide.faraone@senato.it (Italia Viva)
massimiliano.romeo@senato.it (Lega)
andrea.marcucci@senato.it (PD)
julia.unterberger@senato.it (Autonomie)
loredana.depetris@senato.it (Misto)
I cambiamenti climatici e il conseguente aumento delle temperature provocheranno più frequenti e intense stagioni secche in tutto il mondo, rendendo il problema della scarsità idrica pervasivo.
In appena due decenni la quantità d’acqua potabile disponibile pro-capite è diminuita di circa il 20%, secondo l’ultimo rapporto annuale della FAO “The State of Food and Agriculture”. Le Nazioni Unite stimano che oltre due miliardi di persone vivono in Paesi “sottoposti a un forte stress idrico”, mentre quasi due terzi della popolazione mondiale deve affrontare gravi carenze d’acqua per almeno un mese all’anno. Inoltre, l’UNICEF prevede che, “entro il 2040, un bambino su quattro – circa 600 milioni di minori in tutto – vivrà in aree sottoposte a stress idrico estremamente elevato”. Siccità e fenomeni meteorologici estremi colpiscono in modo sproporzionato i più vulnerabili e, per larga parte, sono conseguenza dei cambiamenti climatici in atto per i quali i paesi più ricchi hanno le maggiori responsabilità.
Questi segnali fanno vedere la scarsità della risorsa acqua sempre più frequentemente come un rischio economico, alimentando gli appetiti del mercato al punto che, il Cme Group, la più grande piazza finanziaria dei contratti a termine del mondo, in collaborazione con il Nasdaq, ha annunciato la creazione del primo future sul mondo sull’acqua.
Ma cosa sono i Futures? Un contratto future è uno strumento mediante il quale acquirente e venditore si impegnano a scambiarsi una determinata quantità di una attività (detta sottostante) a un prezzo prefissato e ad una data futura prestabilita. Questo contratto può essere poi scambiato sui mercati regolamentati.
In pratica, un future nasce nel momento in cui qualcuno è interessato a predefinire il prezzo di un bene a causa delle variabili che tendono a renderlo imprevedibile. In California l’acqua è un bene molto appetibile per prodotti finanziari in quanto è una risorsa essenziale e soggetta all’impatto incisivo dei cambiamenti climatici: siccità brutali, alto numero di incendi e precipitazioni estreme. Basti pensare che il 40% dell’acqua consumata in California è destinata all’irrigazione, con costi molto elevati specie per alcune colture, come quella delle mandorle.
Da qui la nascita dei primi futures sull’acqua, proposti in linea teorica come strumento di risk management, per aiutare le municipalità, le aziende agricole e le imprese industriali a proteggersi dai rischi economici legati alla carenza idrica ma che già mostra ambizioni diverse.
In California il future sull’acqua debutterà nel quarto trimestre, sulla piattaforma Globex con sottostante il Nasdaq Veles California-Water Index per un mercato da 1,1 miliardi di dollari.
Sebbene sia stato progettato per il mercato californiano, il gruppo statunitense vuole espanderne il modello. “Con quasi due terzi della popolazione mondiale che dovrebbe affrontare la scarsità d’acqua entro il 2025, questa rappresenta un rischio crescente per le imprese e le comunità di tutto il mondo”, ha infatti spiegato Tim McCourt, responsabile Cme Group degli indici azionari e dei prodotti di investimento.
La situazione in Italia. Nel nostro paese la gestione della risorsa idrica è disciplinata da ARERA, che ne regola anche le tariffe di vendita, con il nuovo Metodo Tariffario Idrico valido per il periodo 2020-2023. Questo nasce nel segno del Water Service Divide e prevede l’efficientamento dei costi operativi e delle gestioni, la valorizzazione della sostenibilità ambientale anche attraverso il Piano per le Opere Strategiche e gli incentivi agli strumenti di misura dei consumi, per aumentare la consapevolezza dei cittadini. Il Metodo premia l’efficienza energetica e prevede incentivi per il risparmio e il riuso delle acque, nell’ottica di un’economia circolare.
Tutto ciò comporta che, rispetto al caso californiano, non ci possa essere un soggetto con interesse di mercato o di manovre speculative, in quanto il prezzo è regolato e non è possibile stipulare prezzi differenti in base alla disponibilità della risorsa.
Inoltre, ad oggi il sistema italiano prevede una gestione dell’acqua in cui la matrice pubblica è prevalente, considerando società a completa gestione pubblica, miste o gestite direttamente dall’ente locale[1] e che, in seguito alla vittoria del sì referendum di giugno 2011:
Difatti, nella realtà, poco è cambiato a seguito del referendum, che avrebbe dovuto portare ad una gestione effettivamente pubblica, ma ad oggi non è così! (maggiori informazioni qui).
Nonostante tutto ciò, pensiamo sia giusto chiedersi se è davvero così remoto che anche in Italia e in Europa non possa figurarsi uno scenario di scarsità di risorsa idrica tale da innescare la richiesta di prodotti finanziari quali i futures, considerando in particolare la scarsa considerazione che i decisori politici hanno dei cambiamenti climatici.
E a livello globale? Dove sono già in atto politiche di water grabbing, ossia di accaparramento della risorsa idrica, i future sull’acqua potranno essere parte del problema?
Per provare a rispondere a queste domande ne abbiamo parlato con Marirosa Iannelli, presidente del Water Grabbing Observatory, specializzata in cooperazione internazionale e water management e co-autrice del libro “Water Grabbing, Le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo“.
Ecoló: Ciao Marirosa, grazie per la disponibilità a rispondere alle nostre domande. Per prima cosa vorremmo chiederti di cosa ti occupi esattamente.
Marirosa Iannelli: Grazie a voi per questa intervista! Da circa 10 anni lavoro nel settore della cooperazione internazionale, collaborando con organizzazioni non governative come project manager di progetti ambientali. Attualmente lavoro con Amref Health Africa, storica ong africana e con Italian Climate Network, coordinando progetti di educazione, comunicazione e advocacy climatica. Circa 3 anni fa ho fondato insieme al giornalista e geografo Emanuele Bompan il Water Grabbing Observatory, per documentare casi di accaparramento idrico, di violazione dei diritti umani e ambientali in tutto il mondo…e molto, molto, altro.
Ecoló: Il termine “grabbing” tendiamo ad associarlo agli acquisti di terre ma nel tuo libro ci racconti di quanto si stia estendendo all’acqua. In che misura questo è un fenomeno che dovrebbe preoccupare anche noi?
MI: Terra e acqua sono due risorse strettamente interconnesse: land e water grabbing infatti spesso e volentieri vanno di pari passo, ma nel libro abbiamo posto l’accento in particolare sulla gestione delle risorse idriche. “L’acqua” è un tema molto ampio: dalla privatizzazione, alla scarsità idrica dovuta ai cambiamenti climatici, dalla costruzione di mega impianti idroelettrici molto impattanti sugli ecosistemi all’inquinamento o sovra sfruttamento causato dall’estrazione mineraria. Ogni qual volta che non si fanno i conti con i diritti della natura e delle persone, depauperando territori e gravando sulla vita di comunità e popolazioni più a rischio, possiamo parlare di grabbing. Ovviamente con criticità e conseguenze molto diverse a seconda dell’area del mondo, ma la dinamica di fondo è la stessa.
Ecoló: Quali strumenti ci sono per contrastare il water grabbing? Esistono esempi virtuosi di interventi che hanno migliorato la situazione?
MI: In termini molto concreti, a mio avviso l’accaparramento idrico può essere contrastato in primis riconoscendo l’acqua come bene comune e come diritto umano. Questa consapevolezza passa attraverso un riconoscimento giuridico e politico che tuteli realmente questa risorsa in quanto tale e non come merce da quotare in borsa. Una volta assunto tutto ciò, si può davvero lavorare per una gestione sostenibile e partecipata dei sistemi idrici: mi piace citare tra gli esempi virtuosi molti dei comuni francesi, che in un paese che ha le più grandi multinazionali dell’acqua in bottiglia e gestori privati (Veolia, Suez,etc), hanno deciso di “ri-municipalizzarsi” cioè tornare ad una gestione totalmente pubblica dell’acqua, con grossi benefici sia per l’ambiente che per i cittadini. Questi modelli di piccoli, medi e grandi comuni, possono essere presi ad esempio anche in Italia, se solo riuscissimo a fare una vera transizione ecologica della gestione dell’acqua.
Ecoló: Si è parlato di pericolo di speculazione e mercificazione di un bene vitale, dal tuo punto di vista, a livello globale la notizia sui primi future sull’acqua quanto ti preoccupa? a cosa può portare?
MI: Sono molto preoccupata. A oltre 10 anni dalla risoluzione delle Nazioni Unite sul diritto umano all’acqua e ai servizi igienico-sanitari, nonostante l’enorme lavoro di associazioni, movimenti, cittadini in tutto il mondo, non c’è ancora sufficiente consapevolezza sull’urgenza di tutelare la risorsa idrica in quanto bene comune. Questa consapevolezza necessita ormai di un vero lavoro congiunto tra giurisprudenza, scienza, politica ed economia. In uno scenario (presente e) futuro in cui i cambiamenti climatici avranno un impatto sempre maggiore sulle nostre vite, non possiamo più permetterci di ignorare il tema dell’acqua. Temo soprattutto un aumento dei conflitti in aree del mondo già sensibili e colpite sia da siccità che da una cattiva gestione delle risorse, e temo un forte aumento delle disparità sociali.
Ecoló: A livello nazionale invece come siamo messi sulla gestione della risorsa acqua? ci sono fenomeni di accaparramento anche da noi?
MI: Sicuramente in Italia non abbiamo la stessa situazione di comunità che ogni giorno fanno i conti con la necessità di camminare 30 km per raggiungere la prima fonte d’acqua. Ma questo scenario, che ci appare così lontano dalla nostra quotidianità, dovrebbe farci riflettere su quanto poter aprire ogni mattina il rubinetto di casa sia quasi “un lusso” che potremo non permetterci più. Per esempio già nell’estate del 2017 si è “sfiorata” la crisi idrica a Roma dovuta all’abbassamento del Lago di Bracciano (punto di prelievo idrico per la capitale). Ecco che a 10 anni dal referendum per l’acqua pubblica, concretizzare la volontà popolare con una gestione realmente pubblica e democratica delle risorse idriche vorrebbe dire contrastare il water grabbing. Anni di privatizzazione o di gestione partecipata pubblico-privata non hanno portato maggiore efficienza nel servizio, anzi: basti pensare che ad oggi le nostre infrastrutture sul territorio nazionale sono obsolete e letteralmente bucherellate per oltre il 47% (dati Istat del 2019).
Ecoló: Cosa fa in concreto il Water Grabbing Observatory e cosa pensi che possiamo fare noi, come cittadini e come Ecoló?
MI: L’osservatorio è nato con l’obiettivo primario di documentare e dare voce a chi spesso non ce l’ha: abbiamo iniziato proprio andando nei paesi più colpiti dal water grabbing, realizzando interviste, fotografie, approfondimenti con dati scientifici e politici. Il giornalismo d’inchiesta, la ricerca, l’arte sono alla base di molti dei nostri lavori. Dai primi reportage tra Africa, Medioriente, Canada e Sudamerica, alle interviste ai difensori dell’acqua. Ma non solo: oltre alla documentazione sul campo è importante anche informare puntualmente e per questo abbiamo avviato proprio nel 2020, anno in cui non è stato possibile viaggiare a causa della pandemia, la prima newsletter dal mondo dell’acqua. #Accadueo è una nostra selezione di notizie dall’Italia e dal mondo per approfondire il tema dell’acqua, del clima e dei diritti. Spesso ci troviamo letteralmente bombardati da tante informazioni diverse e in contraddizione tra loro, in questo senso il nostro ruolo è verificare news e fonti per renderle fruibili a tutti in modo semplice e accurato. WGO si occupa anche di sensibilizzare cittadini e influenzare i decisori politici: ne è un esempio la campagna #StopAcquaInBottiglia che promuove l’acqua pubblica, l’uso dell’acqua del rubinetto e fornisce numeri chiari e aggiornati sull’enorme business dell’acqua in bottiglia a discapito delle nostri fonti. In ultimo, portiamo avanti l’azione politica necessaria per far si che il diritto umano all’acqua sia riconosciuto come tale, a partire dall’Italia. Come? Lavorando per la legge sull’acqua pubblica che a ormai 10 anni dal referendum ancora non vede la luce. Come cittadini abbiamo un ruolo fondamentale e lo stile di vita che ognuno di noi sceglie è determinante anche per influenzare la politica. Informarsi quotidianamente e studiare sono alla base della comprensione di ciò che ci circonda (e qua mi rivolgo soprattutto alle giovani generazioni, ma non solo!). Agire e scegliere per esempio di non acquistare acqua in bottiglia, è un gesto concreto che ognuno di noi può fare.
Ecoló. Grazie per il tuo tempo, buon lavoro!
[1] Secondo i dati di Utilitalia (2019), oltre la metà degli abitanti residenti (il 54%) riceve un servizio erogato da società interamente pubbliche. Un italiano su 3 lo riceve da società miste a maggioranza o controllo pubblico, mentre un 11% direttamente dall’ente locale (“gestione in house”, possibile solo a determinate condizioni, tra cui il capitale interamente pubblico della società affidataria). Infine, un 2% della popolazione italiana è servita da società private e l’ultimo 1% da società miste a maggioranza o controllo privato.